Torino, Teatro Regio, Concerti 2023
Orchestra Teatro Regio Torino
Direttore Riccardo Frizza
Felix Mendelssohn-Bartholdy: “Le Ebridi” (La Grotta di Fingal) ouverture da concerto op.26 (1829-32); Franz Schubert: Sinfonia n.8 in si minore D759 “Incompiuta” (1822). Dmitrij Šostakovič: Sinfonia n.9 in Mi bemolle Maggiore op.70 (1945).
Torino, 27 gennaio 2023
Il 27 di gennaio, Giorno della Memoria, le istituzioni sinfoniche celebrano la ricorrenza con un concerto. Così ha anche fatto il Teatro Regio di Torino con la sua Orchestra. Un folto gruppo di giovani rinforza le presenze, in una platea del teatro prossima al tutto-esaurito. Per rispetto della liturgia della circostanza, il musicologo Sergio Bestente introduce la serata illustrando, con commozione e commovendo, le terribili circostanze che vengono commemorate. Il musicologo presenta inoltre i tre brani della serata, fatto questo quanto mai opportuno vista la presenza di molti giovani neofiti. Le Ebridi di Mendelssohn, apre il concerto. L’autore ebreo, congruente quindi con l’assunto, vi rielabora i ricordi di un suo viaggio in Scozia. Il luogo, anche noto come la Grotta di Fingall, si trova su un’isoletta ad ovest della costa scozzese ed è caratterizzato dal freddo pungente, dal mare agitato e da formazioni di rocce basaltiche, muraglioni di colonne esagonali in cui si insinuano buie cavità. I ricordi del musicista sfiorano solamente la romantica tregenda del luogo, preferendo una visione conciliante e serena. È il tipico romanticismo “leggero” di Mendelssohn, restio ad immergersi nel tumulto dei sentimenti. Anche Franz Schubert, un decennio prima di Mendelssohn, nella Sinfonia “incompiuta”, tiene una linea discreta e lieve. Il tumulto sentimentale che gli agita il petto è, a forza, tenuto a freno e dissimulato. Sorride sempre Franz, ma col pianto nel cuore, ovvero piange col sorriso sulle labbra. Riccardo Frizza, con un’interpretazione da brividi, conduce l’altrettanto stupefacente ed inattesa Orchestra del Teatro Regio, a zone profonde ed inesplorate dell’animo umano. Dopo aver reso magnifica la limpidezza serena dell’isola di Mendelssohn, sa turbare, con intima commozione, le pure melodie di Schubert. Dagli arruffati e celati sentimenti di Franz, il Viennese, all’irriverente sberleffo della 9° di Šostakovič il passo non è poi così lungo. La Russia, anche in quei tempi, aveva dittatura, tortura, campi di “lavoro”, morti e sofferenze. Dimitrij, come moltissimi suoi connazionali, da anni dormiva con un occhio solo e sobbalzava ad ogni passo per le scale. 1945, Berlino era caduta, la patria aveva vinto, da dipendente a lista paga dello stato, era suo dovere produrre una musica che celebrasse la vittoriosa fine della guerra. Era al corrente che i militari, suoi compatrioti, avevano però scovato e sfondato i cancelli di immensi campi di dolore e di morte. I campi del nemico, non quelli siberiani dove ancora, se vivi, c’erano amici, colleghi e milioni di innocenti. La denuncia e la ribellione non stavano nelle sue corde, la paura gli chiudeva la bocca e gli bloccava la penna, quindi dissimulava. Angoscia nel cuore e pifferi che grottescamente zufolano beffardi, per una recitata allegrezza. L’Orchestra del Regio raggiunge livelli stratosferici di irridente leggerezza. Sulla base solidissima di archi prestigiosi, timpani ed innumerevoli altre variopinte percussioni, con legni e ottoni protagonisti, fanno meraviglie. Il flauto di Federico Giarbella, l’ottavino di Roberto Baiocco, il clarinetto di Luigi Picatto e il fagotto di Nicolò Pallanch, sono balzati perentori all’orecchio e all’occhio di tutti. Rimane straordinaria e per molti versi inattesa la superlativa comprensione dei pezzi eseguiti e la conseguente splendida concertazione e direzione di Riccardo Frizza. Il pubblico, trascinato dall’entusiasmo dei tanti giovani, ha applaudito abbondantemente e rumorosamente, non solo al termine delle sinfonie ma pure al passaggio di ogni loro singolo movimento. Non si sono notate defezioni nel corso del concerto e gli applausi finali ad orchestra, direttore ed esecutori hanno frenato, per un bel tratto, le corse al guardaroba.