Roma, Teatro Tor Bella Monaca, stagione 2022-2023
“I MANOSCRIIT NON BRUCIANO”
Lavoro di indagine e ricerca teatrale su “Il Maestro e Margherita” di M. A.Bulgakov
Testo e regia di Alessandra Chieli
Supervisione drammaturgica di Francesco Petti
Berlioz, Il Maestro, Intellettuale Massolit, dottore EMILIO BARONE
Cantante, Stëpa, Margherita ALESSANDRA CHIELI
Ivan, Azazello, Intellettuale Massolit ANTON DE GUGLIELMO
Woland, Intellettuale Massolit FRANCESCO PETTI
Scena Ponzio Pilato:
Voci: Ponzio Pilato FILIPPO PAGOTTO
Gesù MICHELE GUIDI
Caifa ROBERTO NISIVOCCIA
In video: Gesù MICHELE GUIDI
Caifa ANDREA MERENDELLI
Direttore tecnico e luci Emilio Barone
Supervisione tecnica generale Stefan Schweitzer
Musiche originali Francesco Petti e Emilio Barone
Sonorizzazione, immagini e montaggio Alessandra Chieli
Costumi Armida Kim
Assistente di scena Emma Tramontana
Immagine originale I manoscritti non bruciano Giovanna Guariniello
Foto di scena Serena Facchin e Francesco Dejaco
Una coproduzione 2022 Teatro Macondo | C.A.P.I. Consorzio Altre Produzioni Indipendenti e Teatro di
Anghiari
Con la collaborazione e il supporto dell’Istituto di Cultura e Lingua Russa di Roma
Con il supporto del Festival dello Spettatore 2022 – Arezzo
Roma, 11 gennaio 2022
Lo spettacolo, che si ispira a un romanzo che contiene tutte le sfide del contemporaneo e che si interroga sul confine tra il bene e il male, sulla possibilità di immaginare un mondo senza ombre, è andato in scena, con grande successo di pubblico, il 10 e l’11 gennaio 2023 al Teatro Tor Bella Monaca di Roma confermandosi come un lavoro di altissima qualità intellettuale e teatrale. La platea, gremita di pubblico in entrambe le serate (collocate fra l’altro in due difficili date infrasettimanali) ha restituito alla compagnia in scena una preziosa, rara e affascinante attenzione.
Per oltre un’ora si è creata una sorta di dimensione “altra” all’interno della quale lo spettatore si è ritrovato immerso e rapito rendendo perfettamente tangibile quella sorta di sempre più raro cordone teso che si crea tra chi guarda e chi assiste e che si verifica solo quando, citando Peter Brook, si è di fronte a un’azione teatrale autentica.
Gli attori della compagnia Associazione Teatro Macondo hanno rivelato, senza mai ostentare, una maturata consapevolezza del corpo e della parola, sono riusciti a mettere in campo ogni aspetto di sé e di sé nello spazio rapportandosi con i confini e i volumi dello spazio scenico con la capacità di creare di volta in volta nuovi confini, nuove linee, nuovi volumi in una sorta di influenza reciproca dallo spazio al corpo, dal corpo allo spazio.
L’attore, si sa, agisce in un campo, uno spazio vuoto, il palcoscenico, più vasto di quello del pittore o del musicista, perché per creare delle azioni leggibili dal pubblico osservatore ha bisogno di mettere in gioco ogni centimetro della propria pelle per calarsi nell’azione e rendersi disponibile a diventare anche altro da sé.
Ma se il teatro è comunicazione, non è tuttavia sufficiente aver letto un libro, provare un’emozione, avere un’intenzione molto intensa o una visione perché questa sia letta e percepita efficacemente dallo spettatore. Non basta aver letto “Il Maestro e Margherita” per parlarne: bisogna saperne parlare!
Bisogna compiere un salto creativo e forgiare una forma teatrale che dalle luci, alle musiche, ai costumi, ai gesti, alla voce, possa contenere e riflettere impulsi e intenzioni.
Alessandra Chieli è riuscita a parlare del romanzo senza parlare necessariamente solo ed esclusivamente del romanzo, è riuscita a mettere in scena diversi piani temporali e spaziali trasformando la scena in un’architettura plastica e vivente dove i corpi degli attori, perfettamente armonizzati col complesso impianto scenico, hanno trasformato un’architettura onirica in un’architettura vivente, reale.
«Mi interessava raccontare il potere, la concomitanza dei piani temporali, le contraddizioni, le relazioni e le fragilità umane in una dimensione onirica in cui abbandonarsi» afferma la regista, per cui possiamo affermare che lo spettacolo è il risultato pienamente riuscito delle intenzioni registiche. Una regia che ha pensato ogni dettaglio con la cura cesellata dell’orafo e in cui emergono prepotentemente gesti, silenzi, respiri che in più di un’occasione diventano dirompenti e lasciano lo spettatore col fiato sospeso.
Un plauso dunque non solo al progetto e all’idea ma anche alla sua realizzazione che ha visto i corpi dei quattro attori trasformarsi di volta di volta in idea, materia, sogno, sostanza.
Particolarmente riuscita la scena di Ponzio Pilato in cui Francesco Petti lavora col corpo con una consapevolezza che gli consente di “raccontare” senza parlare, trasformandosi poeticamente in uno degli elementi della scena e restituendo allo spettatore una sorta di tableaux vivants dove il corpo, il suono, le luci, le proiezioni sono elementi che pur usando registri diversi e affermando cose diverse sono talmente bene assortiti da creare un sentimento unitario.
I manoscritti non bruciano di Alessandra Chieli ha portato a teatro un pubblico che “sceglie” di andare a teatro perché affamato di bellezza, sogno e poesia.
Quando corpi e parole, luci e ombre invitano lo spettatore ad abbandonarsi a scenari onirici sfondando la cornice della scatola teatrale per creare una sorte di ponte tra chi guarda e chi osserva allora, forse, il teatro ha compiuto il suo dovere.