Venezia, Teatro La Fenice: Stagione Sinfonica 2022-2023
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Charles Dutoit
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Gabriel Fauré: “Pelléas et Mélisande” suite op. 80; Claude Debussy: “Nocturnes” per coro femminile e orchestra;Maurice Ravel:”Daphnis et Chloé” suite per orchestra n. 2; “La Valse” poema coreografico per orchestra op. 72
Venezia, 17 dicembre 2022
17 dicembre 2022: alla mattina ha ricevuto il Premio “Una vita nella musica 2022” – creato nel 1979 da Bruno Tosi e giunto alla trentaquattresima edizione – come riconoscimento della sua lunga attività dedicata alla diffusione in tutto il mondo della grande musica occidentale, svolta in buona parte insieme all’Orchestra Sinfonica di Montréal; alla sera è salito sul podio dell’Orchestra del Teatro La Fenice, per immergerci nella magia della musica francese tra Ottocento e Novecento, con Fauré, Debussy e Ravel, autori di cui si è confermato interprete di assoluto riferimento. Charles Dutoit, dopo il suo recente debutto alla Fenice (gennaio 2022), è tornato di nuovo a Venezia: la città, dove aveva soggiornato, diciannovenne – nel 1955 –, per frequentare i corsi di violino, tenuti da Remy Principe al Conservatorio Benedetto Marcello.
Quanto al concerto, l’affascinante serata è stata aperta dalla Suite dalle musiche di scena, composte da Fauré nel 1898 per una replica londinese del Pelléas et Mélisande di Maeterlinck. Fin da questo primo pezzo, Dutoit è risultato un vero mago della concertazione, ottenendo dall’orchestra un amalgama sonoro dai tenui colori, ma ricco di sfumature. Il che si è apprezzato nel lirismo del Prelude, evocante la foresta incantata dove si incontrano Golaud e Mélisande; nella grazia della Fileuse, che rappresenta Mélisande all’arcolaio; nell’atmosfera sospesa della Sicilienne con il dialogo suggestivo tra flauto e arpa; nella marcia funebre che accompagna La mort de Mélisande, sommessa all’inizio e poi via via più sonora, per poi spegnersi gradatamente.
Un’attenzione tutta particolare ai colori orchestrali e agli elementi ritmici si è colta nell’esecuzione dei Nocturnes, tra i vertici della produzione di Debussy: un trittico, alquanto dalla travagliata stesura, composto tra il 1892 e il 1899. In Nuages – che risente della poesia estetizzante di Henri de Régnier e della pittura di James McNeill Whistler, segnatamente da Disposizione in grigio e nero n. 1 – la dinamica oscillava tra il piano e il pianissimo, in un trascolorare di timbri e armonie, con la presenza di qualche spunto melodico, privo di sviluppo tematico, a descrivere – nota lo stesso Debussy – “la lenta e malinconica processione delle nuvole, che termina in una grigia agonia dolcemente tinta di bianco”. Colori accesi e gioiosi ritmi di danza hanno caratterizzato Fêtes, dove molteplici frammenti tematici hanno dato vita ad un gioco fantasioso e mutevole, con l’intermezzo di una fanfara a tempo di marcia, avviata dalle trombe in sordina, che ha annunciato il passaggio di un corteo. In Sirènes, tratto da versi di de Régnier e di Algernon Swinburne, i vocalizzi di un coro femminile – vero strumento integrato nell’organico orchestrale – hanno magistralmente intonato il canto seducente e cromatico delle sirene, mentre le iridescenti sonorità dell’orchestra hanno evocato una distesa matrina.
Il magistero direttoriale di Dutoit – cui non è certamente estraneo l’esempio del conterraneo Ernest Ansermet, legato in modo indissolubile all’Orchestra della Suisse Romande – si è pienamente confermato nell’esecuzione della Suite da Daphnis et Chloé. Realizzato su commissione di Sergej Diaghilev, che gli propose un soggetto ispirato a un romanzo ellenistico di Longo Sofista, il balletto – una “sinfonia coreografica”, che si avvale di tutte le conquiste armoniche e timbriche dell’impressionismo di Debussy – venne composto da Ravel tra il 1909 e il 1912, anno in cui andò in scena al Théâtre du Châtelet di Parigi, ma la coreografia non ebbe grande fortuna. Diversamente la musica conobbe subito il successo, tanto che Ravel ricaverà dalla partitura due Suites da concerto rispettivamente nel 1911 e nel 1913, di cui la seconda è la più popolare. Nel nostro concerto, il suono rigoglioso dell’orchestra ha sedotto gli ascoltatori in Lever du jour – che vede i due giovani tornati insieme dopo tante disavventure – aperto dalle arpe, i flauti e i clarinetti, che hanno riprodotto, con perfetto lavoro d’insieme, voci e rumori di una natura immersa in un’aura misteriosa ed onirica. Nella Pantomime – dove i due protagonisti mimano la mitica vicenda di Pan e della ninfa Siringa – il flauto è stato autorevole protagonista, mentre in Danse générale si è sprigionata una travolgente energia, degna di un baccanale.
La serata si è chiusa all’insegna del ritmo, dell’inventiva tematica e della perizia nell’orchestrazione con La Valse, un brano nato anch’esso per merito di Diaghilev, che peraltro si rifiutò di mettere in scena il lavoro di Ravel – realizzato tra il 1919 e 1l 1920 –, in quanto giudicato troppo lontano dalla sua visione edulcorata della Vienna di Franz Joseph e degli Strauss. Verosimilmente l’impresario dei Ballets Rousses aveva colto in questo pezzo un nostalgico omaggio alla danza viennese per antonomasia – simbolo musicale di un caro vecchio mondo ormai perduto –, ma sovraccarico di una tensione cupa e struggente, che dissolve i tradizionali caratteri del valzer, rispecchiando le inquietudini presenti nel panorama culturale di quegli anni. L’incantesimo suscitato dal gesto direttoriale del maestro svizzero si è ovviamente ripetuto anche nell’affrontare questa mirabile partitura, che si articola in due parti, ciascuna delle quali inizia con cupe sonorità per assumere poi una veste brillante in un crescendo sempre più suggestivo, il cui culmine si raggiunge nella coda finale, laddove la danza si fa sempre più vorticosa e scatenata. La perfetta intesa tra direttore ed orchestra si è colta nell’estroso avvicendarsi dei vari temi, dal carattere ritmico o melodico, con interventi in cui hanno brillato i singoli strumenti o le singole sezioni dell’orchestra, valorizzando appieno la raffinatezza della strumentazione, cifra distintiva del geniale compositore francese. Grandi applausi e reiterate acclamazioni al direttore e all’orchestra – particolarmente al primo corno.