Piacenza, Teatro Municipale, Stagione d’Opera 2022/23
“RIGOLETTO”
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, tratto dal dramma “Le roi s’amuse” di Victor Hugo.
Musica Giuseppe Verdi
Il duca di Mantova MARCO CIAPONI
Rigoletto AMARTUVSHIN ENKHBAT
Gilda FEDERICA GUIDA
Sparafucile MATTIA DENTI
Maddalena ROSSANA RINALDI
Giovanna ELENA BORIN
Il conte di Monterone CHRISTIAN BARONE
Marullo STEFANO MARCHISIO
Matteo Borsa ANDREA GALLI
Il conte di Ceprano JULIUSZ LORANZI
La contessa di Ceprano EMANUELA SGARLATA
Un usciere LORENZO SIVELLI
Un paggio AGNES SIPOS
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del Coro Corrado Casati
Regia Leo Nucci
Scene Carlo Centolavigna
Costumi Artemio Cabassi
Luci Michele Cremona
Allestimento del Teatro Municipale di Piacenza in coproduzione con la Fondazione Teatro Comunale di Ferrara
Piacenza, 16 dicembre 2022
La nuova stagione del teatro Municipale di Piacenza riapre in grande stile con un “Rigoletto” dal cast di prim’ordine, a cominciare da Amartuvshin Enkhbat, nel ruolo eponimo, che si riconferma uno tra i baritoni migliori dell’attuale scena lirica internazionale, e, in quanto tale, da’ una resa del personaggio intensa e curatissima: suono tondo ricco di armonici, emissione disinvolta lungo tutta la tessitura, dizione scolpita e linea di canto di grande tenuta, fraseggio dalle molte sfumature; forse l’unica pecca che gli si può trovare è una certa prudenza nel conferire originalità al ruolo, ma il contesto in cui si muove – di cui parleremo più avanti – in effetti sembra lasciare davvero poco spazio a una qualche alternativa alla tradizione; gli è accanto, in qualità di Gilda, Federica Guida, vera sorpresa della serata: la voce indiscutibilmente lirico-leggera sa tuttavia arricchirsi nei momenti più patetici, rivelando colori nitidi e morbide venature luminose, e la tecnica padroneggiata a dovere riesce a garantire una tenuta d’emissione sempre omogenea e brillante. Il “Sì, vendetta”, infiamma a tal punto il pubblico in sala da richiedere un bis a sipario chiuso, generosamente concesso dal direttore, il maestro Ciampa, e che si rivela ancora più suggestivo e trascinante. Marco Ciaponi, (Duca di Mantova) si mostra molto misurato e si unisce a questa coppia di talenti con una naturalezza d’emissione a tratti disarmante (cui viene meno solo nel terzo atto in alcuni portamenti un po’ artificiosi) e una linea di canto di bella omogeneità: se si accattiva il favore del teatro con “Questa o quella, per me pari sono”, certamente anche le prove di “Ella mi fu rapita!” e “La donna è mobile” sono affrontate con grande consapevolezza musicale ed eleganza interpretativa – che talvolta, invece, manca ai Duchi un po’ troppo baldanzosi. Suggella questo terzetto d’eccellenza la Maddalena di Rossana Rinaldi, capace di conferire a questo personaggio spesso sottovalutato – e invece centrale da un punto di vista drammaturgico – la giusta autorevolezza vocale, grazie al buon sostegno nei centri e al colore fosco e piacevolmente pastoso della voce. “Bella figlia dell’amore” si rivela, così, l’apice musicale della serata, un quartetto che suona anche quasi come una lezione di canto, nel fondersi perfetto di quattro tessiture tanto diverse nel sagace contrappunto finale. Fra gli altri componenti del cast si mettono in luce certamente Mattia Denti (Sparafucile), che dimostra ottima padronanza della tessitura fino alle note più gravi, e il giovane Stefano Marchisio nella parte di Marullo, che sembra aver trovato un ruolo in grado di rivelare gli accenti più autentici della sua vocalità di baritono cantabile. La direzione dell’Orchestra Filarmonica Italiana, affidata a Francesco Ivan Ciampa, pure merita un plauso, per averci regalato un “Rigoletto” lontano da qualsiasi élan bandistico, e ricco di suggestioni, specialmente le più inquietanti; inoltre gli va riconosciuta anche una sapiente gestione dei tempi, avendo stornato il pericolo di febbricitanti corse alla nota nei momenti di maggiore concitazione. Nell’alveo della correttezza la prova del Coro del Teatro Municipale di Piacenza (diretto dal maestro Corrado Casati), che abbiamo apprezzato di più in altre occasioni, forse perché penalizzato anche da una regia non particolarmente brillante. Gli esiti dell’assetto creativo, infatti, vanno giudicati alla luce di due fattori: la riuscita scenica e il senso di chiamare alla regia di quest’opera Leo Nucci. Giacché è evidente che Nucci abbia colto l’occasione per sancire un chiaro passaggio di testimone fra lui ed Enkhbat, modellando una regia il più possibile à l’ancienne, tra finti palazzi dalle finestre gotiche, muri rovinosi scenografati, siepi sintetiche, l’uso del sipario storico del teatro e del suo ameno paesaggio arcade, cortigiani in calzamaglia e maschere dorate, trono ligneo munito di stendardi, ritratto del Duca a cavallo… potremmo continuare per pagine nel descrivere quanto tutto quello che vediamo in scena sia già visto e ordinario; ma se leggiamo questa regia come una creazione del più grande “Rigoletto” a memoria d’uomo, che con essa spera, probabilmente, di eternare la sua interpretazione dell’opera, allora possiamo anche apprezzare il quasi patologico tradizionalismo dinnanzi al quale ci troviamo come un commovente diorama dei tempi che furono. D’altro canto, se giudicassimo la riuscita scenica senza sapere chi fosse Leo Nucci, dovremmo denunciare questa esacerbante mancanza di originalità, oltre che la scarsa cura dei dettagli (ad esempio la mancanza di un tappeto sul linoleum nero del palco), la reazionaria sterilità di una regia che non è né abbastanza calligrafica per essere estetica, né approfondisce la drammaturgia per darci chiavi di lettura – con buona pace dei professionisti che vi hanno collaborato, come lo scenografo Carlo Centolavigna, Artemio Cabassi (i cui costumi “archeologici” comunque hanno assolto la loro funzione) o Michele Cremona (light designer, che, tuttavia, troppo ha assecondato questo trend ipertradizionale, con l’uso di anestetici controluce e illuminazione in proscenio). Una simile messa in scena può funzionare solo con un cast musicale formidabile – come quello che, infatti, abbiamo sentito, e che il pubblico piacentino ha mostrato con grande entusiasmo di approvare – ma ci restano seri dubbi sulla sua compiutezza formale e drammaturgica. Foto Cravedi Cavalli