Maria Callas. Un trattato di canto (quarta parte)

Maria Callas (New York, 2 dicembre 1923 – Parigi, 16 settembre 1977)
Il recitativo e l’espressività della frase
Nel recitativo Maria Callas ha raggiunto la summa delle sue conoscenze e allo stesso tempo quasi ritorna al concetto stesso del canto, a quel lontano  “recitar cantando”. Per ritrovare la semplicità del discorso cantato, la cantante ha superato le difficoltà tecniche per arrivare a una esecuzione  che deve escludere la parola tutta cantata o tutta recitata, ma deve trovare l’equilibrio canto-parola, nell'”eccitare” la parola, risaltandola nel senso sonoro  quel tanto da raggiungere l’altezza del dato suono, per poi tornare inflessione parlata. In questo gioco di equilibri sta il segreto del recitativo. Lo “sprechgesang” di Schoenberg si riallaccia idealmente al recitativo monteverdiano, esasperandone le leggi, con il gioco attacco-abbandono del suono.
L’arte del fraseggio occupa il posto più alto nell’ingegno del canto, ma soltanto il trascendere una tecnica pura agguerritissima può permettere all’esecutore di divenire un interprete consapevole, tenuto conto che ogni stile viene messo in luce attraverso una specifica tecnica vocale. Rimane il problema di ricercare, tramite il superamento di tale tecnica il “modus” di far cantare personaggi in modo diverso. Quante volte si è ascoltato  dei Filippo II simile a Mefistofele, quanti Manrichi simili a Turiddu e così via.  Il cantante moderno dovrebbe immedesimarsi in ogni stile, ma il  più delle volte vi rinuncia per moltissimi motivi, quasi tutti di ordine culturale e non fa che ripetere sulla scena mille volte se stesso. Lo affermava anche Wagner:”Il cantante nella maggior parte non pronunciano bene, perciò ignorano il senso dei loro discorsi, il carattere dei loro personaggi è quasi sempre velato dalla loro mente o veduto attraverso le banali convenzioni operestiche. Vanno a tentoni o si incontrano, allo scopo di piacere al pubblico in certi accenti seminati qua e la, sospiri vari e  gemiti alla bella e meglio generici.”
Maria Callas colse tutti di sorpresa e lei stessa tuttavia fu la prima a meravigliarsi della meraviglia altrui. S
e è vero che Serafin le propose di passare nel giro di una settimana, dalla vocalità di isolde a quella della Elvira belliniana, è anche vero che la cosa fu colta dalla cantante greca con estrema semplicità e sicurezza. Nessuna avventura vocale da tentare, ciò che a lei appariva naturale, generò sgomento per chi era abituato a identificare determinate voci in determinati ruoli, da tempi immemorabili. La Callas invertì la rotta, sottopose ardentemente la disciplina vocale alla necessità drammatica, trovando di volta in volta, il modo di superare le difficoltà tecniche nel momento in cui la situazione poetica lo richiedesse imperiosamente. La sua abilità interpretativa tra proprio nel dimenticare la propria identità vocale a vantaggio del personaggio chiamato di interpretare.  Nessuna imitazione di modelli precedenti. Lo disse di se stessa a New York nel 1971 alla Juliard School: “Non imitatemi, i miei difetti sono inimitabili. Così come lo sono i miei pregi”.  L’imitazione di un modello conduce sempre a un pessimo risultato. Il cantante che si rifà a un modello precedente sia esso grande cantante o il proprio insegnate fallirà nell’esprimere la propria identificazione artistica. Le copie altro non sono che brutte copie. La Callas aveva piena coscienza che la sua voce era una somma  di molti aspetti che univano origini etniche e culturali.
Sappiamo che i greci hanno una estrema facilità a parlare le lingue straniere, la Callas conosceva la nostra lingua (così come l’inglese e il francese) nelle più riposte sfumature. Questo le permetteva l’esprimersi musicali dei personaggi al punto di mettere in luce il significato musicale della parola, al di là del significato ad esso attribuito. Attraverso i suoni ella parlò ai giovani degli anni ’50, più che agli anziani e di quel decennio, che anzi la ascoltavano con enorme sospetto e anche  imbarazzo. Giovani che sospettavano della parola “Mamma” cantata da Beniamino Gigli, ma che erano erano soggiogati allorquando la stessa parola veniva emessa dall’anima della Callas, Dunque l’interprete che il “nuovo” ascoltatore attendeva. Un’interprete che pur sembrando di un tempo remoto, appartenneva come nessun altro al proprio tempo. Disse la Schwarzkopf:”Ogni cantante ha la sua tecnica, è vero, anche la Callas ebbe la sua, inimitabile. Perché ? Perché la sua fu una tecnica di canto propriamente detta, indissolubilmente legata al fatto estetico, la tecnica dell’interpretazione. Questo forse, secondo il mio modesto parere il maggior merito di questa cantante”.  Se la tecnica della Callas forse era quella voluta dal Tosi dal Mancini riproposta dal Garcia dalla Marchesi e persino da Verdi che andava dicendo, ma invano: “Studiare la tecnica degli antichi maestri ma la moderna declamazione” Cioè predicava un modus di espressivo attuale e non retrospettivo, come si pretende da alcuni riguardo la Callas. La sua era  una tecnica che riusciva a legare il mondo di due secoli fa al più moderno modo di sentire in musica.  Gli esempi di ascolto che vi proponiamo evidenziano bene le differenze espressive del recitativo. (Fine quarta parte)