Nell’arcipelago – spesso confuso e frammentato – del teatro milanese, un’isola più insolita delle altre si staglia, piccola quanto granitica: l’Associazione Culturale Kerkís, infatti, per quanto dalle limitate pretese, nei primi dieci anni effettivi della sua attività ha sia definito appieno la sua identità, sia imparato ad evolversi coerentemente ad essa. La sua peculiarità, quasi unica nel panorama italiano, risiede prima di tutti nella sua fondatrice e attuale direttrice, oltre che supervisore scientifico: Elisabetta Matelli, docente di Storia del Teatro Greco e Latino all’Università Cattolica di Milano.
Professoressa Matelli, è davvero così raro trovare una docente universitaria a capo di una compagnia teatrale?
In Italia, sì. Nel nostro paese le uniche realtà che mi vengono in mente che uniscano ricerca scientifica e lavoro sulla scena, a parte la nostra, sono quelle del prof. Danese a Urbino e della prof. Belardinelli alla Sapienza. Kerkís, tuttavia, è l’unica ad aprirsi sistematicamente alla città ogni anno con una stagione aperta al pubblico presso il Teatro delle Colonne di San Lorenzo e il Teatro Pime. Oltreoceano, invece, questa sarebbe una realtà comune: le grandi università americane e canadesi avviano gli attori alle loro carriere facendoli lavorare nei loro teatri, comunemente frequentati da critici e talent scout. In Italia, invece, scena e Accademia si guardano ancora con sospetto: la prima si sente nobilitata dalla tradizione del teatro di regia ad ignorare lo studio testuale scientifico, per la seconda sussiste ancora il pregiudizio sull’inaffidabilità e la volatilità dell’attività del teatrante.
Come presenterebbe Kerkís a chi non la conosce?
Kerkís è un’associazione no profit che dal 2011 ha come missione quello di portare alla città di Milano il teatro greco e latino, alla luce di un’attenta analisi del testo e di una regia che, sebbene possa prendere vie proprie, non si allontani mai dall’intento della parola antica. Produce propri spettacoli, ne ospita di altre compagnie e promuove la cultura antica a Milano, tramite percorsi archeologici e incontri di studio aperti a tutti. Inoltre organizziamo dal 2015 un festival per il teatro scolastico, ”Thauma”, che riceve ogni anno decine di adesioni da tutto il Paese, mostrando quanto il teatro antico, per lo meno negli istituti superiori, affascini ancora i giovani.
Fra i molti progetti di teatro classico che avete portato avanti in questo decennio, quale le è parso più difficile e quale invece più soddisfacente?
Alcuni anni fa abbiamo tentato una ricostruzione coerente di “Andromeda” di Euripide, a partire dai frammenti che ci sono rimasti: ha ricevuto una tiepida risposta di pubblico perché anche noi, credo, non abbiamo trovato il modo giusto per proporgliela; mentre il progetto di cui vado più fiera sono le “Baccanti” appositamente tradotte per noi da Ezio Savino, che scelse di caratterizzare i cori con l’italiano umbro del Duecento – quello di Iacopone da Todi – per comunicare la sacralità del culto dionisiaco, e non solo la natura orgiastica. Fu una scelta rischiosa e di alto profilo, ma ottenne un grande successo.
Oltre alla tragedia avete da sempre portato in scena anche commedie greche e latine – questo mese “Rudens” di Plauto, un testo insolito. Come vi avete lavorato?
“Rudens” è stata per tutti una scoperta. Il testo è tre volte singolare: in primis è ambientata a Cirene, e non nella solita Grecia, e tratta di un argomento molto serio che ancora oggi affligge quelle coste – il traffico di esseri umani, in questo caso di fanciulle; inoltre il testo ha tre diversi registri compositivi: è una palliata classica, ma anche una tragicommedia, vista la presenza mitologica e le molte scene patetiche e di tensione che la compongono, e pure una parodia della tragedia stessa, per il modo magniloquente che talvolta presenta e per la ricostruzione di alcune scene tipiche del genere tragico, come il riconoscimento della giovane Palestra da parte del padre perduto Demone. Infine, il testo presenta chiaramente le sezioni dei cantica, cioè di quei versi che venivano cantati e non recitati: per questo abbiamo tentato di adattarli a melodie moderne appositamente composte e anche noi li proponiamo cantati.
Va detto che questa “Rudens”, che abbiamo visto il 26 novembre, è davvero uno spettacolo godibilissimo, dai ritmi rutilanti e ancora oggi in grado di far ridere; inoltre l’alternanza di alcuni pezzi cantati al molto recitato alleggerisce le scene e rivela ancor più i talenti dei giovani attori.
Kerkís non si pone come una compagnia del tutto professionale, ma nemmeno rimane nell’alveo del teatro scolastico: come siete giunti a questa forma ibrida?
In realtà il teatro universitario ha avuto anche in Italia (a Torino, a Padova e a Roma) dei celebri precedenti, che hanno lanciato anche artisti importanti, quindi c’era già una strada da seguire; dopo alcuni anni ho deciso di tentare di trasformare quello che era un laboratorio universitario in un’esperienza fuori dalla didattica tradizionale ed eminentemente pratica: abbiamo trovato accoglimento al Teatro delle Colonne di San Lorenzo – nel cuore della Milano romana e a pochi passi dai resti dell’antico teatro, peraltro – e mantenuto il supporto dell’Università Cattolica, per la quale rappresentiamo ancora oggi un esempio virtuoso di terza missione. Questo è stato possibile anche grazie a Christian Poggioni, attore del Piccolo che dal 2011 si prende cura della pedagogia teatrale dei nostri ragazzi e di alcune regie, traducendo in scena i testi classici alla luce della ricerca testuale fatta insieme.
Nel guardare i vostri spettacoli, tuttavia, spesso non si avverte la distanza tra i vostri attori e quelli dei teatri “professionali” veri e propri…
Di questo sono lieta, perché Christian e i ragazzi lavorano tantissimo per raggiungere buoni risultati, ma penso che anche nel loro essere imperfetti la cosa importante è che si mettano a servizio del testo e del pubblico; alcuni di loro poi, man mano che crescono, ci lasciano per intraprendere carriere professionali. Penso che per loro possiamo aver rappresentato una valida propedeutica.
Anche su questo, non possiamo che essere d’accordo; gli attori e le attrici di Kerkís in scena in questi mesi sono davvero dei mattatori: tengono ritmi comici strepitosi, hanno inventiva e forza d’improvvisazione, sono tutti vocalmente preparati, sia nel canto che nel parlato, mostrano una formidabile memoria e fisicità molto versatili. La recitazione, certo un po’ accademica, rimane, tuttavia, coerente al progetto di riproposizione del teatro classico a partire dalla classicità delle forme – infatti non vi troverete adattamenti punk o scenografie post-moderne, quanto, piuttosto, scene dai richiami realistici e costumi di gusto ellenizzante, che, in un momento storico che propone tutto al di fuori di questo, suonano quasi come una scelta politica contro un certo tipo di teatro cerebrale e poco rispettoso dei testi originali.
Quali sono le nuove sfide di Kerkís? Cosa possiamo aspettarci in futuro?
Da quest’anno abbiamo iniziato a portare alcuni progetti in un contesto difficile e prestigioso allo stesso tempo: il Teatro della Casa di Reclusione di Milano-Opera. Due mondi tanto distanti come il teatro e il carcere, in realtà, trovano un punto di contatto proprio nei grandi valori assoluti che la classicità ci propone. Abbiamo portato in scena ad ottobre “Alcesti” ed è stata straordinariamente apprezzata. Ora replicheremo con la “Rudens” e con una versione scenica del processo “Per l’invalido” di Lisia: crediamo che proprio le persone che hanno avuto qualche “problema” con la giustizia possano mettersi in contatto con la grande oratoria giudiziaria. Per quanto riguarda invece nuovi progetti, stiamo già lavorando al “Prometeo Incatenato” di Eschilo, il cui primo studio scenico sarà proposto il 15 dicembre proprio ai detenuti di Opera, e che vedrà la luce in maniera più completa l’anno venturo. | FOTO Camilla Canalini