Dmitrij Dmtrevič Šostakovič (1906 – 1975). “Sinfonia n. 13 in si bemolle minore Babi Yar” (1962)

Sinfonia n. 13 in si bemolle minore “Babi Yar” per basso solista, coro maschile e orchestra
Babi Yar (Adagio)-Humour (Allegretto)-Al grande magazzino (Adagio)-Paure (Largo)-Una carriera (Allegretto)
Non si era ancora del tutto spenta l’eco dell’esecuzione della Dodicesima sinfonia, nel mese di ottobre del 1961, che già nel 1962  Šostakovič già pensava ad una nuova composizione della quale inizialmente non aveva ben chiaro il genere, come egli stesso ricordò:
“Dapprima ho scritto qualcosa nel genere del poema vocale-strumentale sul testo di Yevgeni Yevtushenko, Babi Yar. È solo in seguito che ho pensato di proseguire questo lavoro e di ricorrere ad altri testi del poeta. Il secondo movimento si basa sulla poesia L’Humour, il terzo su Al grande magazzino. Quanto alla poesia Le paure, a cui si ispira il quarto movimento, Yevtushenko l’ha scritta espressamente per me, nel contesto di questa nuova opera. Per il finale, ho scelto La carriera […]. Queste poesie sono state pubblicate in epoche differenti e trattano problemi differenti. Ho voluto legarle per mezzo della musica. Ho dunque scritto una sinfonia al posto di una serie di pezzi isolati”.
In effetti, Šostakovič, solo dopo aver scritto il primo movimento di quella che sarebbe diventata la Tredicesima sinfonia, contattò Yevtushenko, come raccontato dallo stesso poeta in questo suo ricordo da cui si evince anche l’incertezza del compositore sulla forma da dare a questo suo nuovo lavoro:
“Era il 1962. Il telefonò squillò a casa mia. Mia moglie andò a rispondere:

– Scusatemi, noi non ci conosciamo ancora, mi chiamo Šostakovič… potrei parlare con vostro marito?
– Sì. Sta lavorando, vado subito a cercarlo.
– No, ve ne prego, non lo disturbate. Chiamerò più tardi.
Era tipico di Šostakovič e del profondo rispetto che egli aveva per ogni forma di lavoro.
Mi precipitai al telefono. Mi diede l’impressione di essere molto imbarazzato. Farfugliando, mi spiegò che desiderava scrivere «qualcosa» sulle mie poesie, e chiese il mio consenso. Inutile dire che mi sembrò di toccare il cielo con un dito […]. Ma non potevo contenere una certa inquietudine e alcuni dubbi e quando, un mese più tardi, Šostakovič mi invitò a casa sua per mostrarmi la musica, mi recai non senza una forte esitazione.
Del resto potei convincermi che egli si trovava in simili disposizioni. All’epoca, soffriva già di dolori alla mano e sentiva dolore quando suonava il pianoforte. Il suo nervosismo mi commosse: cominciò a giustificarsi davanti a me e scusarsi dei suoi dolori e della debolezza della sua voce. Infine, posò la partitura sul leggio e cominciò a suonare. Non riesco a consolarmi del fatto che la sua interpretazione non sia stata registrata. Cantava in modo geniale, nonostante avesse una voce mediocre, che suonava in modo bizzarro, come lacerata, e tuttavia inimitabile, piena di una forza quasi soprannaturale.
Šostakovič terminò e senza dire una parola, con un gesto, mi invitò ad avvicinarmi a un tavolo dove erano preparate delle bevande. Bevve rapidamente un sorso e mi chiese infine «allora?»”
Šostakovič lavorò alacremente alla sinfonia pensando anche agli interpreti, ma la prima esecuzione, fissata per il 18 dicembre 1962, fu messa a rischio. Alcuni giorni prima, infatti, Nikita Chruščëv aveva invitato molti rappresentanti dell’ambiente artistico a casa sua che divenne teatro di un violento alterco tra lo stesso Chruščëv e Yevtushenko il quale accusò il politico sovietico di antisemitismo. Oggetto del contenzioso era il primo movimento, nel cui testo poetico veniva evocato l’eccidio di duecentomila ebrei commesso dai nazisti presso Kiev che il regime sovietico non si era mai preoccupato di commemorare. Nonostante questo clima di tensione e le pressioni del ministero della cultura e del partito sul direttore Kirill Kondrašin affinché ritirasse dal programma la sinfonia o almeno la eseguisse mutila del primo movimento, la première ebbe luogo comunque nella Sala Grande del Conservatorio di Mosca e con la partecipazione del basso Vitaly Gromadskij e dei bassi del Coro di Stato Repubblicano, del Coro dell’Istituto Gnessin e dell’Orchestra Filarmonica di Mosca. A questa esecuzione, rimasta memorabile in quanto capace di suscitare forti emozioni tra il pubblico tanto che molti dei presenti non riuscirono a trattenere le lacrime e Aram Khachaturian definì la partitura semplicemente «geniale», sulla «Pravda», giornale ufficiale del partito, non fu dedicata che una riga; la vera stroncatura, per questa sinfonia, sarebbe arrivata, il 2 aprile 1963, dalle colonne della «Sovetskaya Belorussiya» («Biellorussia Sovietica») dove, in un articolo, a Yevtushenko fu rimproverato di «correr dietro a effetti a buon mercato» e Šostakovič fu accusato di «disonore».
Il primo movimento (Babi Yar), che è il più drammatico, si presenta come una denuncia contro l’antisemitismo operata attraverso la rievocazione, quasi teatrale, di alcuni emblematici fatti storici, come l’antico Egitto, il caso Dreyfus, gli ebrei polacchi di Bialystockv, Anna Franck e infine l’eccidio di Babij Yar. La musica, che si snoda in un Adagio di carattere doloroso, trova uno dei suoi momenti di maggiore effetto nel momento in cui viene abbattuta la porta del luogo in cui era nascosta Anna Franck. Formalmente uno scherzo, il secondo movimento (Humour), che si presenta come una satira nei confronti del potere, rappresentato dai vari zar, re o dittatori, e della sua manifestazione costituita da insulse parate militari, è basato sul tema della lirica “L’addio di Macpherson” tratta dalle Sei romanze su versi di poeti inglesi, Op. 62. Di carattere cupo, il terzo movimento (Al grande magazzino), che si configura come un lamento che si conclude con una cadenza plagale di ascendenza liturgica, evoca la difficile vita delle donne sovietiche durante la guerra, elevandola al rango di dramma esistenziale. Il quarto movimento, il cui titolo Paure si riferisce al timore suscitato dall’opprimente dittatura di Stalin, è intriso di suoni lugubri e rintocchi di campane, mentre una forma di resistenza, sia pure concepita solo nella mente, sembra insinuarsi attraverso una marcia cadenzata. Elementi autobiografici contraddistinguono l’ultimo movimento, il cui titolo Una carriera si riferisce a quella di Galilei il quale è accusato dai due artisti di aver abiurato alle sue idee per ragioni di carriera; in realtà dietro alla figura di Galilei c’è quella di Šostakovič costretto ad adottare comportamenti improntati a maggiore prudenza nei confronti del regime per ragioni di carriera. Musicalmente caratterizzato da toni buffi e leggeri, questo movimento si conclude con una pagina di grande suggestione con una bellissima melodia degli archi sull’accompagnamento della celesta.