Verona, Teatro Nuovo, rassegna “Il Grande Teatro” 2022/23
PA’
Drammatugia di Marco Tullio Giordana e Luigi Lo Cascio da testi di Pier Paolo Pasolini
Con Luigi Lo Cascio
e la partecipazione di Sebastien Halnaut
Regia Marco Tullio Giordana
Scene e luci Giovanni Carluccio
Costumi Francesca Livia Sartori
Musiche Andrea Rocca
Produzione Teatro Stabile del Veneto
Verona, 22 novembre 2022
Da qui le prossime repliche
In un prato verde, quello negato nelle periferie romane, frequentate da Pier Paolo Pasolini, si svolge l’azione scenica di Pa’, lo spettacolo che Luigi Lo Cascio interpreta a cento anni dalla nascita dello scrittore. I testi poetici e in prosa scelti come elementi rilevanti della sua vita e opera riguardano l’amore struggente per la madre; il ricordo doloroso del fratello morto in guerra; l’ambiente asfissiante del nativo Friuli; la periferia romana e l’incontro con i “ragazzi di strada”. Su una scena arricchita da pochi elementi ma carichi di evocazioni emotive (come le lucciole che coronano le sofferenze dello scrittore), si muove con maestria Luigi Lo Cascio. L’interpretazione non poteva che essere intima e la fisicità esile dell’attore – che, per natura, sa sfoggiare un fraseggio continuamente mutevole, camaleontico nel piegarsi anche in inflessioni vocali che evocano il timbro di Pasolini, così come nell’aspetto fisico (ad esempio quando, nella parte finale si presenta con un look anni ’70) – ci coinvolge nei testi che sono ritratti di un’anima, prima che resoconti di una vita. Alla scarna, quasi fragile fiisicità di Lo Casco/Pasolini, si contrapponte l’aitante presenza di un giovane (Sebastien Halnaut) che, nel sua fisicità silenziosa, distaccata, sembra volersi trasformare in un ideale apollineo del mondo maschile dell’universo letterario pasoliniano. A ciò si contrappone il ricordo, sempre presente, della madre, figura centrale della vita dell’artista che qui s’intreccia con le vicende narrate ma rimanendo un’immagine evocata, mitica. Le scenografie (di Giovanni Carluccio) che lasciavano presagire, all’inizio, un’assenza totale di ambientazione realistica in favore della parola recitata, sono nei vari quadri temporali coinvolgenti: dalla sola luce dell’inizio, all’horror vacui opprimenti dei rifiuti della città urbanizzata, che invadono e quasi opprimono la scena anche nella verticalità. Quasi un quadro surreale, in omaggio, forse, alla cura che lo scrittore-regista riservava nei suoi film, dove rievocava sempre con gusto e leggerezza dei dipinti della storia dell’arte. La parte finale, con il racconto delle periferie romane emerge, il messaggio poetico di quest’artista che diventa cantore di un substrato umano escluso. Un universo umano che non avrebbe mai letto i suoi scritti, ma che era da lui amata come unica degna di essere rappresentata: un’umanità candida nella sua ferocia, priva delle degenerazioni che il capitalismo avrebbe prodotto. Non è un testo profetico, quello raccolto e narrato in questo spettacolo da Luigi Lo Cascio e Marco Tullio Giordana, anche se per molto tempo ai testi di Pier Paolo Pasolini era attribuito questa carattere, è in realtà uno squarcio di quegli anni un fermo immagine: la visione di come eravamo. Alla fine, con il comparire di una sagoma d’auto, abbiamo un nuovo frammento di narrazione del reale. Il pensiero corre subito alla tragica notte del 2 novembre 1975, quando Pasolini venne brutalmente travolto e ucciso dalla sua stessa auto. Un atto unico denso seguito con partecipe silenzio dal folto pubblico in sala. Alla fine applausi generosi e convinti. Foto Michele Crosera per Teatro Stabile del Veneto. A Verona si replica fino a domenica 27 novembre.