Venezia, Teatro La Fenice, Lirica e balletto, Stagione 2022-2023
“FALSTAFF”
Libretto di Arrigo Boito, dalla commedia The merry Wives of Windsor e dal dramma The History of Henry the Fourth di William Shakespeare.
Musica Giuseppe Verdi
Sir John Falstaff NICOLA ALAIMO
Ford VLADIMIR STOYANOV
Fenton RENÉ BARBERA
Dr. Cajus CHRISTIAN COLLIA
Bardolfo CRISTIANO OLIVIERI
Pistola FRANCESCO MILANESE
Mrs. Alice Ford SELENE ZANETTI
Nannetta CATERINA SALA
Mrs. Quickly SARA MINGARDO
Mrs. Meg Page VERONICA SIMEONI
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Myung-Whun Chung
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Regia Adrian Noble
Scene Dick Bird
costumi Clancy
Light designer Jean Kalman, Fabio Barettin
Regista associato e movimenti coreografici Joanne Pearce
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 24 novembre 2022
“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole,/anzi d’antico”: così recita l’esordio d’una celebre lirica pascoliana, che ha il sapore d’un ossimoro. La reminiscenza scolastica si è presentata alla nostra mente, seguendo lo spettacolo ideato da Adrian Noble per il Falstaff, l’opera inaugurale della Stagione lirica 2022-2023 del Teatro La Fenice. “Nuovo” ed “antico”, infatti, è anche questo allestimento feniceo, che paradossalmente, proprio per essere basato sulla tradizione, porta una ventata d’aria fresca nel panorama registico internazionale, dominato ormai da decenni dalla spasmodica ricerca di soluzioni inedite, originali, trasgressive a tutti i costi. Ci voleva una personalità autorevole come quella del regista britannico – affermato interprete dell’opera di Shakespeare, oltre che da anni dedito alla regia operistica – per ribadire concetti da troppo tempo bistrattati, quali il rispetto del libretto, il rigore e la coerenza, cui deve ispirarsi ogni concezione registica.
Così il suo allestimento dell’ultima opera di Verdi rivela un’estrema cura nell’ambientazione, riferibile – a dispetto delle solite attualizzazioni ormai dilaganti nelle regie operistiche – all’età di Shakespeare, per la semplice ragione che la rappresentazione non sarebbe credibile se fosse avulsa da quel particolare periodo storico, nel quale una mentalità ancora medioevale – ravvisabile, ad esempio, nelle notturne stregonerie dell’ultimo atto – conviveva con l’affermarsi del nuovo movimento puritano, di cui è un prototipo, nel Falstaff, il personaggio di Ford, ricco e intransigente. Quanto al protagonista dell’opera, Noble lo ritiene un personaggio a tutto tondo, ma comunque più simile a quello – piuttosto inquietante – presente nell’Enrico IV rispetto a quello, più ameno, delle Allegre comari di Windsor. Ci consegna, dunque, un Falstaff, la cui comicità è diffusamente aliena da eccessi caricaturali, anzi abbastanza spesso contornata da un alone di tutt’altra natura. Del resto Eleonora Duse – tra l’altro, all’epoca amante di Boito – ebbe a definire il Falstaff addirittura “una cosa (…) malinconica”.Lo spettacolo si svolge utilizzando la tecnica del “teatro nel teatro”: la scena (un palco ligneo, sormontato da un soppalco, con due scale simmetriche ai lati) propone, infatti, la ricostruzione del famoso Globe Theatre di Londra – che ospitò la compagnia di Shakespeare – dove si svolge l’azione scenica, che nel primo atto avviene in contemporanea con le prove del Sogno di una notte di mezza estate in presenza dell’autore stesso. Contribuiscono alla perfetta riuscita dello spettacolo le doviziose scene di Dick Bird, i bei costumi d’epoca di Clancy, gli essenziali movimenti coreografici di Joanne Pearce, le luci di vara intensità, in sintonia con le diverse situazioni sceniche, di Jean Kalman e Fabio Barettin.
Sul versante musicale, Myun-Whun Chung si è confermato l’interprete fine e sensibile, che ha da tempo conquistato il pubblico della Fenice. La sua lettura si avvale di un’ampia tavolozza sonora, che gli consente di valorizzare appieno le tante raffinatezze racchiuse nella variegata scrittura verdiana – frutto, tra l’altro, della straordinaria perizia nell’orchestrazione dimostrata dall’ultimo Verdi – di volta in volta densa o rarefatta, a seconda delle esigenze drammaturgiche; il tutto grazie ad un gesto sempre efficace ed equilibrato, volto ad ottenere dall’orchestra – che ha brillato nell’insieme come nelle singole parti, dimostrando che va affinandosi sempre di più – un suono di trasparente eleganza anche nei momenti di maggiore impatto ritmico o sonoro; e dai cantanti una perfetta rispondenza alle esigenze del dettato verdiano, che – aderendo al magistrale, multiforme testo poetico di Boito – impone un fraseggio ricco di inflessioni espressive. Protagonista della serata è stato, nel ruolo eponimo, Nicola Alaimo, che – assecondando l’impostazione registica – ha evitato ogni effetto plateale, intonando doverosamente ogni battuta senza cadute di stile. Voce duttile ed omogenea, gestualità misurata eppure efficace, physique du rôle senza bisogno di alcun elemento posticcio: queste le principali carte vincenti, che hanno consentito al baritono palermitano di offrire un’interpretazione particolarmente gradita al pubblico, delineando un Sir John Falstaff che si colloca al giusto mezzo tra il serio e il faceto. Gli ha corrisposto, per prestanza vocale e finezza interpretativa, Vladimir Stoyanov, che ci ha regalato un Ford dai toni giustamente accesi, anche grazie ad un timbro ricco di armonici e a una tessitura estesa, segnalandosi nel celebre “monologo delle corna”. Un Fenton assolutamente credibile è stato delineato da René Barbera, tenore lirico-leggero dalla vocalità rossiniana, perfettamente a suo agio nella parte, mentre una sicura professionalità, unita a un opportuno senso della misura, ha caratterizzato positivamente gli altri ruoli maschili: il Dr. Cajus di Christian Collia come il Bardolfo e il Pistola, offerti rispettivamente da Cristiano Olivieri e Francesco Milanese, che hanno evitato fin troppo facili effetti macchiettistici. Ineccepibile Sara Mingardo, che ha delineato una Quickly intrigante, sorniona e adulatrice, come richiede il personaggio, senza mai compromettere la levità e l’eleganza della sua prestazione canora con le tradizionali ruvide scivolate nel registro di petto. Decisamente positiva anche la prova offerta dagli altri ruoli femminili: la Nannetta di Caterina Sala che, dotata di una voce dal timbro puro e squillante, ha portato una ventata di tenerezza amorosa in un contesto diffusamente prosaico e farsesco; l’Alice di Selene Zanetti, che ha sfoggiato una vocalità corposa accompagnata da una prorompente verve interpretativa; la Meg di Veronica Simeoni analogamente apprezzabile – come è naturale per una cantante del suo livello – sul piano vocale e gestuale. Ottima la prestazione del coro, istruito da Alfonso Cajani. Apoteosi finale con applausi e acclamazioni, in primis per Chung e Alaimo.