Torino, Auditorium “G. Agnelli” del Lingotto
English Baroque Soloists Monteverdi Choir
Direttore John Eliot Gardiner
Henry Purcell: “Jehova, quam multi sunt hostes mei” Z.135; Claudio Monteverdi: Messa a 4 voci da cappella SV190; Giacomo Carissimi: “Jepthe”; Henry Purcell: “Hear my prayer, O Lord” Z.15; Domenico Scarlatti: “Stabat Mater” in do minore a 10 voci.
Torino, 2 novembre 2022
John Eliot Gardiner gode di apprezzamento e fama universale, almeno tra i cultori della musica colta e di nicchia. Il suo repertorio barocco, costruito con il Monteverdi Choir e gli strumentisti dell’ English Baroque Soloists, ha dimensioni impressionanti così come quello classico-romantico e financo contemporaneo in cui si presenta alla guida dell’Orchestre Revolutionnaire et Romantique. I tre complessi sono stati fondati da lui a partire dagli anni 60 del 900, quando era ancora un allievo di Cambridge e cantava nel coro della celebre Università.
I due complessi dediti alla musica barocca hanno, da sempre, sviluppato una mole di lavoro immensa. Il direttore, rigido ed indefesso lavoratore, oltre all’attività concertistica e discografica, approfondisce e pubblica studi di musicologia, qui si cita La Musica nel castello del cielo (Einaudi 2017), ponderosissimo saggio su J.S.Bach. Oltre alla partecipazione a molti festival, immancabile è quella annuale ai BBC Proms alla Royal Albert Hall di Londra, programma almeno un tour nel continente che, a differenza degli artisti pop, non ha quasi mai lo scopo di promuovere un nuovo CD. Si ricorda, nel 2017, la tappa italiana alla Fenice con le tre opere di Monteverdi e nel 2019 la sensazionale Semele di Handel, approdata alla Scala, dopo Parigi, Barcellona e Londra.
Caratteristiche peculiari del direttore inglese e dei suoi complessi sono lo studio e il rispetto meticoloso della partitura, scevri da ogni ombra di pedanteria. Non ci sono, nelle loro esecuzioni, né eccessi nei tempi né nelle dinamiche e neppure, sono inglesi, nell’espressione dei sentimenti. Gli strumenti impiegati sono originali o copie conformi, resi sempre ben udibili e intonati. Venustà, vivacità ed intellegibilità dell’esposizione sono caparbiamente perseguite, cosicché si evitino al pubblico ristagno d’attenzione e sbadigli.
La formazione degli English Baroque Soloists, messa in palco per la serata del Lingotto, schiera solo 5 strumenti: chitarrone, viola da gamba, arpa, contrabbasso e l’accoppiata con medesimo esecutore clavicembalo/organo. La funzione degli strumenti è, se prevista dagli spartiti, di basso continuo, altrimenti di raddoppio voce e sostegno d’intonazione. I pezzi in esecuzione non prevedono mai interventi melodici degli strumenti, quindi niente violini e legni. Peraltro, il Concilio di Trento, conclusosi solo da qualche decennio, imponeva che in chiesa la musica cantata avesse piena intellegibilità del testo e nessun strumento vi suonasse oltre all’organo.
Venti sono invece i membri del Monteverdi Choir che, con ripartizioni variabili, passano dalle parti da solisti ai vari raggruppamenti richiesti per l’esecuzione di brani che prescrivono dalle 4 alle 10 voci.
Il programma prevede, all’apertura delle due parti, un brano di Henry Purcell, sicuro omaggio al più grande musicista connazionale. A 5 voci, con basso continuo prescritto, il primo Jehova quam multi sunt hostes mei; a 8 voci a cappella, ma qui sostenute dai pizzicati di arpa e clavicembalo, il secondo, unico brano non in latino, Hear my prayer, oh Lord. I brani sono sufficientemente corti da potersi considerare un omaggio ed una introduzione.
Gli altri 3 brani, sono capolavori “cuore e sostanza” della serata, percorrono circa 200 anni del barocco chiesastico italiano, dandone un primo quadro seppur limitato d’insieme.
Claudio Monteverdi (1567-1643) Messa a 4 voci da cappella, pubblicata a Venezia nel 1642 nella raccolta della Selva Morale e Spirituale, ma probabilmente, in gran parte, anteriore al periodo veneziano. Un Gloria Patri e un Credo, noccioli di dottrina, ligi al Concilio tridentino e a Palestrina, sono intellegibili e aridi. Passionali, come tutto il vero Monteverdi, l’iperbolico madrigalistico Kyrie-Christe, il trionfante Sanctus con allegato Hosanna e l’appassionato Benedictus. In chiusura un altrettanto commovente Agnus Dei, definitiva umanissima preghiera. Segue e non ci può essere contrasto più stridente, lo Jephte di Giacomo Carissimi (1605-1674). Su questa storia del padre dissennato che vota a morte il primo mortale che incontrerà dopo la vittoria, ci ahnno messo la bandierina molti compositori, i massimi sono Handel con l’omonimo dilagante oratorio e Mozart, chiamandolo Idomeneo, con l’altrettanto fluviale opera. Carissimi sta molto “abbottonato” e si accontenta di una ventina di minuti. L’attenzione deve rimanere ben desta per coglierne le perle, nascoste tra le pieghe di lunghi recitativi e di avari ariosi. Magnifico comunque il finale Plorate Colles della figlia di Jephte che all’ ululate che chiede alla natura di condividere il suo dolore trova il supporto del coro in eco a coadiuvarla.
Ultima tappa, nella seconda parte, di Domenico Scarlatti (1685-1757) lo Stabat Mater a voci 10!!! Si ipotizza sia una composizione di Domenico 30enne, quando in Vaticano dirigeva una cappella papale. Stupefacente per polifonia, tecnica compositiva e la comunicativa. Rimangono impressi, tra i molti punti significativi, le “i” insistite di Quis est homo, qui non fleret, l’autentico dolete di Matrem … dolentem cum Filio?, e l’ansimare della linea melodica nel dum emisit spiritum. Come ci si aspetta, ricchissima e splendidamente barocca l’ultima terzina che chiude in Paradisi gloria.
Sir John Gardiner, con il proverbiale severo cipiglio, nel suo ormai mitico e stagionato outlook, nera casacca di velluto con fodera e risvolti cremisi ha condotto con sovrana maestà e competenza. I suoi complessi vocali e strumentali hanno raggiunto apici di qualità e di maestria. Chi mai in questo repertorio potrebbe far meglio? A trovare un’ombra: le voci femminili, in acuto, in particolare sul “forte”, suonano “fisse”, poco gradevoli ad orecchi latini.
Molto più pubblico di quanto non ci si sarebbe attesi e anche molto entusiasmo. Molti i giovani che speriamo siano stati invogliati ad intervenire da una politica promozionale avveduta. Le approvazioni più sonore e convinte venivano da loro. Foto © Mattia Gaido