Teatro Comunale di Sassari:”Don Pasquale”

Sassari, Teatro Comunale, Stagione Lirica 2022
DON PASQUALE”
Opera buffa in tre atti di Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti
Musica di Gaetano Donizetti
Don Pasquale FRANCESCO LEONE
Dottor Malatesta MATTEO GUERZÈ
Ernesto MILOŠ BULAJIC
Norina AIRI SUNADA
un Notaro NICOLA EBAU
Orchestra dell’Ente Concerti Marialisa de Carolis
Corale Luigi Canepa
Direttore Cesare Della Sciucca
Maestro del coro Luca Sirigu
Regia Mariano Bauduin ripresa da Rosangela Giurgola
Scene Nicola Rubertelli
Costumi Marianna Carbone
Luci Tony Grandi
Allestimento dell’Associazione artistico-culturale XXI Secolo di Viterbo
Sassari, 11 novembre 2022
Come sarà cinquanta anni più tardi col Falstaff di Verdi, anche per Gaetano Donizetti il canto del cigno è rappresentato da un’opera “buffa”, ma evidentemente con varie anomalie rispetto a un genere ormai alla fine della propria parabola artistica. Il compositore, già minato dalla sifilide, porta a compimento un capolavoro che contiene tutti i topoi stilistici e drammaturgici della vecchia tradizione, ma velato da un’evidente malinconia sia nella figura del protagonista che nel delicato afflato lirico d’impronta chiaramente romantica. Facile inoltre, anche qui come per Verdi, vedere l’amara identificazione dell’autore col profilo del personaggio del titolo; un indizio è dato inoltre dal principale motivo di scontro con l’autore del libretto (Ruffini disconobbe infatti il proprio lavoro, notevolmente modificato dallo stesso compositore) che avrebbe voluto la solita ambientazione settecentesca tra trine e parrucche, mentre Donizetti pretendeva un’opera solidamente borghese, calata nella realtà del proprio tempo. Non a caso, nell’allestimento per la stagione lirica curata dall’Ente Concerti de Carolis, il regista Mariano Bauduin (la ripresa è stata curata da Rosangela Giurgola) costruisce il proprio progetto sul triste rimpianto del passato e l’inadeguatezza per il presente dell’anziano protagonista: Tempus fugit incombe ben chiaro nella struttura scenografica di Nicola Rubertelli che, con un profilo da tempio laico, ruota su se stessa nelle varie scene svelando un lato antico e uno più moderno vagamente futurista. La trovata è pratica, intelligente e gradevole, seppur ripetitiva, e ha il merito di risolvere agilmente i cambi scena senza troppe complicazioni. D’altro canto è poco differenziata l’alternanza di elementi contemporanei donizettiani e del suo futuro nella bell’époque, che è decorativa ma non motivata e compie sostanzialmente un passo indietro rispetto all’impatto dirompente, per l’epoca, di rappresentare la contemporaneità su un palcoscenico. In parole povere si tratta di un buon allestimento connotativo che rimane un po’ a metà del guado, perdendo l’occasione d’incidere in maniera più coraggiosa su temi e situazioni di grande attualità. Comunque, grazie ai bei costumi di Marianna Carbone, alle luci di Tony Grandi e a una regia semplice e coerente, lo spettacolo scorre bene, senza faticare troppo nelle lungaggini di un testo datato pure per l’epoca. Eccellente protagonista di questa visione è un Francesco Leone assolutamente sorprendente per maturità vocale e stilistica nonostante la giovane età: sicuro nell’emissione, centrato tecnicamente, uguale e brunito su tutto il registro, ha veramente offerto una prestazione artistica impeccabile da tutti i punti di vista. Era ovviamente impossibile pretendere il dolore e certe sfumature che arriveranno con l’esperienza, ma la crescita del cantante e dell’interprete è evidente. Notevole inoltre la varietà dei colori offerti nella recitazione, trovando su questo piano un ottimo alleato nel Dottor Malatesta di Matteo Guerzè, validissimo soprattutto nel canto articolato, che ha ben condotto una parte fondamentale per la tenuta drammaturgica di tutta l’opera. Bella siccome un angelo passa scorrevole e quasi distratta (forse incalzata dal direttore) a fronte di versioni più meditate, però perfettamente coerente nel contesto e soprattutto nel testo che assegna un cantabile in quella che comunque rimane una scena dialogica. Buona la prestazione anche di Airi Sunada nella parte di Norina, soprattutto dal punto di vista vocale, per il ruolo tecnicamente più impegnativo dell’opera; la cavatina Quel guardo il cavaliere… So anch’io la virtù magica è cantata impeccabilmente e cesellata in maniera convincente, ricca di sfumature e dinamiche che impreziosiscono la linea melodica. Non del tutto adeguato è apparso invece l’Ernesto di Miloš Bulajic che ha avuto l’ingrato compito di sostituire il tenore titolare all’ultimo momento. Era comprensibile un certo spaesamento sulla scena, ma va detto che la difficoltà della parte (scritta per il virtuoso cagliaritano “Mario” De Candia, tra l’altro compagno della prima Norina, Giulia Grisi) è stata tutto sommato ben risolta grazie a un’efficace tecnica d’immascheramento, ma la povertà timbrica e dinamica è stata piuttosto evidente, sottraendo tensione drammatica ed espressione ai suoi interventi. Da segnalare inoltre gli interventi precisi del Notaro di Nicola Ebau e la partecipazione dei mimi Cristian Ferlito, Mauro Fiori e Marco Velli. La direzione di Cesare Della Sciucca ha il pregio di badare al sodo e a una buona tenuta teatrale d’insieme, con agogiche varie e talvolta interessanti, pur senza troppa attenzione al dettaglio; è stato ben supportato dall’affidabile orchestra dell’Ente Concerti (veramente eccellente il solo della tromba nell’aria di Ernesto) e da una Corale Canepa leggera, fresca e senza vibrati senili, ben preparata da Luca SiriguBuono il consenso del pubblico che ha risposto con partecipazione, non solo con la presenza, alla proposta artistica.