Novara, Teatro C. Coccia, stagione d’opera 2022
“LE CONVENIENZE ED INCONVENIENZE TEATRALI”
Farsa in due atti su libretto di Domenico Gilardoni
Musica di Gaetano Donizetti
Corilla CAROLINA LIPPO
Procolo PAOLO INGRASCIOTTA
Mamma Agata SIMONE ALBERGHINI
Luigia LEONORA TESS
Dorotea LORRIE GARCIA
Guglielmo DIDIER PIERI
Biscroma Strappaviscere ANDREA VINCENZO BONSIGNORE
Prospero Salsapariglia STEFANO MARCHISIO
L’impresario DARIO GIORGELÈ
L’ispettore del teatro JULIUSZ LORANZI
Orchestra Filarmonica italiana e Coro del Teatro Coccia
Romae Capital Ballet
Direttore Giovanni Di Stefano
Maestro del coro Yirui Weng
Regia Renato Bonajuto
Drammaturgia Alberto Mattioli
Scene Danilo Coppola
Costumi Artemio Cabassi
Coreografie Riccardo Buscarini
Novara, 13 novembre 2022
Il teatro Coccia chiude la stagione 2022 con una produzione briosa e spumeggiante che conquista il pubblico per due ore di autentico divertimento. “Le convenienze e inconvenienze teatrali” sono una macchina straordinaria, un perfetto canovaccio su cui una compagnia di cantanti attori ben rodata può dar fuoco alle polveri con estro e libertà. La produzione novarese al riguardo non delude e se agisce profondamente sulla forma dello spettacolo ne rispetto ed esalta i caratteri più profondi. Alberto Mattioli – qui in funzione di drammaturgo – partendo dal presupposto che la satira per essere efficacia debba essere chiaramente fruibile dal pubblico agisce pesantemente sul libretto spostandone la vicenda ai nostri giorni e ironizzando sui vizi e sui vezzi delle mode teatrali del nostro tempo a cominciare dall’ossessione filologica. Se la musica – e gran parte dei testi cantati – non sono modificati se non in minima parte si aggiungono scene parlate con riferimenti ad artisti e situazioni contemporanee. La vicenda è spostata nella provincia novarese, i cantanti citati sono le stelle di oggi, si scherza sulla direttrice artistica della Fondazione Teatro Coccia, cambiano le definizioni di alcuni ruoli: il poeta si fa regista, il compositore diventa direttore d’orchestra e l’impresario che qui diventa sovrintendente è una palese caricatura di Meyer con tanto di accento francese.
Tutto stravolto? Tutto forzato? Per nulla, tutto scorre con la più assoluta naturalezza, la macchina teatrale di Donizetti mostra tutta la sua modernità e certi adattamenti non sono lontani dalla prassi del tempo quando lavori di questo tipo erano di norma adattati a contesto e interpreti. Molto è – com’era al tempo – lasciato anche all’improvvisazione con la Mamma Agata di Simone Alberghini che gioca ulteriormente con il testo come nell’omaggio alle colleghe presenti in sala.
La regia di Renato Bonajuto è perfettamente centrata. Sfrutta una compagnia di ottimi cantanti-attori perfettamente affiatata, tratteggia molto bene i singoli personaggi e lascia che lo spettacolo proceda con una freschezza e una spontaneità davvero coinvolgenti. Le scene di Danilo Coppola, sono semplici ma efficaci. Il primo atto – visto dal palcoscenico – occhieggia a certi moduli stilistici dell’arte povera italiana mentre nel secondo compaiono – con taglio giustamente caricaturale – tutti gli stereotipi del teatro barocco. Discorso analogo per i costumi di Artemio Cabassi sobriamente realistici nel primo atto – tranne quelli ovviamente iper-appariscenti di Agata – e caricatura dei costumi tradizionali da opera seria nel secondo.
Giovanni Di Stefano dirige l’Orchestra Filarmonica italiana con brio e buon passo teatrale lasciando procede l’azione senza intoppi e accompagnando con precisioni i cantanti. In alcuni punti il suono orchestrale ci è parso fin troppo caricato e – considerando anche l’ottima acustica della sala novarese – si sarebbero preferite sonorità più leggere ma si tratta di scelte interpretative.
Il cast come già accennato funziona prima di tutto come compagnia, come gruppo perfettamente equilibrato in cui le singole personalità sono perfettamente inserite nell’ingranaggio complessivo.
Giganteggia per esperienza e personalità scenica Simone Alberghini come Mamma Agata. Imponente fisicamente e vocalmente domina la scena da autentico mattatore. La voce è sempre sicura e solidissima ma a emergere sono le doti d’interprete che in un ruolo come questo hanno la possibilità di emergere alla massima potenza. Alberghini canta, recita, balla, diverte e si diverte, domina la scena eppure non risulta mai eccessivo e sempre calato nel ruolo. Alberghini ha inoltre il merito di non ridurre Mamma Agata a una macchietta ma vi infonde tratti di sincera umanità.
Carolina Lippo (Corilla) che avevamo ascoltato lo scorso anno in Salieri ci è parsa ancor più a suo agio in quest’opera. Voce di soprano lirico leggero dal canto facile e preciso, esegue con gusto e precisione “Oh luce di quest’anima” inserita come aria di baule nel II atto. In scena gioca in modo assai divertente la parte della prima donna interessata solo ad apparire. Al suo fianco Paolo Ingrasciotta (Procolo) centra perfettamente il ruolo nel suo carattere altalenante tra sottomissione alla moglie e smanie di protagonismo.
Didier Pieri (Guglielmo) sfoggia un canto musicale ed elegante, impeccabile nell’aria del secondo atto ma molto bravo anche a stonare o a simulare afonia quando richiesto dal gioco scenico.
Leonora Tessa è una Luigia vocalmente cristallina e tratteggia un personaggio non banale, capace di ritagliarsi un proprio spazio all’ombra dell’invadente genitrice. Bella è calda la voce di Lorrie Garcia nel fin troppo breve ruolo di Dorotea, qui un mezzosoprano costretto a fingersi controtenore per venire incontro alle smanie pseudo-filologiche del direttore.
Andrea Vincenzo Bonsignore (Biscroma Strappaviscere) ha caricaturale autorità, vocalmente risulta ben accoppiato con il Prospero Salsapariglia di Stefano Marchisio qui trasformati in direttore/filologo e regista della riscoperta “Romolo ed Ersilia”. Dario Giorgelè è impegnato soprattutto sul piano attoriale come Impresario ma canta in modo piacevole la scena con Mamma Agata all’inizio del II atto. Completano la componente artistica Juliusz Loranzi come ispettore del teatro, il Coro del Teatro Coccia e il balletto Romae Capital Ballet.
Il piano filologico vede una versione ibrida tra quella napoletana del 1827 – compresa l’onomastica di tutti i personaggi e il duetto “Senza tanti complimenti” – e quella milanese del 1831 con maggior sviluppo della finta recita del II atto. L’aria di baule inserita oltre alla già citata “Luce di quest’anima” è il duetto del “Don Pasquale” “Il marito con sua pace” qui trasformato in un terzetto Guglielmo, Agata e Luigia inoltre viene inserita una sezione dei ballabili de “La favorita” con i ballerini costretti a condividere la loro esibizione con la sempre invadente Mamma Agata.
Sala purtroppo con ampi spazi vuoti ma caloroso successo per tutti gli interpreti.