Genova, Teatro Carlo Felice, Stagione d’Opera 2022/23
“BÉATRICE ET BÉNÉDICT”
Opéra-comique in due atti di Hector Berlioz, tratta da “Molto rumore per nulla” di William Shakespeare.
Musica di Hector Berlioz
Béatrice SOFIA KOBERIDZE
Bénédict GIORGIO MISSERI
Héro FRANCESCA BENITEZ
Claudio YOANN DUBRUQUE
Ursule EVE-MAUD HUBEAUX
Don Pedro NICOLA ULIVIERI
Léonato GÉRALD ROBERT-TISSOT
Somarone IVAN THIRION
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice Genov
Direttore Donato Renzetti
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Regia Damiano Micheletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Agostino Cavalca
Coreografia Chiara Vecchi
Luci Alessandro Carletti
Nuovo allestimento dell’Opéra di Lyon in collaborazione con la Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova
Genova, 05 novembre 2022
Encomiabile è la scelta del Teatro Carlo Felice di Genova di aprire la stagione con l’ultima opera composta da quel genio che fu Hector Berlioz, giacché si tratta (a “soli” centosessant’anni dalla prima) della sua prima rappresentazione italiana. “Béatrice et Bénédict” fuori dai nostri confini ha infatti avuto già una certa fortuna, anche in epoca recente, per lo più per il suo rapporto con l’autore, che la compose in uno stato di grande sofferenza per la morte della moglie, e con la fonte letteraria del libretto, la commedia shakespeariana “Molto rumore per nulla”. Tuttavia non si può evitare di constatare anche gli oggettivi limiti che l’ultimo lavoro di Berlioz mostra: prima di tutto l’esilissima drammaturgia – curata dallo stesso compositore – che, delle tre narrazioni di cui il capolavoro shakespeariano si fa carico, ne porta avanti una soltanto, cioè l’amore litigarello tra l’arguto cavaliere Benedetto e la tagliente nobildonna Beatrice (i personaggi del titolo); di questa vicenda, inoltre, non sa conservare lo spirito incalzante e frizzante, ricorrendo a parentesi liriche ove sarebbero stati meglio recitativi. E proprio quest’approccio porta al secondo limite, e cioè quello dell’opéra-comique, un genere che rifiutava il recitativo all’italiana per proporre una più o meno equilibrata mescolanza di momenti parlati e altri cantati. In Italia le opéra-comique si portano tradizionalmente in scena adattate, con recitativi musicati talvolta dagli stessi compositori originari, appositamente per i nostri palcoscenici (pensiamo a “Carmen” di Bizet o “Lakmé” di Delibes), ma anche in Francia nel secondo Novecento si è spesso accolta questa versione più omogenea e musicale. Ebbene, i recitativi musicali di “Béatrice et Bénédict” non ci sono, e il Carlo Felice compie la coraggiosa scelta di riproporlo in purezza, dunque con brevi scene recitate in francese. Il materiale su cui lavorare, dunque, non manca: opera, prosa, momenti sinfonici e da ballo; peccato che Damiano Micheletto, incaricato della regia, decida con un’altrettanto coraggiosa quanto sconsiderata mossa, di liberarsi della maggior parte del suddetto materiale, costruendo una sua propria drammaturgia che, sia chiaro, non solo non tiene conto del libretto, ma nemmeno contribuisce alla comprensione di un’opera rara, e quindi de facto sconosciuta al pubblico. Il primo atto è ambientato in uno studio di registrazione asettico, dove arrivano coristi annoiati, soldati, una famigliola borghese e un gorilla; il secondo, invece è un giardino edenico nel quale si muovono Adamo ed Eva e il gorilla, ma anche gli altri personaggi, e che, con un coup de théâtre sorprendente quanto gratuito, si trasforma in una gabbia, in cui figuranti in giacca e cravatta vestono da sposi i proto-uomani, e li rinchiudono in teche da museo sospese per aria. Quasi tutti i recitati sono detti a microfoni su aste posti in proscenio. Micheletto insomma inverte le dinamiche tipiche dell’opera: dove ci dovrebbe essere azione mette stasi, dove dovrebbe esserci abbandono o immobilità mette le sue trovate. Interessante éscamotage tutto sommato cerebrale e peregrino, che, in verità, non di poco penalizza la comprensione di un già debole libretto e l’avvicinamento a una partitura certamente magnifica ma che tende a perdersi in una certa monotonia. In ogni caso, le scene di Paolo Fantin e i costumi di Agostino Cavalca rimangono pregevoli, benché asservite a una simile regia, così come pure le luci di Alessandro Carletti inquadrano perfettamente le scene. Il cast vocale si assesta, anch’esso, su un buon livello: una Béatrice solida e dall’acuto facile è Sofia Koberidze, che tuttavia propone una vocalità un po’ impersonale e un fraseggio poco incisivo (la sua pagina d’eccellenza, comunque, Dieu! Que viens-je d’entendre… Il m’en souvient viene eseguita con classe e sobrietà); soave ed eterea (talvolta anche troppo) è la Héro di Francesca Benitez, che ci regala la pagina in assoluto più affascinante dell’opera, Nuit paisible et sereine, aria ultrasentimentale sostenuta in duetto col contralto Eve-Maud Hubeaux (Ursule), vera rivelazione di questa produzione, grazie a un bel timbro e un suono perfettamente modellato sulla linea di canto; certo anche Giorgio Misseri sostiene bene la parte del protagonista, Bénédict, con emissione naturale e buona cura del fraseggio, ma nel suo caso è il francese recitato che forse andrebbe spogliato di qualche italianità di troppo; ottimamente in parte anche Ivan Thirion, un Somarone dal bello smalto e attentissimo ai colori che il ruolo più buffo dell’opera richiede. Molto risicati gli altri ruoli (Don Pedro di Nicola Ulivieri – un cameo, praticamente – Claudio di Yoann Dubruque e Léonato di Gérald Robert-Tissot), che si muovono comunque nell’alveo della correttezza. Efficacissimi gli interventi dei molti figuranti e tutto sommato piacevole e divertente anche il Coro, ben diretto dal maestro Claudio Marino Moretti. La direzione di un solidissimo ed acclamato professionista quale Donato Renzetti non si può discutere più di tanto: ci è sembrato che questa partitura al maestro abruzzese stesse un po’ stretta, per sfruttamento dell’organico orchestrale e lunghezza (due ore scarse), ma certo nulla si può eccepire alla coesione praticamente perfetta tra buca e scena. Il teatro, alla pomeridiana di sabato, era praticamente vuoto, e il poco pubblico ha sollevato anche parecchie perplessità. Ci auguriamo sia stato più numeroso e clemente alle altre repliche.