Venezia, Teatro La Fenice, Lirica e balletto, Stagione 2021-2022
“LA FILLE DU RÉGIMENT”
Opéra-comique in due atti, Libretto di Jean-François-Alfred Bayard e Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges.
Musica Gaetano Donizetti
La Marquise de Berkenfield NATASHA PETRINSKY
Sulpice, sergent ARMANDO NOGUERA
Tonio, jeune Tyrolien JOHN OSBORN
Marie, jeune vivandière MARIA GRAZIA SCHIAVO
La Duchesse de Crakentorp MARISA LAURITO
Hortensius, intendant de la Marquise GUILLAUME ANDRIEUX
Un paysan DIONIGI D’OSTUNI
Un caporal MATTEO FERRARA
Un notaire FEDERICO VAZZOLA
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Stefano Ranzani
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Regia, scene e costumi Barbe & Doucet
Light design Guy Simard
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con Fondazione Teatro Regio di Torino
Venezia, 22 ottobre 2022
È tornata dopo mezzo secolo alla Fenice – a chiusura della Stagione – La Fille du régiment di Gaetano Donizetti, proposta per la prima volta nella versione francese. La precedente sua apparizione sul palcoscenico del teatro veneziano – allora, come d’abitudine, in italiano – risale al 1975: nel cast spiccavano i nomi mitici di Mirella Freni e Alfredo Kraus. La messinscena ideata da André Barbe e Renaud Doucet si rifà – pur in modo originale – alla tradizione. La Fille nasce nel momento in cui il corpo di Napoleone viene riportato a Parigi, agli Invalides, suscitando un’ondata di patriottismo, nondimeno i due si sono focalizzati, più che sulle vicende storiche, sui sentimenti che vi stanno dietro. Inoltre hanno spostato il loro interesse sulla Seconda guerra mondiale: non tanto sul conflitto in sé quanto sulla memoria ad esso legata, potendo filtrare la loro narrazione attraverso i ricordi di una signora novantenne, che ha vissuto la tragedia della guerra: si tratta della nonna di Renaud Doucet – di cui hanno raccolto la testimonianza –, dietro la quale si cela Marie alla fine della sua vita. Così, quando gli spettatori entrano in sala, vedono su uno schermo un’anziana signora (l’attrice Daniela Foà), che li guarda. Poi, durante l’Ouverture, un successivo video – come il precedente in bianco e nero – mostra una famiglia (figli, nipoti e pronipoti), che fa visita alla medesima signora nella stanza di una casa di riposo, dove ella conserva tutti i suoi effetti personali. L’ambientazione del primo atto – quella tirolese prevista dal libretto – prende spunto proprio dagli oggetti contenuti in questa stanza, ingigantiti: il quadro con soldati e le montagne sullo sfondo, l’immagine della Madonna, un tipico orologio a cucù tirolese, le medicine, di cui abbisognano gli anziani, la macchina giocattolo, portata dal nipotino. Poi, nel secondo atto, si portano sulla scena altri oggetti personali della vecchia signora, sempre di dimensioni smisurate, tra i quali agiscono i personaggi: la scatola dei gioielli, il carillon, l’orologio, la medaglia, la penna, il busto di Donizetti. Così, la storia viene narrata – in modo efficace e originale – attraverso la mente di Marie molto avanti con gli anni, per quanto la marcia alquanto grottesca degli anziani, impediti da difficoltà motorie – a simboleggiare la decadenza dell’aristocrazia –, non era la quintessenza del buon gusto. Gradevoli i costumi anni Quaranta del secolo scorso, che facevano pensare, con i loro colori accesi, a certe illustrazioni del passato, tipiche delle storie per ragazzi. Funzionali alle varie fasi dello spettacolo le luci – in prevalenza calde – disegnate da Guy Simard.
Venendo all’esecuzione musicale, Stefano Ranzani – che giustamente non si permette di effettuare nessun taglio –, sorretto da un’Orchestra della Fenice sensibile e attenta al gesto direttoriale, punta a valorizzare la pregevolezza dell’orchestrazione, valorizzandone in modo particolare l’eleganza e la brillantezza, nonché evitando fin troppo facili effetti “militareschi” o una preponderanza sonora dell’orchestra a danno delle voci.
Quanto a queste, se gran parte dei cantanti debuttava in quest’opera, il tenore John Obsborn affrontava per l’ennesima volta la parte di Tonio, reduce dai recenti successi di Bergamo. Vero contraltino, è inutile dire che ha suscitato notevole entusiasmo nella celebre cabaletta dei nove do di petto, “Pour mon âme”, seguente all’aria “Ah! Mes amis, quel jour de fête!”, anche se certi passaggi, forse dovuti a un’emissione “mista”, assumevano un che di sofisticato, senza nulla togliere alla complessiva eccellenza della prestazione. All’incontenibile entusiasmo espresso dal brano precedente si è poi contrapposto il puro lirismo di “Pour me rapprocher de Marie”, confermando la duttilità vocale e interpretativa del tenore americano. Da parte sua, il soprano napoletano Maria Grazia Schiavo ha sfoggiato un bel timbro cristallino anche se forse è risultata un po’ troppo “fissa” negli acuti. Diffusamente validissima, comunque, è stata la sua prestazione, a delineare il duplice carattere di Marie: disinvoltura e spavalderia si sono colte nel rondò “Chacun le sait, chacun le dit”, così come come un tono liricamente malinconico ha attraversato “Il faut partir” e “Par le rang et par l’opulence”.Timbro squillante ed eleganza nel canto hanno caratterizzato l’encomiabile prestazione del baritono argentino Armando Noguera (un paterno Sulpice: ad es. in “Au bruit de la guerre”), anche grazie a una notevole presenza scenica, mentre il mezzosoprano austriaco Natasha Petrinsky ha sfoggiato una voce brunita con un registro grave particolarmente scuro, affrontando con efficacia sia vocale che scenica, la parte della sussiegosa Marchesa de Berkenfiled (Pour une femme de mon nom”). All’altezza anche tutti gli altri, nei ruoli minori: Guillaume Andrieux (Hortensius), Dionigi D’Ostuni (Un paysan), Matteo Ferrara (Un caporal), Federico Vazzola (Un notaire). Nel ruolo della Duchesse de Crakentorp, si merita la simpatia da parte del pubblico un’ammiccante Marisa Laurito, che, in questo allestimento, ha più spazio rispetto a quello generalmente accordato al personaggio, esibendosi, con la sua tipica verve, nella canzone “Arrivano i nostri”, per quanto non proprio in sintonia con la vicenda. Ottima la prestazione del Coro della Fenice – istruito da Alfonso Caiani –, che canta con autorevolezza e si muove bene sulla scena. Applausi per tutti alla fine con ripetute chiamate.