Roma, Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone – Sala Santa Cecilia, Stagione Sinfonica 2022/2023
“ELEKTRA”
Tragedia in un atto su libretto di Hugo von Hofmannsthal, da Sofocle
Musica Richard Strauss
Elektra AUSRINE STUNDYTE
Chrysothemis ELISABETH STRID
Klytämnestra PETRA LANG
Aegisth NEAL COOPER
Orest KOSTAS SMORIGINAS
L’aio di Orest NICOLÒ DOMINI
Cinque ancelle ARIANA LUCAS, ANNE SCHULDT, MONIKA-EVELIN LIIV, KATRIN ADEL, ALEXANDRA LOWE
Un giovane servo LEONARDO CORTELLAZZI
Un vecchio servo ANDREA D’AMELIO
La sorvegliante MAURA MENEGHINI
la confidente MARTA VULPI
L’ancella dello strascico BRUNA TREDICINE
Sei serve CRISTINA CAPPELLINI, SARA FIORENTINI, ANTONELLA CAPURSO, ROBERTA DE NICOLA; FEDERICA PAGANINI, TIZIANA PIZZI
Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore Sir Antonio Pappano
Maestro del Coro Piero Monti
Esecuzione in forma di concerto
Roma, 20 ottobre 2022
Una serata di quelle che rimangono a lungo impresse nelle orecchie e nel cuore di chi ha avuto la fortuna di parteciparvi: Elektra di Strauss, sotto la guida di Pappano che debuttava il titolo, ha inaugurato quella che sarà l’ultima Stagione Sinfonica del Maestro come Direttore musicale dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Se è vero che Elektra non ha frequentato troppo i palcoscenici romani, è altrettanto vero che, invece, Richard Strauss a Roma era di casa, con ben diciassette concerti, tra il 1908 e il 1936, diretti con i complessi di Santa Cecilia, come ci ricorda la interessante mostra documentaria allestita nel Foyer del Parco della Musica.
Il mondo di Elektra è un mondo al limite, anzi, ben oltre il limite – che è continuamente superato, infranto: “… bis an die Grenzen der Harmonik» arrivare fino ai limiti della armonia – scrive Strauss a proposito della sua musica pensata per una eroina, Elettra, che è già un archetipo nella classicità – dalla trilogia della Orestea di Eschilo gli stessi Sofocle ed Euripide seppero ‘estrarre’ il singolo personaggio che diventa eponimo delle loro rispettive tragedie – di un mondo emotivo e psichico intriso di dolore e di vendetta, vòlto alla morte. Da essa, dalla morte, sia come lutto oggettivo sia come lutto emotivo, Elettra nasce e ad essa intenzionalmente si consacra, oscillando tra odio, isteria, debolezza, ossessione e sarcasmo, perdendo spesso contatto con la realtà che la circonda, col filo stesso della vicenda che ella agisce dal di dentro. Elettra nella sua doppia identità – di figlia ultrice e di sorella complice – esalta una forma malata di accudimento e protezione – una ospitalità distorta – nei confronti del fratello Oreste, armandone la mano, nell’urlo di disperazione per la perdita e il tradimento. L’Elektra di Hofmannstahl (e di Strauss) raccoglie quel grido ‘tragico’ che viene da tanto lontano, dal mito greco, arcaicamente crudele, cupamente magico e lo scaglia, amplificandone il volume, sul timpano del Novecento, in una accelerazione neo-classica-espressionistica in cui è possibile identificare (e riconoscere) tutte le tensioni e i conflitti della modernità occidentale – famiglia e società – sull’orlo del primo conflitto mondiale incombente. L’archetipo mitico, così, diventa simbolo assoluto del contemporaneo. La Guerra di Troia, l’assassinio di Agamennone da parte di sua moglie Clitennestra ed Egisto, la concitata e disperata decisione della figlia Elettra di portare immediatamente al sicuro il fratello Oreste fuori dalla città, determinandone il destino ad impugnare l’arma della vendetta per il padre e della giustizia per la madre sono gli agenti di un contesto drammaturgico fortemente claustrofobico, che concentra il focus di azione sulla corte di Micene, in quelle stanze – sul luogo del delitto, si direbbe – dove tutto ha avuto inizio col ritorno di Agamennone, accolto dalla sinistra profezia di Cassandra. Non esiste nessuna via di fuga, nessuna redenzione che permetta ai personaggi di ‘salvarsi’ dalle proprie azioni. Oreste chiude l’anello tragico, l’errore, condannando la madre e l’amante di lei, Egisto, alla stessa fine tragica che hanno inferto al padre secondo un contrappasso che, con la fine, sancisce un nuovo inizio. Ce n’è in abbondanza per Freud e tutta la scuola di Vienna che muoveva in quegli anni – siamo nel 1909, con la prima di Elektra a Dresda – i primi fondamentali passi nella strada della conoscenza del ‘profondo’ e dell’inconscio.
Wo bleibt Elektra, irrompe l’ancella in scena, «dove si trova Elektra». Fin dalla prima nota d’apertura dell’opera, Sir Antonio Pappano con l’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia, in stato di grazia, restituisce quella tensione sonora di cui è intrisa la partitura: una scrittura a macchie di suono, che il Direttore esalta nella scelta di dinamiche fortemente estremizzate, febbricitanti, a sottolineare uno stato di incertezza continua e profonda. Un fluire di suono senza interruzione è come una domanda che non trova risposta – quelle mani alzate al cielo dal palcoscenico – nessuna compensazione, solo estasi e catarsi: si celebra una messa tragica – Pappano officiante, coro e orchestra (poderosa, in numero e volume) e i solisti, uniti nella morsa del destino – per un pubblico di fedeli che vive rapito dalla musica per circa due ore. Elektra è – con Salome – il Tristan del Novecento, un’opera che partecipa intensamente a tutta l’eredità wagneriana -formale e sostanziale – e dialoga con una dimensione ‘sinfonica’ che Strauss ha continuato per tutta la vita a perfezionare. Nessuna regia (nel senso più completo del termine), scene o costumi si sono sovrapposti alla lettura ‘da concerto’ dell’opera: solo alcuni accorgimenti necessari e preziosi per esaltare il contesto narrativo, lo svolgimento -comunque- teatrale dell’opera stessa. A cominciare dall’ingresso di Ausrine Stundyte, Elektra, dalla figura sottile e tormentata, in continuo movimento, che ha letteralmente dominato il palcoscenico col suo carisma. Il modo in cui la Stundyte ha rappresentato il tumulto interiore, l’abbandono, la disperazione e il delirio è stato stupefacente. Con l’impiego di mezzi vocali e attorali di rara intensità la Stundyte è stata perennemente il centro di quel vortice distruttore che è il ruolo stesso, che, nell’attenzione al gesto, all’accento, all’intenzione vocale, ha risolto con una intelligenza interpretativa di assoluto prim’ordine. Rispondeva la maestosa Clitemnestra di Petra Lang, altrettanto convincente nel canto e nella recitazione (indimenticabile il suo lento incedere nel lungo abito nero con i suoi capelli biondo-ramato, mossi, lucenti e disordinati come una Medusa). Elisabet Strid nel ruolo di Crisotemide, è riuscita a definire un personaggio sensualissimo, una ‘altra-Elettra’ che cerca la vita e non la morte. Kostas Smoriginas è stato un Oreste diligentemente espressivo, così come Neal Cooper nella parte di Egisto, con quel che di grottesco, di decadente (già tipico della coppia genitoriale in Salome) che il personaggio richiede. Brave anche le cinque ancelle, Ariana Lucas, Anne Schuldt, Monika-Evelin Liiv, Katrin Adel e Alexandra Lowe. Pubblico attonito, col fiato sospeso, finché Elektra ricade sulla sedia. È il segnale della conclusione. Applausi ininterrotti per dieci minuti. Tutto è compiuto. Così terreno e, al tempo stesso, così trascendente.Foto: Musacchio, Ianniello, Pasqualini & Fucilla