Parma, Teatro Regio, Festival Verdi 2022
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Coro del Teatro Regio di Parma
Direttore Michele Mariotti
Maestro del coro Martino Faggiani
Soprano Marina Rebeka
Mezzosoprano Varduhi Abrahamyan
Tenore Stefan Pop
Basso Riccardo Zanellato
Giuseppe Verdi:“Messa da Requiem per coro, voci soliste ed orchestra
Parma, 30 ottobre 2022
Un grandissimo successo ha contrassegnato il Requiem di Michele Mariotti al Festival Verdi. E indubbiamente si tratta di un’esecuzione di altissimo livello: l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI tirata a lustro offre una splendida prova di virtuosismo tecnico, così il coro del Regio, e di grande prestigio anche il cast vocale. E che tutti coerentemente remassero sulla stessa rotta è segno, una volta di più, che la direzione Mariotti la esercita, e con successo. Adesso vengono i però. Però l’impressione è quella di una tensione a stupire, a superare le aspettative, e quindi eccedere, e quindi esagerare, e quindi caricare. Ne risulta una notevole ricerca di effetti che dà vita a tanti bei momenti, ma discontinui. Un’interpretazione sbalorditiva, nient’affatto classica.
Le oscillazioni del tempo, seppur minime, non sono propriamente quello che si dice un tocco di classe, a maggior ragione se la musica è sacra. Per inciso: le discussioni sul cosiddetto stile sacro verdiano mettono un po’ di buon umore se si consideri come un così poetico coro di sacerdoti egizi inneggianti sulle sponde del Nilo, incantevole, sì, ma troppo lungo per il teatro, faccia invece la sua distinta figura quale primo numero della Messa da Requiem; e lo stesso vale per quel tema sfilato a Filippo II e finito dritto dritto nel Lacrymosa. Fine dell’inciso. Da un gioco di opposizioni fra le dinamiche risulta un’immagine della partitura fin troppo contrastata, al punto che se ne confondono i lineamenti. L’equilibrio fra le masse, specie nell’intensità del fortissimo, finiva per soccombere ad una generica eccitazione, penalizzando il coro. E allora la troppo lunga prova di acustica tragicamente terminata col celebre Tortellinari! di Celibidache diventa un mito incredibile, come quello dei direttori che mandavano qualcuno qua e qualcuno là per farsi dire come risultava il suono: cose da pazzi.
Insomma, un’esuberanza di energia, travolgente sì, ma che cosa comunica? Di grande effetto, indubbiamente, ma forse un po’ sterile. Se poi volessimo inserirlo in un ideale albero genealogico delle pratiche esecutive, gli spetterebbe un posto onorato su quello stesso ramo al cui principio sta posato Abbado, ma guardando poco oltre si scoprirebbe che c’è già un altro che quanto a indiavolateria si è spinto persino oltre: si chiama Currentzis. Ora finalmente un però che inverte il senso: però deve essere riconosciuto il grande lavoro che è stato fatto, anche e soprattutto con i solisti. Che non si sono risparmiati e anzi hanno fatto di tutto per assecondare gli intenti del direttore, come del resto è giusto che sia. Per primo Stefan Pop, perfettamente sulla stessa lunghezza d’onda di Mariotti, un’intesa che già da sola è uno spettacolo. Ha lavorato magnificamente sulle mezze voci, fino a farne un cavallo di battaglia. Il tentativo di Mariotti di spogliare il canto lirico di una qual certa maniera, di un qual certo vibrato, di una qual certa espressività patetica ha trovato in Riccardo Zanellato una porta sfondata. Anche Varduhi Abrahamyan non è stata lasciata sola, neanche un attimo di libertà. Lo stesso giusto giogo portava Marina Rebeka, che però è quella che si dice una fuoriclasse e si riconquistava tutta la scena con la “sola” magia del suo timbro pieno, morbido, pastoso, voce rotonda e ricca di armonici: non c’è niente da fare.Una pregevolissima esecuzione, curata nei minimi dettagli (che non sono mai minimi e non sono neanche dettagli: si fa per dire). Just not my cup of tea.
Foto Roberto Ricci