Como, Teatro Sociale, Stagione Notte 2022/23
“NORMA”
Tragedia lirica in due atti su libretto di Felice Romani, tratto dalla tragedia “Norma, ou L’infanticide” di Louis-Alexandre Soumet.
Musica Vincenzo Bellini
Norma MARTINA GRESIA
Pollione ANTONIO CORIANÒ
Adalgisa VETA PILIPENKO
Oroveso ALESSANDRO SPINA
Clotilde BENEDETTA MAZZETTO
Flavio RAFFAELE FEO
Orchestra “I Pomeriggi Musicali” di Milano
Coro OperaLombardia
Direttore Alessandro Bonato
Maestro del Coro Massimo Fiocchi Malaspina
Regia Elena Barbalich
Scene e Costumi Tommaso Lagattolla
Luci Marco Giusti
Nuovo Allestimento in coproduzione Teatri di OperaLombardia e Teatro Verdi di Pisa
14 ottobre 2022
La “Norma”, davanti alla quale il circuito di OperaLombardia ci pone, porta alla luce alcune importanti questioni interpretative, che non vengono risolte neppure dal (solitamente snobbato) materiale di sala – e restiamo molto stupiti dal fatto che nessuno dei colleghi di altre testate si sia ancora esposto a parlare dell’elephant in the room, come direbbero gli inglesi. Ma andiamo al punto: la protagonista di questa produzione (sul valore della quale torneremo più avanti) è Martina Gresia, soprano giovane e indiscutibilmente dotato vocalmente. La Gresia sfoggia una notevole estensione, un suono fresco e senz’altro piacevole, tondo e ricco di armonici, e una certa attenzione per il fraseggio lungo tutta l’ardua scrittura del ruolo; siamo, tuttavia, di fronte a un’interpretazione scenica che lascia quantomeno perplessi, che lì per lì non sappiamo se ascrivere all’interprete o a una precisa scelta di regia. La Norma della Gresia non fa che barcollare, inciampare, buttare indietro il capo strabuzzando gli occhi, allungare le mani come in improvvisi attacchi di cecità. Così, per tutta l’opera. Un certo sconcerto emerge anche tra il pubblico: un gruppo di spettatori francesi, seduti in platea, dal secondo atto inizia a ridere nemmeno troppo sommessamente di ogni possibile élan che il personaggio dimostra. Ora, non si vuole assolutamente “prendersela” con qualcuno, ma non si può guardare uno dei più perfetti esempi di opera lirica della storia irriso da un’invasata che vagola senza grazia per il palcoscenico: è offensivo per lo spettatore, ma soprattutto per l’opera d’arte in sé e la memoria dei suoi autori. La cosa si ripete così spesso e con così tanta convinzione che ci sorge il dubbio la signorina Gresia stia in scena malata, attanagliata da febbre ed effetti farmacologici. Invece – pare, ma non ne abbiamo avuto certezza – che la pantomima costante sia un’indicazione di Elena Barbalich, regista di questa produzione: se è così la cosa è ancora più grave, perché ci sono limiti del ridicolo che nessun regista dovrebbe sentirsi autorizzato a superare – possiamo soprassedere sulle pareti a specchio, sui neon in scena, sui costumi vagamente fantascientifici (dev’essere il nuovo trend di Tommaso Lagattolla, visti anche quelli della “Favorita” piacentina), su Pollione in versione Capitan Harlock, sullo specchio appeso alla Svoboda, fin tanto che contribuiscono a una lettura dell’opera coerente col suo valore. Ma gestire in questo modo il personaggio della protagonista (che forse secondo la regista dovrebbe essere una sorta di medium in perenne stato di trance?), ridicolizzandolo platealmente, è davvero inammissibile, e fa scivolare le belle prove canore di tutti (Gresia compresa) in secondo piano. Perché ci sono effettivamente delle belle prove canore: il Pollione steampunk di Antonio Corianò ha certamente sfoderato colori pregevoli, tecnica sicurissima e una linea di canto omogenea; Veta Pilipenko è stata una splendida Adalgisa, dal fraseggio attento e sofferto, l’emissione naturalissima e gli acuti luminosi – non abbiamo dubbi nel definire i duetti Norma-Adalgisa i momenti di maggior suggestione della serata. Belle prove di sé hanno dato anche Benedetta Mazzetto (Clotilde) e soprattutto Raffaele Feo (Flavio), giovane tenore di bel temperamento – esito più alterno, invece, per Alessandro Spina (Oroveso), scivolato man mano in una interpretazione un po’ impersonale. Inoltre, il coro di OperaLombardia (ben diretto dal maestro Massimo Fiocchi Malaspina) ha saputo dare un contributo decisivo alla recita, sia dal punto di vista scenico che da quello della bella omogeneità dimostrata.La concertazione di Alessandro Bonato, d’altro canto, ci è parsa voler privilegiare una visione marcatamente sinfonica. In quest’ottica sicuramente emerge una indubbia sensibilità coloristica e vigore, ma proprio su quest’ultimo aspetto al giovane maestro è talvolta un po’ sfuggito il controllo sonoro in rapporto al palcoscenico (con un’orchestra decisamente troppo pervasiva), a scapito dell’espressione belcantistica della partitura, che così sembra scivolare verso un’identità meno propria. In rapido giudizio di sintesi: un bell’insieme di talenti letteralmente vanificato dalla delirante (nel senso letterale del termine) mis en scène, tanto da costringerci, in alcuni momenti, a chiudere gli occhi e concentrarci solo sulla musica di Bellini. E quella, beh, non può tradir mai alcuna aspettativa. Foto Umberto Favretto