Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, tratto dal poema “The Corsair” di Lord Byron.
Prima rappresentazione: Trieste, Teatro Grande, 25 ottobre 1848. Primi interpreti: Marianna Barbieri-Nini (Gulnara), Carolina Rapazzini (Medora), Gaetano Fraschini (Corrado), Achille de Bassini (Seid), Giovanni Volpini (Giovanni), Giovanni Petrovich (Selimo).
Per seguire la nascita del Corsaro è necessario ritornare al 1845, quando Verdi sta lavorando alla Giovanna d’Arco. Dopo la prima scaligera di quest’opera appare sulla “Gazzetta Musicale di Milano” edita da Ricordi una recensione alquanto malevola. Il musicista è risentito con colui che è anche il suo editore e, per ripicca, firma un contratto per tre opere con Francesco Lucca, diretto rivale di Casa Ricordi. la prima è destinata all’Her Majesty Theatre di Londra, con il quale sono in corso trattative. Verdi pensa che il soggetto più adatto per il teatro londinese sia The Corsair di Lord Byron e affida a Piave la stesura del libretto. Di tutt’altro parere è l’editore Lucca, al quale il musicista risponde deciso: “Io faccio il corsaro o niente…”. Così, tra un puntiglia una ripicca, che porteranno a una rapida conclusione della collaborazione tra Verdi e Lucca, vanno in scena Alzira a Napoli e Attila a Venezia. Verdi, nonostante il crollo psicofisico avvenuto dopo la prima veneziana, continua a difendere la sua intenzione di scrivere Il Corsaro. A Piave, che intende cedere il libretto, scrive.” “Ma che? Sei diventato matto o il sei per diventare? Che io ti ceda Il Corsaro? Quel Corsaro che ho vagheggiato tanto, che mi costa tanto in pensieri, e che tu hai verseggiatore con più cura del solito?” Frattanto Verdi porta termine Macbeth (Firenze, 1847) e quando ritorna l’impegno londinese, l’idea del Corsaro non entusiasma più di tanto, tant’è che il suo interesse è per I Masnadieri di Schiller. Nel luglio del 1847 vanno in scena a Londra I Masnadieri, dopodiché Verdi si dedica alla Jérusalem, il rifacimento francese de I Lombardi, che andrà in scena all’Opéra di Parigi il 26 novembre 1847. A questo punto ricompare Il Corsaro. Ancora Parigi, Verdi riprende la composizione quasi con distacco e piuttosto frettolosamente; il soggetto e lo stesso libretto del Piave non lo appagano più, ma Verdi non si prodiga affatto in cambiamenti o adeguamenti. Termina la stesura dell’opera, invia la partitura a Francesco Lucca, accompagnata da un secco comunicato: “Previo il pagamento di 1200 napoleoni d’oro da 20 franchi che il signor Lucca si compiacerà di fare in Milano al signor Emanuele Muzio, il suddetto signor Lucca diverrà assoluto proprietario del libretto e della spartito del Corsaro che io ho espressivamente composto per soddisfare all’obbligo che io avevo contratto seco con scrittura il 6 ottobre 1845“.
Da questo momento per Verdi Il Corsaro è un affare concluso. Accusando un forte raffreddore, al quale si aggiungono la rivoluzione parigina del 1848 e la presenza della Strepponi, Verdi non si muove dalla Francia. Il Corsaro è così affidato a Emanuele Muzio, che dirige la prima rappresentazione, il 25 ottobre 1848, al Teatro Grande di Trieste. il cast è di prim’ordine: Marianna Barbieri-Nini, Gaetano Fraschini e Achille De Bassini sono voci particolarmente amate da Verdi. Cantanti che però non riescono a salvare l’opera dall’ostilità del pubblico triestino, forse offeso dalla mancata presenza del compositore.
Il Corsaro non è caduto subito nell’oblio come la povera Alzira, è indubbio che Verdi non si preoccupa più di tanto di incoraggiare le riprese. Una partitura frettolosa, forse, ma non disprezzabile. I due personaggi femminili sono ben caratterizzati, soprattutto nei tratti vocali: prettamente lirico il canto di Medora, più marcatamente drammatico quello di Gulnara. Nei personaggi maschili di Corrado e Seid possiamo invece ravvisare i tratti di quello che sarà l’ardore passionale di Manrico e la gelosia vendicativa del Conte di Luna del Trovatore. Non mancano pagine musicali di valore, a partire dalle bellissime inflessioni belcantistiche della scena e romanza di Medora “Non so le tetre immagini” dell’atto primo, forse la pagina più celebre dell’opera. Degna di nota e anche la Cavatina di Gulnara:”Vola talor dal carcere, nel secondo atto”, così come interessante per scrittura drammatica è il duetto tra Gulnara e Seid nel terzo atto. Nello stesso atto è rimarcabile la scena del carcere, così come il finale dell’opera, con il terzetto Medora, Corrado, Gulnara, pagina che mette in luce la grande espressività e raffinatezza della strumentazione verdiana.