“Don Giovanni” al Teatro Comunale di Sassari

Sassri, Teatro Comunale, Stagione lirica 2022
DON GIOVANNI”
Dramma giocoso in due atti su libretto di Lorenzo Da Ponte.
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Don Giovanni VINCENZO NIZZARDO
Donna Anna KAREN GARDEAZABAL
Don Ottavio SANTIAGO SANCHEZ
Il Commendatore MARIANO BUCCINO
Donna Elvira CARMEN BUENDIA
Leporello DAVIDE GIANGREGORIO
Masetto ALBERTO PETRICCA
Zerlina FRANCESCA PUSCEDDU
Coro e Orchestra dell’Ente Concerti “Marialisa De Carolis”
Direttore Sergio Alapont
Maestro del Coro Salvatore Rizzu
Regia Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi
Scenografia Leila Fteita
Costumi Nicoletta Ceccolini
Luci Tony Grandi
Nuovo allestimento dell’Ente Concerti “Marialisa De Carolis”
Sassari, 14 ottobre 2022
Lorenzo Da Ponte, al termine della sua lunghissima vita, organizzava stagioni liriche a New York e racconta nelle sue memorie che uno dei suoi abbonati gli chiedeva regolarmente di essere svegliato prima della tal aria o di un certo duetto: “Caro Da Ponte, l’opera italiana è così noiosa… giusto qualche brano”. Ma una sera in cui si rappresentava il “suo” Don Giovanni riporta orgogliosamente che, recatosi dal solito abbonato per sapere quando volesse essere svegliato, costui esclamò: “Ma scherzate?!? Nel Don Giovanni non si dorme, né durante lo spettacolo, né la notte dopo!” Il raccontino rende bene l’dea di come il capolavoro mozartiano sia ben sopravvissuto al suo creatore e della grande considerazione di cui ha sempre goduto. Non può quindi non essere salutata con favore la sua riproposizione, seppure dopo solo sette anni dalla sua ultima produzione nella stagione lirica organizzata dal De Carolis, anche se in un allestimento che, pur con vari elementi di pregio, ha cercato di contraddire l’aneddoto dell’autore del libretto. Inutile ripercorrere gli infiniti tentativi di dare differenti sfumature a una delle figure archetipe dell’immaginario occidentale, comunque la trovata di un Don Giovanni figura eterna che indossa via via panni sempre più moderni fino ai giorni nostri, è efficace nella sua semplicità e ha il merito di occupare, una volta tanto in maniera non fastidiosa, lo spazio scenico durante la sinfonia d’apertura. Altro elemento apprezzabile è stato il bell’impianto scenico di Leila Fteita, elegante e funzionale, giocato su una bipartizione verticale e movimentato da alcune aperture a scomparsa gestibili per le entrate. Nell’impostazione assai minimale le ottime luci di Tony Grandi rivestono un ruolo fondamentale, esaltando dettagli, rivelando contrasti, isolando figure e situazioni con un utilizzo vario e interessante anche di piccoli spot. In questo senso sono efficaci le poche ed equilibrate macchie di colore esaltate dai grigi sia della scenografia che dei bei costumi di Nicoletta Ceccolini. Ma se a un apparato interessante non segue altrettanta idea registica ci troviamo di fronte a un’impostazione estetizzante da cui ricavare belle foto o brevi video promo, ma non uno spettacolo di tre ore dove bisogna far vivere dei personaggi, rendendo plausibile una storia e delle emozioni. Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi impostano bene lo spettacolo ma mancano proprio di un’efficace e coerente direzione nella gestione dell’azione drammaturgica; i personaggi appaiono divisi tra momenti di recitazione naturalistica ed altri in cui sono immobilizzati in un lento gesticolare convenzionale, senza alcun tipo di contatto, in una sorta di teatrino da statuette di Capodimonte dove la postura stereotipata identifica il ruolo del personaggio. Il giochino stanca presto e lo scopo di formare bei quadri statici (pur efficaci, come quello orizzontale nel finale dell’opera) finisce per confliggere col dinamismo dell’opera; anche perché, ad aggravare la cosa, il vuoto totale di qualunque oggetto scenico e il prosciugamento di luoghi, direzioni e soggetti, toglie logica e drammaticità alla narrazione, con effetti spesso paradossali nella mancanza di coerenza tra gesto e parola. L’effetto, specialmente nella seconda parte dell’opera, dove più zoppica la drammaturgia di Da Ponte, è una sfilata di arie meravigliose ma svuotate di reale urgenza espressiva; fortunatamente regge il tutto, oltre la straordinaria musica, una buona gestione coreografica delle scene col coro e i mimi, che interrompono la complessiva monotonia dei movimenti. È migliore l’aspetto esecutivo, anche se la gestione registica finisce per influenzare l’interpretazione musicale; il cast è senza particolari punti deboli e un direttore esperto e sensibile come Sergio Alapont conduce con precisione l’insieme, ma una sostanziale monocromia dinamica ha caratterizzato generalmente l’espressione e l’agogica, apparse invece adeguate e vivaci negli ottimi recitativi. Hanno spiccato su tutti l’eccellente Leporello di Davide Giangregorio, soprattutto per colore vocale e precisione tecnica, e la Donna Anna di Karen Gardeazabal di cui era apprezzabile la freschezza del timbro e la buona omogeneità su tutto il registro. Bene anche Vincenzo Nizzardo nel ruolo del titolo, di discreta presenza vocale e forse il meno impacciato dall’immobilismo registico, che invece ha penalizzato la pur valida Carmen Buendia nella parte di donna Elvira. Corretto ma un po’ troppo esile vocalmente e nell’espressione il Don Ottavio di Santiago Sanchez, mentre sono apparsi adeguati la vivace Zerlina di Francesca Pusceddu, Mariano Buccino nel ruolo iconico del Commendatore e il Masetto di Alberto Petricca, a fuoco sia vocalmente che nell’espressione. Apprezzabile nell’insieme la prova dell’orchestra dell’Ente Concerti De Carolis e una nota di merito va al coro omonimo che si è distinto per freschezza, omogeneità e correttezza stilistica: un buon esordio per il nuovo maestro del coro, Salvatore RizzuBuon successo di pubblico con tanti applausi e qualche perplessità sulla regia.