Sir Walter Scott (Edimburgo, 15 agosto 1771 – Abbotsford House, 21 settembre 1832) a 190 anni dalla morte.
Ai nostri giorni è molto difficile rendersi conto dell’importanza avuta dal romanzo storico nella cultura europea dell’Ottocento: basti pensare che the bride of Lammermoor di Walter Scott, ora pressoché sconosciuto, al suo apparire, nel 1819 conobbe una straordinaria popolarità, e che prima di raggiungere l’immortalità nella Lucia di Lammermoor di Donizetti, le tristi vicende di questa eroina scozzese erano state ampiamente utilizzate in numerose trasposizioni teatrali e melodrammatiche. Prima di Donizetti, anche Rossini c’era lasciato coinvolgere dalle malinconiche atmosfere di Scozia descritte da Scott di The Lady of the Lake due punti nella sua donna del lago (1819) Rossini, fondamentalmente estraneo aromanticismo nord-europeo, sia anima di languide melodie ed i canti marziali dei clan scozzesi.
Ma le suggestioni e le passioni che scaturivano dai romanzi di Scott si fanno più palpabili nella Lucia di Lammermoor (1835) grazie anche all’ottimo libretto di Salvatore cammarano, il compositore coglie pienamente l’atmosfera misteriosa, notturna, gotica.
La grande scena della pazzia della Lucia di Lammermoor è senza alcun dubbio il momento più celebre dell’opera, e allo stesso tempo rappresenta il punto più alto dell’ espressività operistica del primo romanticismo italiano, che aveva trovato nelle scene di delirio o di follia uno dei poli, se non il fulcro principale, di buona parte dei melodrammi di questo periodo. L’importanza che il compositore dava questo genere di scene drammatiche lo si deduce dalla ampiezza (anche in termini di durata) e dalla cura con la quale venivano concepite: nella scena della pazzia della Lucia di Lammermoor, per esempio, troviamo un momento corale, con la presenza di un solista (in questo caso un basso) che descrive l’oscuramento della ragione dell’eroina e ne prepara l’ingresso, e quando questa entra, tutta l’attenzione si concentra su di lei: in un ampio recitativo (“Il dolce suono”)i Lucia ricostruisce la propria vicenda sentimentale, rivivendola; si giunge così all’aria – che in questo caso ha più il carattere di un arioso (“Ardon gli incensi”) una sorta di prolungamento del recitativo. In questo momento lirico la protagonista, ormai completamente proiettata in una dimensione ultraterrena, crede di realizzare il suo sogno d’amore., quindi, dopo una scena di collegamento, la “follia” si conclude con una cabaletta (“Spargi d’amaro pianto”), nella quale Lucia ritrovando per un momento una dolorosa lucidità, dà il suo addio alla vita terrena. Generalmente affidata personaggi femminili le “le scene di follia” esprimono l’unica condizione in cui l’eroina-vittima trova una propria impossibile attuazione sentimentale, ma anche una serie una sorta di rivalsa nei confronti dei propri aguzzini.