Reggio Emilia, Festival Aperto 2022: “Mythologies” di Angelin Preljocaj

Reggio Emilia, Teatro Valli, Festival Aperto 2022
“MYTHOLOGIES”
Coreografia Angelin Preljocaj
Ballet Preljocaj & Ballet dell’Opéra National de Bordeaux 
Musica originale Thomas Bangalter
Orchestre National Bordeaux Aquitaine
Direttore Romain Dumas
Scene
Adrien Chalgard
Luci Éric Soyer
Costumi Adeline André
Video Nicolas Clauss
Coreologo Dany Léque
Assistente alla direzione artistica Youri Aharon Van den Bosch
Produzione Ballet Preljocaj e Ballet de lOpéra National de Bordeaux
Prima rappresentazione italiana
Reggio emilia 24 settembre 2022
Angelin Preljocaj, coreografo francese di origine albanese, già Cavalier della Legion d’onore, inaugura in modo strabiliante il Festival Aperto “post pandemia”, con una coreografia creata per 20 ballerini (10 della Ballet Preljocaj e 10 della Ballet de l’Opéra de Bordeaux). La genesi di quest’ “opera monumentale” (proprio così sento dire dietro di me da uno spettatore, a fine spettacolo), concepita addirittura grazie all’apporto di un coreologo (colui che studia il movimento del corpo umano), dà ragione nel pensare di aver assistito ad un momento storico di rinnovamento della danza contemporanea. Infatti questo lavoro, che a mio giudizio è una partitura cólta e minuziosa della rappresentazione dei miti e dei riti di ogni tempo, fa avvertire la sensazione, mista di stupore e ammirazione, che Preljocaj abbia intenzionalmente puntato esattamente a questo risultato, mettendo a frutto il lavoro di due interi anni.
In un’intervista il coreografo di “Gravité” (visto a Versailles nel dicembre 2019) rivela di essere partito dalla lettura di “Mythologies” di Roland Barthes per capire come i rituali contemporanei, derivanti dalla pubblicità in ogni sua forma, attingano alla mitologia greco-romana, perché il mito veicola il contenuto che è spesso legato al sistema di valori e credenze di una società. Si alza il sipario per l’ “Ouverture” (nel programma per la stampa si legge che ogni scena ha un suo titolo), su quello che potrebbe essere il monte Parnaso per la presenza delle muse-danzatrici e degli aedi-danzatori con abiti leggeri e colorati, come usciti dall’omonimo affresco di Raffaello (Parnaso, Stanza della Segnatura) delle stanze vaticane, e ha inizio la fondazione del mito, da uno ne nasce un altro. Appare “Talestri, regina delle amazzoni” che, secondo una leggenda, assecondò il desiderio di Alessandro Magno di generare una nuova razza umana, forte e intelligente come lui. Le 13 notti d’amore tra la regina e il semidio sono inscenate dai ballerini con amplessi in costumi sadomaso stile “Human Nature” di Madonna. L’apparizione di Danae (che è solo suggerita) è preceduta da un duetto saffico, molto suadente e ben orchestrato da movenze leggere e delicate contrapposte a slanci repentini e fughe nelle quinte sceniche. Dall’unione della dea e Zeus sottoforma di pioggia dorata (vedi omonimo dipinto del Tiziano, 1546), nasce Perseo, altro mito, che sconfigge la gorgone Medusa: stavolta il duetto si alterna a una coreografia di gruppo, sempre molto bene in sincrono e con gesti sulla battuta dell’accompagnamento musicale a cura di Thomas Bangalter, ex Daft Punk.
Ecco il Minotauro, figlio del Toro di Creta e di Pasifae, consorte del re Minosse, che qui balla, come ne “La bella e la bestia” con Arianna, tornata in sogno a Creta dall’isola dove Teseo l’aveva abbandonata. E ancora nàiadi, vestali, ancelle, ninfe, monàdi tutte in scena per celebrare il mito di Icaro, impersonato da una danzatrice che, appesa ad un cavo, compie alcuni volteggi e poi lentamente precipita al centro di una scena infuocata che sembra invece alludere all’Inferno dantesco generato dalla caduta di Lucifero sulla Terra.
Tutto lo spettacolo, un’ora e mezza piena, è un tripudio di trovate sceniche che non danno tregua; forse le luci, secondo me non hanno sempre saputo ben drammatizzare ogni scena in un palco costantemente nero sul cui fondale nel finale sono proiettate immagini di guerra in bianco e nero, intervallate velocemente dalle lettere che compongono la parola Mythologies.
In “Mythologies” Angelin Preljocaj rappresenta la mitopoiesi, quella tendenza dello spirito umano a interpretare la realtà in termini mitologici, perché fa interagire l’immaginario collettivo del pubblico, iconograficamente impersonificato dai volti giganteschi proiettati a tutto sipario, con le divinità fondatrici del mito classico, rappresentate in scena, per concludere che i riti ideologici del Novecento e contemporanei (la guerra per il potere), non sono che la loro rievocazione, nel bene e nel male. Foto di Jean-Claude Carbonne