Piacenza, Estate Farnese 2022: “La Traviata”

Piacenza, Palazzo Farnese, Estate Farnese 2022
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti, su libretto di Francesco Maria Piave, tratto da “La signora delle camelie” di Alexandre Dumas figlio.
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta 
ALEXANDRA GRIGORAS
Flora Bervoix 
PAOLA LO CURTO
Annina 
AGNES SIPOS
Alfredo Germont 
GIUSEPPE MICHELANGELO INFANTINO
Giorgio Germont
 ALESSIO VERNA
Gastone, visconte di Létorières
GIACOMO LEONE
Barone Douphol
LUCA MARCHESELLI
Marchese d’Obigny
LORENZO SIVELLI
Dottor Grenvil
PAOLO MARCHINI
Giuseppe FABIO TAMAGNINI
Un domestico di Flora/Un commissionario KAZUYA NODA
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Direttore Jacopo Rivani
Maestro del Coro Corrado Casati
Regia Andrea Battistini
Costumi a cura della  Sartoria Teatrale Bianchi
Luci e Audio Acid Studio
Coreografie Ines Albertini, Walter Angelini
Nuova Produzione “Amici della Lirica” di Piacenza
Piacenza, 10 settembre 2022
Anche quest’estate la magnifica cornice del Palazzo Farnese piacentino ospita la messa in scena di un’opera lirica: se l’anno scorso è stato il turno di “Tosca”, quest’anno l’Associazione “Amici della Lirica” ha scelto “La traviata”, il più popolare titolo verdiano. L’accurata organizzazione ha scelto per i tre protagonisti tre interpreti giovani ma dalle ottime prospettive: Violetta è Alexandra Grigoras, che si riconferma voce versatile e di bel corpo; la sua è una Violetta tecnicamente solida, sebbene il fraseggio, soprattutto nel primo atto sia un po’ generico, atto comunque superato con una certa sicurezza. Nel proseguo dell’opera il soprano romeno ha sicuramente dato il megio di sè: un maggior abbandono lirico che l’hanno vista sfoggiare piacevoli messe di voce, filati e i la ricchezza armonica della voce. Giuseppe Michelangelo Infantino è un Alfredo dalla vocalità spontaneamente luminosa, caratterizzata da un’emissione omogena in tutta la gamma. Dovrà trovare una maggiore accuratezza nel fraseggio. Abilissimo fraseggiatore si rivela Alessio Verna, che ci propone un Giorgio Germont dalla vocalità forse un po’ troppo “giovanile”, ma caratterizzato da una cura espressiva quasi inusuale per il ruolo: Germont diviene un personaggio sofferto e lacerato, e Verna propone una linea di canto coerente al ruolo. Forse, a dirla tutta, non convince completamente  questa interpretazione, ma sarà stata certamente caldeggiata dal maestro Jacopo Rivani, che dirige con una certa esuberanza, oltre che con grande afflato patetico, l’Orchestra Filarmonica Italiana, cercando di limitare al massimo un certo “bandismo“ nel quale è facile scivolare in Verdi. Tra gli altri ruoli spiccano un paio di vocalità notevoli per impostazione e colore, quelle di Agnes Sipos (Annina) e Giacomo Leone (Gastone, visconte di Létorières). Vocalmente molto valido anche l’apporto del Coro del Teatro Municipale, per quanto penalizzato da una certa staticità scenica. In effetti, va detto molto chiaramente, una regia vera e propria dello spettacolo non c’è – sebbene venga attribuita ad Andrea Battistini: non c’è un’idea di fondo, non sono sviluppati i rapporti tra i personaggi, non c’è nemmeno una vera e propria scena (a parte una pedana nera, arricchita di cuscini nel secondo atto e su cui si posiziona una dormeuse nel quarto); le luci hanno un che di casuale e sovente gli interpreti iniziano a cantare al buio – mancanza da attibuire all’Acid Studio, così come i microfoni lasciati aperti durante le coreografie, che hanno amplificato ogni rumore delle punte sulla pedana; i costumi sono “moderni”, sembrano per lo più usciti dai magazzini di qualche franchising internazionale (e nemmeno particolarmente belli alla vista, considerato quanto poco donava l’abito del secondo atto alla Grigoras). La cosa però di cui si sente più la mancanza è proprio la regia: soprattutto nel primo atto ognuno canta per sé, non c’è la minima ricerca di senso nei gesti e nella prossemica, che si appiattisce in un generale “vicino se ci amiamo”-“lontano se non possiamo stare insieme”. Il coro pure soffre di questa mancanza di identità: così se nel primo atto qualcuno timidamente prova a ballare, nel secondo atto è letteralmente immobile, come nella breve parentesi del terzo. La regia lascia spazio, infine, a quattro coreografie (ad opera di Ines Albertini e Walter Angelini) di tipo classico-contemporaneo di indiscutibile fascino, ma sul cui gusto rimaniamo avanziamo qualche dubbio: soprattutto quella sul preludio, dove si vede una Violetta dilettarsi in un letto con tre uomini; belle quelle utilizzate per le zingarelle e i toreri, se non fosse che assorbono tutte le trovate registiche della scena; sicuramente superflua quella “simbolica” sull’inizio del terzo atto. La cosa che irrita, lo diciamo francamente, è che in una cornice come Palazzo Farnese la regia potrebbe farsi quasi da sé, tra arcate, terrazze, scalinate e il palco antistante: il regista, invece, sembra aver ignorato tutto ciò e questo, a nostro parere, è un vero peccato. Il pubblico numeroso in ogni caso dimostra giusto apprezzamento per i tre protagonisti, senza curarsi troppo del resto – e ancora non sappiamo dire se questo sia giusto oppure no. Foto Del Papa