Milano, Teatro alla Scala: “Il matrimonio segreto”

Milano, Teatro alla Scala, Stagione Lirica 2021/2022
“IL MATRIMONIO SEGRETO”
Dramma giocoso per musica in due atti su Libretto di Giovanni Bertati.
Musica Domenico Cimarosa
Geronimo PIETRO SPAGNOLI 
Elisetta FAN ZHOU
Carolina ALEKSANDRINA MIHAYLOVA
Fidalma VALENTINA PLUZHNIKOVA
Il Conte Robinson JORGE MARTINEZ 
Paolino BRAYAN ÁVILA MARTINEZ
Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala
Direttore Ottavio Dantone
Clavicembalo Eric Foster
Regia Irina Brook 
Scene e costumi Patrick Kinmonth 
Luci Marco Filibeck 
Nuova produzione Teatro alla Scala
Milano, 7 settembre 2022
Questo Matrimonio segreto scaligero è il più succoso frutto maturato quest’anno dal Progetto Accademia. Va detto e ricordato che non sono giovani allievi dell’Accademia alla Scala soltanto i cantanti solisti e i membri dell’orchestra, ma anche maestri collaboratori, tecnici foto, video e media, mimi, responsabili della produzione, della comunicazione, dell’ufficio stampa, del marketing: insomma, tutti.
Il Matrimonio segreto è un titolo ideale per il progetto Accademia, non perché sia, come tristemente è ancora comune sentire, un po’ di serie B, ma perché è un sommo esempio di perfezione formale, il prodotto della ricerca di tutto un secolo, il Settecento, su uno dei suoi generi rappresentativi, l’opera buffa italiana.
La lettura di Ottavio Dantone è spigliata e fresca, e come la nuora nella vecchia casa della vecchia suocera finalmente trapassata fa sparire con gioia e soddisfazione vecchi soprammobili polverosi e di cattivo gusto, così Dantone mette al bando quell’indulgere a patetismi e strappalcrimerie che hanno fatto la fortuna ottocentesca del lamento di Carolina costretta al ritiro staccando un bel tempo sostenuto; o della grande aria del tenore Pria che spunti in ciel l’aurora, grande aria che se lasciata all’arbitrio del tenore rischia di diventare grandissima e financo grossa, solo per fare i due più celebri esempi. E l’orchestra dell’Accademia risponde alle richieste tecniche del grande specialista nel repertorio Sette e Seicentesco. Piccoli tagli solo nei recitativi, una chirurgia di precisione e poco invasiva, ma che si poteva felicemente evitare. Alcune caccole e urletti nascosti sotto al tappeto sono balzati fuori quando la regista, Irina Brook, lo ha sollevato. Come confessa lei stessa, il libretto (da lei con ogni evidenza letto in traduzione) non le piace, non le piace e non le piace. Peccato, perché invece tutta la critica lo giudica un ottimo libretto. Poi, alle prove, si è resa conto che non era tanto male e che poteva andare. sullo spettacolo grava sempre l’ombra nefasta di questa sfiducia nell’opera: che così non vada, che così non funzioni, che così non piaccia. Che sia troppo lineare, che sia troppo limpida, che sia troppo scontata e semplice, quando invece proprio queste sarebbero le sue qualità. Non essendo un’opera rivoluzionaria, può vantare almeno di essere la forma più perfetta, equilibrata e completa di opera reazionaria e convenzionale. Con, di più, alcune intuizioni che sarebbero state raccolte di lì a poco da Rossini, che le avrebbe cavalcate e traghettate nel secolo a seguire. Anche se, come già detto, non è su queste che Dantone ha voluto porre l’accento.
Siccome non si vuole essere  il maestro con la matita rossa e blu non ci mettiamo a segnare ed enumerare i fraintendimenti del testo a livello letterale, né le incoerenze e incongruenze inevitabilmente nate delle centinaia di idee messe in campo dalla regista per riempire dei vuoti, che peraltro non ci sono mai sembrati tali. Solo il punto per che ci è parso il più grave: il Conte. Il più farraginoso di tutti i personaggi, quello non a fuoco, quello informe, quello indeciso, quello non chiarito. Forse perché, dopotutto, nell’opera reazionaria, è il meno buffo di tutti? Un bel guaio per Jorge Martinez, che però ne è uscito fuori grazie al suo bel timbro pieno e scuro ed alla sua sprezzatura sul palco, dove ne ha subite, alla lettera, di tutti i colori. Irina Brook, intervistata sul nuovo numero (con nuova grafica) di La Scala Magazine, racconta di un cantante che recitava da cantante a cui ha dovuto consigliare di guardare come modelli gli attori delle serie Netflix: se si aprono le scommesse io punto tutto su Paolino, Brayan Avila Martinez. Il timbro è un po’ opaco e il suono è tendente al nasaleggiante, ma poi a penalizzarlo era una certa rigidezza, una tensione muscolare e nervosa che lo attraversava in scena e che non poteva giovare né alla recitazione né al canto che tuttavia era sempre corretto, deliziosamente musicale e stilisticamente ineccepibile. Il trio dei personaggi maschili si conclude con Pietro Spagnoli, che, si sa, non è un allievo dell’Accademia: sempre disinvolto e credibile anche quando, con ogni evidenza, è costretto a farsi violenza e andar contro il proprio istinto teatrale e musicale.
La Carolina di Aleksandrina Mihaylova combatte fra la spigliata aria da ragazza millennial e un libretto che le prospetta ritiri e non libertà sessuale (non è colpa sua), ma la voce è bella e ricca di squillo, solo si fa acuminata appena sale. La sorella maggiore, Fan Zhou, ha grande voce e piena, emissione molto solida a scapito forse dell’espressione un po’ rigida. Fidalma, la vecchia zia, ringiovanita in Valentina Pluzhnikova, qui è diventa la terza sorella, con voce godibilissima, scura, tonda, carnosa, voluminosa, forse fin troppo per questo repertorio.
L’allestimento, reca la firma prestigiosa di Patrick Kinmonth, è ben realizzato, ma che desta perplessità: conchiglie, pesciolini e coralli che si credevano dimenticati con le vacanze si ripresentano inopinatamente.Tanto ottimo materiale vocale, un po’ tremante per l’inevitabile emozione, e purtroppo penalizzato da una regia antimusicale. Foto Brescia & Amisano