Dramma gaiocoso in due atti su libretto di Carlo Goldoni. Prima rappresentazione: San Pietroburgo, 24 settembre 1783.
Oggi che siamo già andati una prima volta sulla luna, ma non è certamente stata un’impresa facile: la terra è circondata è più che mai di satelliti che controllano i meteoriti, i raggi cosmici, le radiazione degli altri pianeti; la rete di questi i mondi si infittisce ogni giorno di più e diventa un tessuto compatto dal quale si tornerà ad allunare sul notissimo “mare della tranquillità”. Quando invece eravamo tutti avvolti dall’aura protettrice dell’atmosfera, curiosi di gettare uno sguardo al di là di essa ma impossibilitati a farlo, era facilissimo “allunare” su qualche ombra su qualche tratto luminoso del nostro satellite: bastava pigiare sull’acceleratore della fantasia e nella luna ciascuno di noi ci poteva non solo andare, ma anche solo starci a suo piacimento senza tute spaziali e respiratori.
Del resto sono secoli che i “lunatici ” abitano la terra, così come la nostra testa è “sulla Luna” e “avere le lune” può creare qualche problema. In sostanza, prima della svolta dell’era spaziale, i rapporti fra la terra e la luna erano di tale confidenza da permetterci anche di scherzare con il nostro satellite; senza parlare poi delle innumerevoli svenevolezza e romanticherie a cui la luce lunare si trascina ancora oggi, sì che il nostro caro pianeta può essere considerato il responsabile maggiori delle innumerevoli unioni matrimoniali o meno che hanno avuto ed hanno nuovo sulla faccia della terra.
A proposito della presentazione dell’opera di Paisiello su libretto di Goldoni Il mondo della luna, e dei rapporti tra il commediografo veneziano il musicista pugliese viene fatto di rilevare l’arditezza che animava in quei tempi il teatro italiano, sia di musica che di prosa, i cui autori, attori, impresari correvano dall’uno all’altro capo del nostro paese per incontrarsi, intendersi, recitare. Erano avventurosi, non propriamente come gli astronauti, ma certamente va detto ché allora andare dall’una all’altra città era impresa che richiedeva una certa resistenza fisica oltre alla pazienza del viaggiatore, sballottato nelle diligenze, su strade polverose, con in aggiunta una dose del suo coraggio perché non era difficile imbattersi anche in briganti.
Oltre a queste constatazione se vogliamo ovvie e generiche circa lo stato del nostro teatro e dei rapporti con i costumi del tardo Settecento, bisogna dire che questa opera può essere considerata un anticipazione umoristica e involontaria dei cosmodromi ché da essi il protagonista Ecclittico un astrologo di belle speranze, spedisce sulle nella luna chiunque ne abbia voglia: naturalmente non gli è facile spedirli così tutti interi come sono ma, ma gli riesce di spedire sul nostro satellite i loro sguardi che diventano indiscreti perché non si limitano a esplorare i crateri spenti, i mari asciutti e le scarse delizie della crosta lunare, ma si permettono anche di vedere “spogliare le donne quando vanno a letto”.
Una visione deliziosa, anche se poco educata, e per giunta assai comoda perché privo di qualsiasi pericolo per lo spettatore lontano circa 350 mila chilometri dal soggetto troppo sfacciatamente ammirato. Questo signor Ecclittico (tenore) con l’aria di interessarsi di mondi e di donnette tanto lontani, mira invece ad un obiettivo vicinissimo, a sposare una ragazza di questa terra che abita per giunta pochi passi da casa sua; si tratta di Clarice (soprano), figlia di Buonafede (buffo), un vecchio burbero che non intende concedere le figlie ai giovani che le amano ma, evidentemente legarle a qualche buon partito designato da lui; se Ecclittico ama Clarice, Ernesto (basso) suo amico è innamorato della sorella Flaminia (soprano). Ed eco l’astrologo entrare in azione e proporre allo “sperato” suocero un viaggio con lui sulla luna: viaggio vero, questa volta, con la facoltà di conoscere quel paese nella sua realtà, di frequentarne gli abitanti e anche qualcuna delle donnette che il telescopio miracoloso rivelava con tanta ricchezza di particolari piccanti.
Ed ora i due affrontano il grande viaggio grazie a un propellente, miracoloso a quei tempi, e cioè un potente narcotico. Buonafede si addormenta profondamente e per un tempo tanto lungo da permettere ad Ecclittico di preparare la messa in scena della luna. Buonafede ancora addormentato viene portato nel giardino di Ecclittico, un bel giardino ricco di alberi, di uccelletti cinguettanti, di fontane canterine e il suo risveglio su questa falsa Luna sarà perciò dei più dolci e piacevoli. Tutto gli sorride intorno, quando appare davanti a lui Ecclittico vestito da abitante del luogo, uno strano costume che anche il vecchio dovrà indossare per essere presentato al principe lunare: ed ecco il corteo principesco ricco e solenne che si arresta davanti a lui per il cerimoniale del saluto al monarca (in realtà Cecco, basso, il servitore di Ecclittico) che domanda a Buonafede quale cosa egli desideri più vivamente. È facile immaginarlo: avere con sé le figlie in quel paradiso beato: basta pigiare ancora sull’acceleratore della fantasia e le figlie approdano in pochi secondi sulla luna. A questo punto Il principe ordina a Ecclittico e ad Ernesto che fa parte anch’egli dei viaggiatori, di accompagnare le due figlie a passeggio nel giardino. Come era prevedibile, a Buonafede, “vengono le lune”, ma il principe replica che con i giovanotti “in questo nostro mondo le femmine ci van pubblicamente e non come tra voi secretamente” e che le ragazze su quel satellite benedetto si possono sposare liberamente. È superfluo esporre la conclusione, i matrimoni felici e il rapido atterraggio di Buonafede sulla realtà del nostro vecchio mondo. Senza missili, e senza tute spaziali astronauti, questo delizioso libretto di Goldoni (che fu musicato da Galuppi, Haydn e altri), permette a chi lo voglia, un delizioso viaggio sulla luna: una luna che ciascuno può immaginare a modo suo grazie ai magici propellenti della fantasia e, in questo caso, della musica.