Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736):”Lo frate ‘nnamorato” (1732)

  • Commedia per musica in napoletano, con parte dei dialoghi in italiano, in tre atti su libretto di Gennaro Antonio Federico.
    Prima rappresentazione: Napoli, Teatro dei Fiorentini il 27 settembre 1732, quindi fu ripresa, con alcune modifiche dell’autore, dallo stesso teatro durante il carnevale del 1734.
    Primi interpreti: Giacomo D’Ambrosio (Marcaniello), Teresa Passaglioni (Ascanio), Rosa Gherardini (Lucrezia), Girolamo Piani (Don Pietro), Giovanni Battista Ciriaci (Carlo), Marianna Ferrante (Nena), Teresa De Palma (Nina), Margherita Pozzi (Vannella), Maria Morante (Cardella).
    A 290 anni dalla prima rappresentazione
    A Capodimonte, 1730. Il vecchio Carlo (tenore) è innamorato della giovane Luggrezia (contralto); per ingraziarsene ill padre Marcaniello (basso) è disposto a concedere allo stesso e al di lui figlio Don Pietro (basso) rispettivamente le proprie nipoti Nena (soprano) e Nina (contralto). lLe quali però sono, a loro volta, innamorata dello stesso giovane, Ascanio (soprano en travestì), al cui fascino non è insensibile neppure Lucrezia. L’incertezze di Ascanio – cresciuto in casa di Marcaniell non  vuole tradire tradire il suo benefattore –  non risolvono la contesa delle giovani, fintanto che egli, si scontra in duello con Don Pietro, giovane vanesio dedito solo a corteggiare le servette Vannella (soprano) e Cardella (soprano).
    Nel duello Ascanio viene lievemente ferito a un braccio. Nel soccorrerlo Carlo scorge sul suo braccio un segno simile a quello che aveva un suo nipotino rapito. Si scopre così che Ascanio è fratello di Nina e di Nina. Egli sarà così ora finalmente libero di sposare Luggrezia.
    Questo è il soggetto del Lo frate ‘nnamorato, rappresentata al Teatro dei Fiorentini di Napoli nel 1732. Fu il primo grande successo del compositore appena ventiduenne, cosìcchè l’opera venne ripresa, solo due anni dopo nello stesso teatro.
    Dopo la morte di Pergolesi Lo frate ‘nnamorato nel 1748 viene letteralmente sfigurato dalle manomissioni altrui, anche se nel libretto stampato per l’occasione si affermava di non volersi allontanare dalla “venerazione dovuta alla memoria di un professore di tanta stima “. Poi l’opera scomparve delle scene per un paio di secoli, fino all’ultimo dopoguerra, allorchè rientro sporadicamente in repertorio inizialmente in una versione ritmica italiana. Ritornerà nella versione originale nel 1989 alla Scala, sotto la direzione di Riccardo Muti.
    Il musicista fin dalla sinfonia tripartita, rivela di puntare decisamente su un ambivalenza emotiva: da un lato la spigliata brillantezza e dall’altro una cantabilità, tenera e melodiosa, che guarda all’abbandono sentimentale (la sezione centrale, un andante punteggiato da un violino solista, ha una suggestione languida, tipicamente e schiettamente napoletana).
    Questi passaggi dal comico al elegiaco sono accortamente definiti attraverso le  figure su cui si impernia la commedia. Ci sono le figure comich: Marcaniello e Don Pietro, che tendono alla al colore farsesco, ai rigidi caratteri delle maschere, bilanciati dalla grazia disinvolta delle servette Cardella e Vannella. I duettini e le ariette delle due  sono alimentate dalle molli  cadenze del canto popolare. Di carattere sentimentale  invece gli altri personaggi che si esprimono in arie tripartite da opera seria. Tra queste citiamo quella del protagonista, Il “fratello innamorato”, Ascanio: “Ogne  pena chiù spiatata” (atto 1), cantata dalla voce di un elegiaco soprano (questo ruolo era infatti impersonato da un timbro femminile), introdotta dalla linea sospesa di un flauto solista. Qui il languore patetico apre la porta alle oasi melodiche di Cimarosa, se non addirittura di Mozart. È anche singolare come la figura del vecchio Carlo sfugga alle sclerotiche caratterizzazione di una comicità pesante, in genere tipica dei tutori. Pergolesi invece del ruolo d’obbligo di basso buffo, gli ha attribuito quello di tenore che si esprime in pene d’amore. “Mi palpita il core” (atto 2) canta Carlo e che costituisce l’esattoo pendant poetico della citata aria di Ascanio. Anche qui interviene uno strumento solista – questa volta l’oboe –  a sottolineare il tenero respiro del canto., l’andamento sincopato poi dello strumentale, con la sua sfibrata interazione, accresce la dolce ansietà del brano.
    Non manca nella commedia, costituita per lo più da una successione di arie, qualche pezzo di insieme. il terzetto Nina, Nena e Ascanio (“Se il foco mio t’infiamma, atto 2), in cui l’innamorato conteso non sa scegliere tra le due donne, oscilla tra una concitazione stringente e un appassionato desiderio di morte.
    Complessivamente Lo frate ‘nnamorato a parte la generecità dei recitativi e un certo calo di interesse dell’atto terzo, è tra gli esempi più significativi dell’opera napoletana, in cui il comico viene vitalizzato da una gamma affettiva intensa, che si consuma nella morbida trepidazione del canto amoroso