Torre del Lago (LU), Auditorium “Enrico Caruso”– 68° Festival Puccini
“SATYRICON”
Opera lirica in un atto, su libretto di Ian Strasfogel e Bruno Maderna, basato sul “Satyricon” di Petronio Arbitro
Musica di Bruno Maderna
Scintilla/ Fortunata COSTANZA SAVARESE
Quartilla ELEONORA BORDONARO
Criside PATRIZIA POLIA
Trimalchio JOËL O’CANGHA
Habinnas/ Niceros TIMOTHY MARTIN
Eumolphus DAVID RAVIGNANI
L’Ingenuità TESSA SCOCCIANTI
Orchestra PMCE Parco della Musica Contemporanea Ensemble
Direttore Tonino Battista
Regia, Scene e Costumi Manu Lalli
Disegno Luci Gianni Mirenda
Nuovo Allestimento Fondazione Festival Pucciniano in collaborazione con Fondazione Musica per Roma
Torre del Lago, 25 agosto 2022
La scelta del Festival Puccini di portare in scena il “Satyricon” di Maderna – atto unico tra le ultime composizioni del compositore veneziano, e unica sua opera lirica propriamente detta – si inserisce in un progetto più ampio, che è “Quo vadis opera”, tre giornate di studio e confronto sulle dimensioni e le direzioni dell’opera contemporanea: a conclusione proprio della prima, ecco l’opera breve di Maderna messa in scena all’Auditorium “Enrico Caruso” – giacché il Gran Teatro sarebbe certamente stato una sede troppo magniloquente. Inoltre non si può ignorare che il Festival quest’anno renda omaggio a Pasolini a un secolo dalla nascita, e senza dubbio l’operina maderniana offre spunti facilmente ricollegabili al pensiero pasoliniano – a partire dalla scelta dello scandaloso testo del “Satyricon” romano (cui, a dirla tutta, Maderna levò per gran parte l’aspetto più propriamente scandaloso), che esacerba i vizi del ceto medio imperiale latino, smascherando quelli di qualsiasi borghesia: la smania di soldi e potere, la morale ipocrita. Godibile e azzeccatissima, in tal senso, la regia di Manu Lalli, che porta in scena un pastiche estetico, tra basso impero, Settecento e contemporaneità, tutto sulle cromie del bianco, del rosso e dell’oro, e ad anni luce da qualsiasi pretesa storicistica: è chiaro a tutti che la scena e i personaggi altro non siano che degli exempla, e come tali godono del privilegiato statuto di puri veicoli, non importa di che tipo. Affiancati da sei instancabili figuranti, questi personaggi ci insegnano il male, come gli eroi del teatro senecano, tentando, più che di corromperci, di metterci di fronte a uno specchio. Cruciale per dare un’interpretazione dell’opera è anche l’attentissima scelta che il Maestro Tonino Battista ha fatto dell’ampio materiale maderniano: si è voluta mantenere ogni citazione (Bizet, Verdi, Mozart, l’inno americano, per citarne alcune) per contribuire a marcare la natura postmoderna e compositoria dell’opera, riducendo al minimo gli interventi più violentemente aleatori e ben utilizzando anche il materiale registrato, che ha dato alla rappresentazione una sfumatura quasi ultraterrena. Ottimo l’apporto del Parco della Musica Contemporanea Ensemble, che si è prestato a suonare in scena e con cappellini di carta dorata, come se fossero la band di una festa. Le nature diverse dei ruoli vocali del “Satyricon” da sempre richiedono cantanti lirici affiancati da attori e da interpreti nel senso più ampio del termine. Non giudichiamo quindi negativamente l’impostazione vocale pop di Joël O’Cangha, un Trimalchio dalla vocalità giovane e aperta, dalle intenzioni adeguate e scenicamente capace anche di una certa vis comica; certamente, attira maggiormente l’attenzione Timothy Martin, nel doppio ruolo di Habinnas e Niceros: artista poliedrico – cantante gospel e attore di livello internazionale – sfodera qui un’impostazione vocale di inaspettato baritono drammatico, una voce che si riconferma anche a voce “impostata” morbida e ben sorretta tecnicamente, dai colori luminosi. Accanto a loro non si può ignorare Costanza Savarese, vocalista di altissimo livello, in grado di passare da uno spoken verse a una emissione di canto duttile che supera tutti i generi e tessiture. D’impostazione più tradizionale, ma funzionale ai ruoli, Patrizia Polia e David Ravignani, artisti da anni impegnati a percorsi poco convenzionali, tra opera contemporanea, musica da camera e contaminazione. Infine Eleonora Bordonaro, una sofferta e allucinata Quartilla, nella quale sembra riporre le sue competenze da performer di musica popolare mediterranea. Tutto il cast si è posto appieno al servizio della rutilante regia, e ha saputo sviluppare, oltre al difficile percorso armonico che l’opera pone dinnanzi all’ascoltatore, una credibile serie di performance grottesche, patetiche, talvolta indiscutibilmente comiche, altre dalle venature più inquietanti, in grado di ammaliare lo spettatore, e attirarsi, dopo poco più di un’ora, i convinti e meritatissimi applausi dell’auditorium. Foto Lorenzo Montanelli