Pesaro, Vitrifrigo Arena, Rossini Opera Festival, XLIII Edizione
“OTELLO”
Dramma per musica in tre atti di Francesco Berio di Salsa
Musica Gioachino Rossini
Edizione critica della Fondazione Rossini, in collaborazione con Casa Ricordi, di Michael Collins
Otello ENEA SCALA
Desdemona ELEONORA BURATTO
Elmiro EVGENY STAVINSKY
Rodrigo DMITRY KORCHAK
Iago ANTONINO SIRAGUSA
Emilia ADRIANA DI PAOLA
Doge ANTONIO GARÉS
Lucio, Gondoliero JULIAN HENAO GONZALEZ
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Coro del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno
Direttore Yves Abel
Maestro del Coro Giovanni Farina
Regia Rosetta Cucchi
Scene Tiziano Santi
Elementi scultorei Atelier Davide Dall’Osso
Costumi Ursula Patzak
Luci Daniele Naldi
Movimenti danzati e Tersicorea Yaimara Gomez
Nuova produzione
Pesaro, 17 agosto 2022
Nell’epistolario familiare Rossini parla del suo Otello come di «opera classica», quella «che io preferisco a tutte le mie» (così il 19 agosto 1817, poco più di otto mesi dopo la prima napoletana al Teatro del Fondo). Tale presunta ‘classicità’ può essere un interessante filtro interpretativo con cui ripresentare e rileggere l’opera. Yves Abel è il responsabile di una concertazione raffinatissima, giustamente molto apprezzata anche dal pubblico: a partire dalla sinfonia e dalla marcetta introduttiva di Otello, un piccolo trionfo di fiati e strumentini, si riconosce il lavoro straordinario con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, che risponde puntualmente alle richieste del direttore. Abel evidenzia il giro melodico delle frasi, arrotondando le clausole e le suture del discorso musicale, ma valorizzando anche «il percorso di scena in scena dell’opera, […] un crescente incupirsi […], un progressivo incresparsi di quelle acque tanto limpide e rilucenti» (Giovanni Carli Ballola). Sin dall’esordio in recitativo Enea Scala declina il suo Otello come un personaggio dalla declamazione nobile. L’osservazione non è oziosa, se si considera che per la prima volta al ROF si ascolta un Otello italiano, dal timbro più brunito e dal volume più robusto rispetto a quelli di scuola inglese o americana. È vero, nel registro acuto e nelle puntature si percepisce a volte lo sforzo dell’emissione, ma la crescita artistica e la maturazione di questo cantante rispetto ai suoi esordi rossiniani (tra cui si può ricordare un Conte Alberto nell’Occasione fa il ladro del ROF 2013) sono degne di encomio. Il timbro non ha una bellezza naturale e l’emissione tende a debordare, ma la linea di canto è sempre temperata dall’applicazione di una tecnica molto buona, centrata sull’arte del fraseggio. Nel registro centrale e nelle note di passaggio la voce sembra soffrire un problema di mancata risonanza, che penalizza appena la proiezione e la linea di canto in generale; ma è certo che l’artista saprà affinare ulteriormente la propria tecnica e risolvere questo leggero difetto. Con dizione perfetta, portamenti ricercati (ma misurati) e una recitazione sempre equilibrata, Scala giunge al III atto, porgendo un Otello omicida, poi pentito e disperato, di struggente credibilità. Il secondo tenore ancor più impegnato in acuti e sopracuti è Dmitry Korchak, nel ruolo di Rodrigo: squillo e musicalità gli permettono un’interpretazione molto convincente; impeccabile, poi, la celebre aria cadenzata dal clarinetto che apre il II atto, «Che ascolto! Ahimè! Che dici!», a cui è destinato l’applauso più caloroso di tutta la serata. Antonino Siragusa (che proprio nell’Otello del 1998 debuttò a Pesaro, cantando le parti di Lucio e del Gondoliero) approda al difficile ruolo di Iago, succedendo negli annali del ROF a Ezio Di Cesare, Michael Schade, Charles Workmann, Chris Merritt e Manuel Zapata. La linea di canto netta, il timbro chiaro e la grana tagliente ne fanno un ottimo interprete, capace di abbordare quasi sempre con efficacia le frequenti puntature. Ma in questo Otello la vocalità tenorile trionfa anche perché i tre interpreti principali, Scala, Korchak e Siragusa, hanno voci e timbri così differenti e personali, da rendere magnifici i contrasti nei tre duetti con cui Berio di Salsa e Rossini hanno costruito l’opera. Eleonora Buratto è una Desdemona pregevole: ripete l’ottima prestazione dell’anno scorso, quando debuttò al ROF come Anaï in Moïse et Pharaon. Ora è una Desdemona dalla vocalità intensa, elegiaca e vigorosa al tempo stesso, incarnando l’eroina che lotta con tutte le sue forze – nel caso, vocali e attoriali – contro un destino che sa di non poter vincere. Memorabile, commovente e drammatica la canzone del salice del III Atto. Piuttosto leggera, e con pochi armonici, la voce del basso Evgeny Stavinsky, nel ruolo di Elmiro. A fronte degli altri interpreti, poco musicale, a volte scabra e inadeguata sembra la vocalità di Adriana Di Paola nella parte di Emilia. Molto buone le prestazioni degli altri due tenori, il colombiano e debuttante al ROF Julian Henao Gonzalez, interprete di Lucio e del dantesco Gondoliero, e dello spagnolo Antonio Garés nel ruolo del Doge. L’allestimento e la regia di Rosetta Cucchi scelgono la via della coerenza, cercando di dare corpo all’atmosfera di tragedia sin dall’inizio dell’opera; per questo, la scena del I Atto, una sontuosa sala da pranzo, è identica a quella del III, mentre il II è ambientato nella lavanderia della signorile dimora in cui si consuma il dramma. La violenza di tutti si scatena ben presto contro Desdemona, che assurge a simbolo dell’oppressione femminile e dell’ingiustizia perpetrata da una società potente e tutta maschile. Nessuno potrebbe sintetizzare l’ambientazione meglio della stessa regista: «Siamo in un tempo vicino a noi non bene identificato, in una società estremamente benestante con regole non dette che sono invariate da secoli, con odi e invidie celate da un perbenismo necessario». Una gemma è la ricostruzione della storia della schiava Isaura attraverso le videoproiezioni e il numero coreografico ideato da Yaimara Gomez durante la canzone del salice (una danza dolorosa, sofferta, interrotta da un’improvvisa ascesa nel buio). Cucchi ha sfruttato a meraviglia un dettaglio narrativo del libretto e lo spettatore comprende perché al centro del corteo di donne assassinate che occupa il palcoscenico nel Finale II fosse appunto comparsa la danzatrice che di lì a poco l’affranta Desdemona evocherà dai suoi ricordi adolescenziali. E comprende anche che la classicità di cui andava fiero Rossini altro non sia se non il raggiungimento della catastrofe tragica: tutto questo è presente nella regia di Cucchi, che prende avvio con uno stile pragmatico per poi divenire via via metafisica (nel finale cadono dall’alto crisalidi di vaporosi abiti femminili: a ognuno corrisponde una donna assassinata). L’Otello di Rossini continua a interrogare interpreti e studiosi di oggi, con domande di urgenza sociale ma anche con questioni di carattere storico, culturale e drammaturgico; nella nuova produzione pesarese, la sospensione della scena finale con il banchetto dei notabili ancora ignari dell’uxoricidio e la solitudine dell’assassino sul cadavere della donna amata è non la fine di una vicenda, bensì l’inizio di una perenne e attualissima tragedia. Foto Studio Amati Bacciardi © Rossini Opera Festival