Pesaro, Rossini Opera Festival 2022: “Le Comte Ory”

Pesaro, Vitrifrigo Arena, Rossini Opera Festival, XLIII Edizione
“LE COMTE ORY”
Opéra en deux actes di Eugène Scribe e Charles-Gaspard Delestre-Poirson
Musica Gioachino Rossini
Edizione Casa Ricordi
Le Comte Ory JUAN DIEGO FLÓREZ
Raimbaud ANDRZEJ FILONCZYK
Le Gouverneur NAHUEL DI PIERRO
La Comtesse JULIE FUCHS
Ragonde MONICA BACELLI
Isolier MARIA KATAEVA
Alice ANNA-DORIS CAPITELLI
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Coro del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno
Direttore Diego Matheuz
Maestro del Coro Giovanni Farina
Regia, scene e costumi Hugo De Ana
Luci Valerio Alfieri
Nuova produzione
Pesaro, 19 agosto 2022

La XLIII edizione del Rossini Opera Festival ha affiancato a una ripresa del 2015 (La gazzetta) due nuove produzioni, creando una terna interessante anche sotto il profilo cronologico: La gazzetta e Otello si succedono a Napoli tra il settembre e il dicembre 1816, mentre Le Comte Ory è uno dei prodotti serotini della parabola rossiniana, risalente al 1828. Dunque, un’opera comica, una tragedia e quell’Ory dal genere indefinibile, da sempre presentato come opéra en deux actes, su cui gli esegeti (e non solo) continuano a disputare. Certo, uno spettatore che lo ascoltasse per la prima volta vedendo il nuovo allestimento di Pesaro, non riceverebbe molto orientamento, se non quello di una diffusa “parodia”. E nemmeno apprezzerebbe appieno la musica di Rossini, giacché la direzione d’orchestra di Diego Matheuz è molto deludente; dopo una sinfonia solfeggiata con ritmi e accenti bandistici, tutti i numeri della partitura sono affrontati con le stesse sonorità, monocordi, pesanti (anche a detrimento di alcune voci), senza la ricerca di colori, di sussulti, del minimo brio. Il suono dell’orchestra è ridotto a un fondale piatto, sopra il quale le voci debbono autonomamente ritagliarsi il proprio spazio. Neppure la compagnia vocale sortisce un risultato omogeneo, divisa com’è tra tre interpreti strepitosi e altri tre mediocri. Juan Diego Flórez torna a indossare i travestimenti del Comte Ory a Pesaro dopo diciannove anni. A considerare le trasformazioni nella biografia artistica del tenore (oggi anche direttore artistico del ROF) e il notevole (in parte azzardato) ampliamento di repertorio, il fatto che possa ancora disimpegnare la parte di Ory con tanta facilità è davvero prodigioso. Non sarebbe di buon gusto confrontare la voce del 2003 con quella del 2022, perché la fisiologia non è un fattore soggettivo; però, smalto squillo timbro fraseggio dominio della tessitura restano quelli di sempre. È il volume, semmai, a essere rimpicciolito, come se nel corso degli anni la voce fosse rimasta intatta, ma lo spazio sonoro dove deve dispiegarsi si fosse ingigantito. Dopo alcune scene in cui appare un po’ trattenuto, da quando si toglie la barba dell’eremita e si rivela come Comte Ory fino alla fine dell’opera, Flórez riacquista il piglio delle serate di trionfo. Grande protagonista sopranile è Julie Fuchs, dalla vocalità splendida, perfettamente a suo agio nella coloratura rossiniana e nel fraseggio del testo francese: morbidezza e rotondità del timbro, unitamente a coerenza della linea vocale e capacità di modulare accenti di languore, la trasformano in una Comtesse ideale, sia nell’aria solistica del I Atto («En proie à la tristesse») sia nei numeri d’insieme. A questi ultimi contribuisce positivamente anche la voce, bella per il timbro e il vibrato, del mezzosoprano Maria Kataeva, nella parte del paggio Isolier. Deludono invece il Gouverneur di Nahuel di Pierro, che manca di accento, incisività e cavata autorevole; il Rimbaud di Andrzey Filonczyk, dal porgere scialbo e debole nelle note basse; la Ragonde di Monica Bacelli, la cui voce fa fatica a proiettarsi e il cui registro risuona frammentato. Il Coro del Teatro Ventidio Basso, preparato da Giovanni Farina, si destreggia bene, sia nel complesso sia quando canta per gruppi separati. Dispiace che un regista come Hugo De Ana, di cui si è sempre ammirato l’equilibrio tra visionarietà e funzionalità, abbia prodotto uno spettacolo tanto bislacco e disturbante, di cui firma regia, scene e costumi. Il suo Comte Ory appartiene a quella categoria di allestimenti che dividono il pubblico in due schiere: coloro che lo ritengono colorito, vivace, “moderno” (?), in una parola divertente, e dunque ridono per tutte le trovate sceniche, oppure coloro che non ne condividono affatto il gusto, che invano cercano di comprendere il rapporto tra elementi disparati, che soffrono (ahi, quanto!) per le molestie all’esecuzione musicale … Alla dicotomia non si sfugge, ed è superfluo specificare a quale gruppo appartenga chi scrive. Il fondale pittorico dell’ampia scena è fornito dal Giardino delle delizie, trittico di Hieronymus Bosch conservato al Museo del Prado di Madrid, che De Ana ricostruisce nel I Atto anche in forma di tableau vivant. I figuranti, però, vestono sgargianti costumi che non hanno nulla che vedere con il quadro; e a questo primo straniamento se ne aggiungono molti altri: sulla scena piovono una quantità di uova di Pasqua infiocchettate, piante grasse animate in una fioreria, uccelli meccanici, dinosauri di plastica, il Comte-eremita chiomato e cornuto come il Mosè di Michelangelo, con tanto di tavole della Legge che si illuminano in corrispondenza degli acuti. Se la ricerca del piacere che anima l’azione del Comte ha richiamato al regista Il giardino delle delizie, va ricordato – a costo di riuscire pedanti – che quello del quadro è un titolo antifrastico, che il suo soggetto non ha nulla di surreale e che un prestito medioevale senza la complessità di simbolo e allegoria non fa altro che creare confusione. Il successo complessivo della serata, tuttavia, suggerisce di concludere con una nota positiva. Nel terzetto finale si assiste a uno scarto narrativo interamente generato dalla musica: prima i due uomini cantano per melodie parallele rispetto al discanto della Comtesse, ma poi la linea melodica accomuna Isolier e Comtesse, lasciando da solo Ory in contrappunto: come ha scritto Emanuele Senici, «alla fin fine, tutte le macchinazioni di Ory non saranno servite ad altro che a rendere possibile alla Comtesse e Isolier di amarsi». La regia di De Ana qui lavora bene, perché infonde una forte corrente erotica alla gestualità del terzetto, durante il quale i personaggi si desiderano l’un altro; l’effetto comico del libretto, limitato all’errore di Ory che abbraccia il suo paggio, diventa anche ambiguità omoerotica prodotta dal personaggio en travesti, allorché ad abbracciarsi sono il paggio e la Comtesse. La qualità musicale dei tre interpreti vocali e (almeno) un apporto intelligente del regista fa sì che questo sia il numero più riuscito di tutto lo spettacolo, come il pubblico rimarca con un applauso estremamente intenso, prima della rapida scena conclusiva, a sua volta liberatoria di ogni languoroso desiderio.   Foto Studio Amati Bacciardi © Rossini Opera Festival