Pesaro, Teatro Rossini, Rossini Opera Festival, XLIII Edizione
“LA GAZZETTA”
Dramma per musica in due atti di Giuseppe Palomba, dalla commedia Il matrimonio per concorso di Carlo Goldoni
Musica Gioachino Rossini
Don Pomponio Storione CARLO LEPORE
Lisetta MARIA GRAZIA SCHIAVO
Filippo GIORGIO CAODURO
Doralice MARTINIANA ANTONIE
Anselmo ALEJANDRO BALIÑAS
Alberto PIETRO ADAÍNI
Madama la Rose ANDREA NIÑO
Monsù Traversen PABLO GÁLVEZ
Tommasino ERNESTO LAMA
Orchestra Sinfonica G. Rossini
Coro del Teatro della Fortuna
Direttore Carlo Rizzi
Maestro del Coro Mirca Rosciani
Regia Marco Carniti
Scene Manuela Gasperoni
Costumi Maria Filippi
Luci Fabio Rossi
Pesaro, 18 agosto 2022
La gazzetta dell’allestimento di Daniele Carniti sette anni fa attirò l’attenzione, oltre che per la rarità del titolo, anche per il quintetto vocale del I Atto, il cui autografo era stato fortunosamente ritrovato nel 2011 nell’archivio del Conservatorio di Palermo. Oggi, quella stessa produzione non accusa certo segni di invecchiamento, ma fa riflettere sulla difficoltà di (ri)proporre regie di spettacoli comici che non ebbero mai una vera fortuna, neppure all’epoca della loro prima rappresentazione. Sia detto senza mezzi termini: per completare la terna di quest’anno e contenere i costi, il repêchage della Gazzetta è una scelta perfetta, soprattutto se corroborata dall’apprezzamento del pubblico, che si diverte, applaude moltissimo e alla fine chiama e richiama gli artisti con una prolungata ovazione. Nelle prossime edizioni del Rossini Opera Festival, tuttavia, sarà poco probabile rivedere questo spettacolo, la cui disomogeneità non aiuta a ricomporre la frammentazione musicale della partitura. Parigi capitale della moda, gli abiti da sposa, le lettere cubitali, sfilate di finti cinesi, personale di albergo … singole idee di regia si susseguono senza posa, sostituendosi l’una con l’altra, senza mai giungere a un centro. Lo spettacolo sembra finalmente trovare la sua dimensione specifica soltanto nella mascherata conclusiva, quando i costumi di Maria Filippi e le luci di Fabio Rossi producono un quadro incantevole, in perfetta sintonia con la musica. Degli aggiustamenti musicali del compositore, non sempre ottimali nell’assemblaggio, si potrebbe discorrere a lungo; al contrario, il libretto dell’abilissimo mestierante Giuseppe Palomba è tutto elaborato su un tema centrale, che è la varietà idiomatica. La comicità nasce infatti da un prodigioso plurilinguismo, capace di unire napoletano, italiano, francese e lingue più o meno inesistenti, in un dialogo che è il dialogo dei personaggi stessi; c’è perfino una lingua muta, tutta gestuale, affidata alla mimica di Tommasino. Precisamente dall’imbroglio di tutte queste lingue nasce dirompente il comico; e non a caso, uno degli interpreti più applauditi, con pieno merito, è Ernesto Lama, erede di una tradizione attoriale napoletana basata sulla comunicazione gestuale. «Storione viene da storia», dice Don Pomponio etimologo per dar lustro al proprio cognome: è nel nonsense linguistico che una regia della Gazzetta dovrebbe trovare il proprio ago della bilancia, non già in una serie di gag isolate e fortuite, che alla fine fanno l’effetto di riempitivi del tempo teatrale. Lo ha compreso perfettamente il protagonista, un grande Carlo Lepore, in forma smagliante, che per la prima volta interpreta La gazzetta al ROF (ma le cui presenze pesaresi risalgono al 1996). Senza risparmiare i mezzi vocali, che coniugano gusto, tecnica, musicalità e godibilità, Lepore arricchisce anche il libretto quando detta a Tommasino il secondo annuncio per la gazzetta, citando puntualmente quasi tutte le battute della famosa lettera del Totò, Peppino e la malafemmina del 1956 (scena di evidente, ulteriore omaggio alla tradizione partenopea, che strappa nuovo applauso). Dall’unione di musica e parola, dunque, può scaturire la comicità vincente, assai più che dai tentativi di trasporre nell’opera il tema dell’«amore che accetta il diverso», o la «libertà dei sentimenti» (citazioni dalle Note di regia del programma di sala): questioni di indubbia attualità, e importanti, ma che con la complicata drammaturgia dell’opera rossiniana hanno poco che vedere. Sul piano musicale, Carlo Rizzi dirige magnificamente l’Orchestra Sinfonica G. Rossini, dominando tutti i numeri della partitura con sonorità, equilibrio e coesione inappuntabili. È pur vero che l’ascolto della Gazzetta è ipotecato da una molteplicità di rimandi al prima e al dopo, a imprestiti o a temi che germoglieranno in frutti assai più succosi: a partire dalla sinfonia, che sarà quella di Cenerentola: «grande musica nata nel posto sbagliato ma ricollocata in quello giusto», si è autorevolmente scritto. Quanto alle voci, su tutte giganteggia quella di Lepore, abile anche nell’adattare la parte alla verve che gli è propria. Il soprano protagonista, Maria Grazia Schiavo, che debutta al ROF, non è purtroppo al meglio delle sue possibilità: al di là di qualche incertezza nell’intonazione, la linea vocale difetta di rotondità, di armonici, di morbidezza e della giusta cavata, insomma di quella musicalità che renda credibile il personaggio e piacevole l’ascolto. Con lei duetta il basso Giorgio Caoduro nella parte di Filippo, con voce gagliarda, spigliatissimo nella recitazione e nel sillabato, un po’ meno nelle agilità dell’aria del II atto, «Quando la fama altera», sebbene il pubblico pesarese dimostri di adorarlo, giacché gli tributa l’applauso più lungo di tutta la serata. Anche al termine dell’opera, l’apprezzamento più marcato è per il basso, insieme al direttore, al protagonista e al mimo. Attorno ai quattro artisti principali gravitano voci giovani, fresche e tecnicamente ben preparate: il tenore Pietro Adaíni (Alberto), i mezzosoprani Martiniana Antonie (Doralice) e la debuttante al ROF Andrea Niño (Madama la Rose), il basso Alejandro Baliñas (Anselmo) e il baritono Pablo Gálvez (Monsù Traversen). Mirca Rosciani ha preparato ottimamente il Coro del Teatro della Fortuna, che accompagna con il canto e la recitazione i numeri più concitati dell’opera. È sempre bello assistere a un grande successo di pubblico per uno spettacolo che musicalmente lo merita; sul piano storico ed estetico, però, pesa sulla Gazzetta un giudizio di limite estremo, di un genere comico ormai esausto, anche per colpa (pardon: per merito) dello stesso Rossini. E per spiegarlo in sintesi, i musicologi ricorrono addirittura al linguaggio del mito, che sempre accompagna il divenire degli archetipi; per citare ancora Giovanni Carli Ballola: «Che lo stesso Rossini buffo con la sua maldestra Gazzetta sia finito per primo come Perillo nella fauci roventi di quella sorta di toro bronzeo di Falaride del quale era stato troppo geniale artefice, è cruda nemesi delle Muse». Foto Studio Amati Bacciardi © Rossini Opera Festival