Tragedia (Pasticcio) per musica in tre atti. Libretto di autori diversi.
Musica di Antonio Vivaldi, Geminiano Giacomelli, Johann Adolf Hasse, Riccardo Broschi. Edizione critica di Bernardo Ticci, variazioni di Ottavio Dantone. Bruno Taddia (Bajazet), Filippo Mineccia (Tamerlano), Delphine Galou (Asteria), Sophe Rennert (Irene), Marina De Liso (Andronico), Arianna Vendittelli (Idaspe)
Accademia Bizantina, Ottavio Dantone (direttore). Registrazione: Sala Oriani, Antico Convento di San Francesco, Bagnacavallo, Ravenna, febbraio 2020. 3 CD NaÏve OP7080
Il Tamerlano, creato al Teatro Filarmonico di Verona, nel 1735 (su libretto di Agostino Piovene, dal quale Nicola Haym aveva tratto il testo per l’opera di Handel del 1724) è un “pasticcio” nel quale Vivaldi inserì alcune delle sue arie migliori, tratte da Atenaide, Farnace, Olimpiade… (per i personaggi di Bajzet e Asteria), accanto a quelle di alcuni dei suoi più celebri “rivali” (per gli altri personaggi).
Questa registrazione realizzata in studio nel 2020 è in primis dominata dalla concertazione di Ottavio Dantone con il suo complesso “Accademia Bizantina”, dalla quale trae un’amplissima gamma di colori, a partire dall’Ouverture, brillante, senza mai essere “precipitosa”. Lo stesso si può dire della arie, trattate con un intelligente senso del ritmo: ampio, ma senza svenevolezze in quelle lente (vedi la celebre “Sposa son disprezzata”), quelle in “allegro” con cedono mai a ritmi frenetici (ad esempio l’aria di Asteria “Qual furore, qual affanno”). Di buon livello, nel complesso, la compagnia di canto. A Bruno Taddia i panni regali dell’usurpato Bajazet stanno piuttosto strettini. Cerca di compensare la mancanza di un reale corpo vocale, interpretando recitativi e arie con piglio (talvolta anche eccessivo), ma approda a poco. Il controtenore Filippo Mineccia, timbricamente gradevole, riesce a trovare lo slancio e i giusti accenti per tratteggiare i furori del capriccioso Tamerlano. Delphine Galou (Asteria) vocalizza con gusto, musicalità e sensibilità, ma definirla un “contralto” è decisamente azzardato: data la totale povertà di suono, infatti, non appena si trova a dover scendere sotto il rigo. È noto che in questo periodo, per le voci femminili non c’è ancora una suddivisione tra soprani e mezzosoprani, così anche per Sophie Rennert (Irene) la definizione canonica di mezzosoprano è solo sulla carta. Chiaramente si sente un soprano corto: linea di canto morbida, fraseggio elegante (soprattutto in arie spianate come “Sposa son disprezzata” o “Son tortorella”). Nel virtuosismo più scoperto (“Qual guerriero in campo armato”), certi passaggi di forza mostrano tensione. Convince pienamente l’Idaspe del soprano Arianna Venditelli, chiamata ad affrontare arie di un certo impegno tecnico (in particolare “Anche il mar par che sommerga”), superate agevolmente con pienezza di suono e precisione. Infine Marina De Liso che presta ad Andronico il suo pregevole timbro vellutato, unito alle qualità espressive sia nel canto legato (“Quel ciglio vezzosetto”, “La sorte mia spietata”) che in quello brillante e virtuosistico (“Spesso tra vaghe rose”).