99° Arena di Verona Opera Festival 2022: “Domingo in Verdi Opera Night”

99° Arena di Verona Opera Festival 2022,
” IN VERDI OPERA NIGHT”
Giuseppe Verdi:
Da “AIDA” ,  Atto II – scena del Trionfo
Amonasro PLÁCIDO DOMINGO
Aida MARIA JOSÉ SIRI
Amneris YULIA MATOCHKINA
Radamès FABIO SARTORI
Ramfis ILDAR ABDRAZAKOV
Il Re SIMON LIM
Da “DON CARLO”
Atto II – Preludio Atto I: “Io la vidi”;  Atto III: “Ella giammai m’amò” Atto IV:”Tu che le vanità”; Atto I: “O signor, di Fiandra arrivo”
Rodrigo PLÁCIDO DOMINGO
Elisabetta MARIA JOSÉ SIRI
Don Carlo FABIO SARTORI
Filippo II ILDAR ABDRAZAKOV
Da “MACBETH” Preludio e atto II
Macbeth PLÁCIDO DOMINGO/ ROMAN BURDENKO
Lady Macbeth MARIA JOSÉ SIRI
Dama SOFIA KOBERIDZE
Macduff FABIO SARTORI
Sicario GABRIELE SAGONA
Banco ILDAR ABDRAZAKOV
Orchestra, Coro, Ballo e Tecnici della Fondazione Arena di Verona
Direttore Jordi Bernàcer
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Regia Stefano Trespidi Scene Ezio Antonelli
Luci Paolo Mazzon
Coreografia 
Luc Bouy
Coordinatore del Ballo Gaetano Petrosino
Verona, 25 agosto 2022
Slanciare il cane a leon morente, è vile o Duca. Mi sovvengono i versi di Piave nel dover iniziare la cronaca di una serata rivelatasi tra le peggiori di questo Festival; eppure qui non si tratta più di sparare sulla Croce Rossa quanto di dover amaramente constatare come a volte l’onestà intellettuale, il buonsenso ed il buon gusto possano venire meno in nome delle logiche di botteghino. Non basta richiamare la veneranda età di Domingo, peraltro ancora oggetto di discussione se ha toccato le 81, 86 oppure 88 primavere, a voler giustificare quanto visto ed ascoltato in Arena. Qui il tenore ha trionfato nel 1969 con i memorabili “Don Carlo” di Vilar e “Turandot” di Squarzina, nel 1970 con “Manon Lescaut” per proseguire nel decennio seguente; musicista preparato, dal repertorio vastissimo che comprendeva anche l’opera tedesca e francese, votato infine anche alla direzione d’orchestra. Ma il Domingo riconvertito a baritono non ha mai del tutto convinto, con un colore che rimane sempre tenorile e i suoni comunque aperti nella tessitura acuta; figuriamoci ora, gravato oltremodo ed impietosamente dal trascorrere impietoso del tempo, quali prestazioni può dare ad un pubblico pagante disposto sempre e comunque a seguirlo. Il cantante madrileno è apparso da subito in evidente difficoltà, con frequenti vuoti di memoria (malgrado il suggeritore e gli schermi), fiati corti e suoni davvero brutti che a tratti ne hanno persino pregiudicato l’intonazione. Triste dirlo ma ci è parso veramente una pallida ombra di se stesso, la larva di ciò che fu decenni fa. Ma come detto non bastano i ricordi se non si ha il coraggio e l’onestà intellettuale di smettere per tempo. Dopo il deludente Amonasro, ruolo che debuttava, si è potuto ascoltare uno sbiadito Rodrigo nel duetto finale del primo atto del Don Carlo, e il breve inciso con Lady all’inizio del secondo atto di Macbeth: nulla più. Durante il cambio scena che introduce il Brindisi la Fondazione annunciava il ritiro di Domingo per un improvviso abbassamento di voce e la pronta sostituzione con il baritono russo Roman Burdenko. Quanto fosse repentino questo incidente è opinabile dal momento che la prestazione del tenore/baritono era già compromessa dall’inizio di serata: inoltre Burdenko appariva già pronto in costume il che lascia pensare ad una corsa ai ripari già programmata a priori. Per fortuna, anche se questo non lenisce la delusione generale, al fianco del celebrando vi erano alcune delle migliori voci oggi presenti sulle scene, a cominciare da Ildar Adbrazakov. Il basso russo, dopo l’effimero Ramfis e spalla di un Domingo pressoché assente nel duetto finale del primo atto ha regalato due perle con Ella giammai m’amò, monologo nel quale ha fatto risaltare tutto il tormento interiore del Grande di Spagna, e Come dal ciel precipita, consegnata con straordinario fraseggio e varietà timbrica. Gran bella voce, di temperamento musicale ma soprattutto fiera e nobile, particolarmente versata nella drammaturgia verdiana; capace soprattutto di sottolineare la fragilità umana e la solitudine che accompagnano le lunghe notti di Filippo II. Maria Josè Siri, seppur parzialmente condizionata dalla tensione che serpeggiava sul palcoscenico, ha dispiegato la sua ampia vocalità già nel breve intervento in Aida ma è nell’aria Tu che le vanità che sfoggia una linea di canto controllata eppure di eccellente presa teatrale. Bene anche in Macbeth e nella splendida La luce langue sebbene la sua Lady risultasse priva di quel mordente diabolico desiderato e richiesto da Verdi. Leggermente disorientato è apparso Fabio Sartori che nell’invocare la libertà degli etiopi ha dimenticato le parole perdendo temporaneamente l’intonazione; forse anch’esso condizionato dall’atmosfera della serata, ha restituito un Don Carlo corretto in Io la vidi, ma poco passionale nel rievocare il suo incontro con Elisabetta a Fontainebleu. Roman Burdenko, salvatore della serata come già riferito sopra, si è dimostrato un ottimo Macbeth; del resto non ci voleva molto per ascoltare un vero baritono ma il sostituto se l’è cavata egregiamente e, con voce calda e sicura ha lasciato vivo il desiderio di poterlo ascoltare in un’opera completa. Completavano il cast, senza particolarità degne di nota, Yulia Matochkina e Simon Lim (Amneris e il Re in Aida), Gabriele Sagona e Sofia Koberidze (Sicario e Dama in Macbeth). A dirigere le masse artistiche della Fondazione Arena, apparse stanche e poco incisive, Jordi Bernàcer ha fornito la sua prova migliore nell’accompagnamento delle arie del Don Carlo mentre è risultato poco presente nel Trionfo di Aida e nel Macbeth; una direzione, la sua, corretta e volenterosa ma non di profonda pregnanza musicale. Il coro, che dopo un avvio incerto del Festival aveva trovato la quadra, ha dato l’impressione di non essere in serata ma vi è da tener conto del carico di lavoro sostenuto tra prove e rappresentazioni che si sono incrociate quasi ogni sera. Alla prestazione opaca, forse presaga dell’andamento della serata, di coro ed orchestra, ha concorso inoltre (e non poco) anche l’impianto registico e coreografico a firma di Stefano Trespidi e Luc Bouy, che non ha rivelato praticamente nulla. Nessuna idea e movimenti sconclusionati in Aida, forse una maldestra rimasticatura della regìa di Zeffirelli, con un Trionfo lasciato alla buona volontà ed improvvisazione di tutti. Le coreografie di Bouy, poi, muovevano nei pascoli del kitch con un balletto “tribale” per Aida, con tanto di molesto battito di piedi, e nella scena del Brindisi di Macbeth dove si è rasentato il ridicolo con un penoso ballettino del coro; quanto di più sciocco ed inconcludente fosse dato di vedere. Sembrava quasi che, in una velata protesta scenica, i coristi della Fondazione esagerassero deliberatamente il loro imbarazzante ancheggiare e sculettare. Costumi sostanzialmente corretti (quelli del Don Carlo erano della produzione areniana del 1992), con qualche scelta arbitraria nei colori per Aida, funzionali le scene di Ezio Antonelli e propriamente efficaci le luci di Paolo Mazzon. In conclusione è stata una serata dal sapore agrodolce, se non addirittura amaro, che evidenzia le scelte discutibili della Fondazione Arena che non può e non deve diventare il cimitero delle vecchie glorie del passato. Anche programmare queste serate ad personam, confezionate alla buona e prive di qualsiasi logica musicale e teatrale, con interi atti, scene ed arie estrappolate e perciò decontestualizzate dal lavoro originale non è per nulla salutare e non giova al buon nome del festival veronese che sempre più vuole fregiarsi di internazionalità. Il pubblico, particolarmente indulgente anche nel momento del forfait (al netto di un “Vergogna!” e una ventina di persone che hanno lasciato la platea) ha salutato il suo beniamino che, non troppo delicatamente, ha scelto egualmente di uscire appoggiato a Burdenko. Un gesto poco carino che ha tolto la scena a colui che in fondo gli ha salvato la serata, privandolo del giusto tributo di applausi. Foto Ennevi per Fondazione Arena