Torre del Lago, 68° Festival Puccini 2022: “Madama Butterfly”

Torre del Lago (LU), Gran Teatro “Giacomo Puccini”– 68° Festival Puccini
MADAMA BUTTERFLY
Tragedia giapponese in tre atti di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa dal dramma omonimo di David Belasco.
Musica di Giacomo Puccini
Madama Butterfly (Cio-cio-san) FRANCESCA TIBURZI
Suzuki LAURA VERRECCHIA
Kate Pinkerton ROSA VINGIANI
B. F. Pinketon VINCENZO COSTANZO
Sharpless ALESSANDRO LUONGO
Goro FRANCESCO NAPOLEONI
Lo zio Bonzo ADRIANO GRAMIGNI
Il Principe Yamadori YINSHAN FAN
Il Commissario Imperiale ZHIHAO YING
L’Ufficiale del Registro IVAN CAMINITI
La Madre VALENTINA PERNOZZOLI
La Zia LAN YAO
Yakuside DARIO ZAVATTA
La Cugina LICIA PIERMATTEO
Orchestra e Coro del Festival Puccini
Direttore Alberto Veronesi
Maestro del Coro Roberto Ardigò
Regia, Scene e Costumi Manu Lalli
Light Design Gianni Mirenda
Allestimento Fondazione Festival Pucciniano
Torre del Lago, 15 luglio 2022
Si è inaugurato questo 68° Fstival Puccini con una serata di kermesse, nella quale l’opera in sé ci è sì stata, ma tra premiazioni e premiatori, contestatori incatenati al podio e calici di prosecco, gioiellame tintinnante per larga parte della recita e i soliti catapultatisi dalla spiaggia – o direttamente da un altro pianeta – un poco si è perso il senso più intimo di questa serata, che poi sarebbe quello artistico. Per fortuna Puccini non si fa mettere in un angolo così facilmente e “Madama Butterfly” ha potuto comunque risplendere nella veste “ultravegetale” che Manu Lalli le conferisce. Avevamo, due anni fa, consigliato alla Fondazione di tenere singolarmente da conto questa produzione, e siamo lieti ci abbia ascoltato: la pulizia delle linee, la massiccia presenza di elementi naturalistici sul palco, il lago che si vede chiaramente dal centro della scena, i giochi coloristici e il sapiente uso dei figuranti confermano la nostra chiara fascinazione per questo allestimento che quest’anno, decadute le limitazioni per il Covid, vede anche una regia più fisica intercorrere tra i personaggi – specie alla fine del primo atto. Anche il progetto luci di Gianni Mirenda valorizza appieno – coi suoi contrasti caldo/freddo – l’azione scenica, e praticamente tutto il cast partecipa con convinzione della regia. Un  plauso a Francesca Tiburzi (Cio-cio-san) una cantante-attrice di rango, strenuamente e totalmente coinvolta in un ruolo che fa suo a partire dal duetto d’amore (tra un gioco di veli e un aitante Pinkerton che l’abbraccia e la bacia con passione), per poi entrare nella totale consapevolezza drammatica degli atti successivi. Il soprano bergamasco è sempre autenticamente immerso nel ruolo, con una vocalità tecnicamente solida e ragguardevole per estensione ma anche per duttilità, naturalezza, morbidezza di emissione e varietà di fraseggio.  Accanto a lei ben figura anche la Suzuki di Laura Verrecchia: nel duetto del secondo atto le voci si amalgamano armoniosamente, e più in generale la Verrecchia si mostra coinvolta scenicamente e musicalmente, sfoggiando una voce solida in tutta la tessitura.Il Pinkerton di Vincenzo Costanzo è, invece, il ruolo più controverso della serata: da una parte, infatti, abbiamo un cantante di indubbio appeal, dall’altro un tenore che, per le sue caratteristiche vocali, non ha mai nascosto di volersi confrontare con i grandi del passato; il suo è un Pinkerton (ruolo che merita un’analisi che ben pochi registi, ancor meno gli interpreti, si prendono la briga di fare) che rimane in superficie: non è il Duca di Mantova, cioè l’impenitente e impunito seduttore, ma un giovane uomo complesso, indeciso, odioso, vittima di se stesso. Costanzo ci pare alquanto impacciato, statico o con movimenti meccanici. Vocalmente si fregia di un bel timbro, ma l’emissione e la linea di canto è tutta orientata a un’interpretazione muscolare, piuttosto forzata in acuto e assai poco incline a morbidezze e varietà di fraseggio. Lo Sharpless di Alessandro Luongo è ben costruito vocalmente e scenicamente, solo il fraseggio ci è parso un po’ generico.  Alquanto incerto vocalmente, forse non in serata, lo Yamadori di Yinshan Fan. Buona la prova di   Francesco Napoleoni (Goro): la voce è adeguata, così come la dizione scandita a dovere, e la valida la resa scenica. Tutto il resto del cast si è mosso sulla linea della correttezza. Pare quasi superfluo anche sottolineare la bella performance del Coro del Festival Puccini diretto dal maestro Roberto Ardigò, giacché “Madama Butterfly” è il suo vero cavallo di battaglia: agli artisti del coro va tutto il nostro apprezzamento, anche per la capacità di ben interagire con la scena, oltre che per la coesione quasi surreale nel celeberrimo “A bocca chiusa”. Infine, al maestro Alberto Veronesi – cui in passato non abbiamo risparmiato strali – va riconosciuta una direzione professionale e buona tenuta complessiva, probabilmente dovute anche alla lunga presenza presenza al Festival: il gesto, sempre un po’ nervoso, ha saputo  mantenere un buon equilibrio in cavea, mentre qualche piccolo ritardo o anticipo con la scena si è notato (specie con Pinkerton). Insomma, questo Sessantottesimo Festival Puccini si è aperto sotto buoni auspici (e una luna splendida che proprio sul finale era a picco sulla scena): peccato per un pubblico sinceramente indisponente, che non solo ha lanciato improperi e urla contro i dimostranti ambientalisti che han cercato di boicottare il proseguimento dell’opera dopo l’intervallo, ma anche contro i rappresentanti delle istituzioni e Carlo Fuortes, insignito giustamente del Premio Puccini di quest’anno, cui son seguite le urla di chi invece chiedeva silenzio e pazienza. Se lo slogan durante il lockdown era “Ne usciremo migliori” abbiamo avuto, oggi che ne siamo quasi usciti, la conferma che non sia stato così.