Torino, Cortile di palazzo Arsenale, Regio Opera Festival seconda edizione.
Orchestra Teatro Regio di Torino
Direttore Juraj Valčuha
Nino Rota: “La Strada, suite (1966); Leonard Bernstein: “West Side Story”, suite (1960); Sergej Prokof’ev: “Romeo e Giulietta”, estratti dalle suite n.1 e n.2 (1936); Maurice Ravel: Boléro (1929)
Torino, 15 luglio 2022.
In una serata tra le più torride di un’estate rovente, nel Cortile dell’Arsenale gremito da “tutto esaurito”, con un venticello (chissà da dove viene?) rinfrescante, nuovamente risuonano le piacevoli suites della Strada e di West Side Story. Questa volta a sudare nella canicola non son più, come il 15 giugno, gli orchestrali dell’OSN RAI ma i parimenti professionali membri dell’Orchestra del Teatro Regio, sotto la bacchetta dello slovacco Juraj Valčuha, direttore amatissimo dai torinesi. L’esito delle due suites è l’opposto di quanto avevamo constatato e documentato, esattamente un mese prima, nell’Auditorium della RAI.
La Strada di Nino Rota è rivitalizzata da una travolgente sensibilità cantabile e mediterranea. I sentimenti dei personaggi del film di Fellini rivivono nel languore, nella disperazione e nella rabbia che il calore dell’orchestra, pur nelle note difficoltà ambientali, riesce a trasfigurare. Juraj, anche grazie alla sua consuetudine con Napoli e il San Carlo, non solo non si sottrae al sentimentalismo insito nel pezzo ma lo esalta superandone la frammentarietà da colonna sonora, gli conferisce così dignità sinfonica. Il contributo convinto dell’orchestra, ove l’entusiasmo dato dalla presenza di membri giovanissimi è trascinante, viene ulteriormente rafforzato da interventi solistici di straordinaria efficacia. Si citano qui l’ispirato patetismo del violino di Cecilia Laca e la disperata rassegnazione della tromba di Ivano Buat.
I pregi che esaltano la suite di Rota non sono altrettanto propizi a quella di Bernstein. La spregiudicatezza timbrica e ritmica da Broadway ha difficoltà ad emergere sia dalle fila dell’orchestra che dal braccio del direttore. La ricerca diffusa di compattezza sinfonica, se esalta le pagine appassionatamente sentimentali quali somewhere, la meeting scene e il lacrimoso finale, si incarta nel jazz e nei ritmi delle danze latine. È forza constatare che all’Auditorium RAI, in giugno, l’allievo di Bernstein giocava una partita a lui assai più congeniale.
Il magnifico “Giulietta e Romeo” di Prokof’ev trova in Valčuha un’interprete ideale. I sentimenti sono esaltati dal timbro e da una condotta ritmica travolgente. Non ci si deve dimenticare che l’autore iniziò il suo percorso creativo con una “Sinfonia Classica” e a questa visione un poco passatista rimase fedele per tutta la vita. Non per nulla nella Russia del conformismo rivoluzionario ebbe molti meno problemi di altri colleghi che si affidarono molto più al rivoluzionario che al conformismo. Il rischio costante della musica di Prokof’ev, fatta sempre par piacere a chi doveva piacere, è quello di suonar bellissima ma fondamentalmente glaciale. Nel balletto intitolato ai due amanti veronesi, il sentimento gli ha, come non sempre avveniva, infiammato il cuore e la mano. Un’esecuzione al calor bianco ha esaltato orchestra e pubblico. La posizione troppo alta del palco ha ostacolato la buona diffusione del suono e una soddisfacente visibilità dell’orchestra, impedendo, di fatto, l’individuazione e il riconoscimento degli interventi solistici. Sono da citare, in ogni caso perché visibili, il solo di Cecilia Laca, violino di spalla della serata, e il commovente intervento del primo violoncello, dal fantastico suono, di Amedeo Cicchese. Ci scusiamo con gli altri membri dell’orchestra, anch’essi meritevoli di citazione, qui taciuti, non per cattiva volontà ma per la costrizione ambientale che ce ne ha impedito la visione e il riconoscimento.
Ravel col Bolero, ha portato al massimo livello la sua maestria di orchestratore. 17 minuti di un ossessivo, progressivo ed implacabile ritmo di bolero, scandito, dal pianissimo al fortissimo, da percussioni e pizzicati di corda. Una sinuosa e altrettanto insistita melodia vi si sovrappone. Non ci sono modulazioni armoniche ma un ispessimento dinamico e timbrico, conferito dal coinvolgimento incrementale di un’orchestra nutrita e varia. Un oboe d’amore, tre sassofoni, timbales, cymbales e tamtam arricchiscono di suoni esotici la compagine sinfonica tradizionale. Con una calibratissima conduzione, il direttore slovacco ha progressivamente coinvolto e trascinato orchestra e pubblico alla catarsi finale. Una conclusione che a tutti ha ricordato il sacrificio finale della coreografia di Bejart, è stato lo sfogo definitivo dell’ideale amplesso tra palco e platea. Applausi a valanga.
Juraj e Orchestra, spinti quasi a forza, regalano al pubblico l’avvio del Giulietta e Romeo di Prokof’ev e gli applausi si rinforzano ulteriormente.
Come appassionato membro del pubblico torinese mi auguro che, con questo concerto del maestro Valčuha, sia stata felicemente superata la brutta tradizione che imponeva che i due podi più prestigiosi della città non fossero mai calpestati dalla stessa persona. Potrebbe forse diventar possibile, quanto tutti, da tempo, ci si augura, che al fantastico Valčuha venga proposto di dirigere un’opera in un teatro cittadino finalmente risorto dalle ceneri attuali.