Milano, Teatro alla Scala: “Rigoletto”

Teatro Alla Scala, Stagione Lirica 2021/2022
“RIGOLETTO”
Melodramma in tre atti, Libretto di Francesco Maria Piave tratto da “Le roi s’amuse” di Victor Hugo
Musica di Giuseppe Verdi
Il Duca di Mantova PIERO PRETTI
Rigoletto AMARTUVSHIN ENKHBAT
Gilda NADINE SIERRA
Sparafucile GIANLUCA BURATTO
Maddalena MARINA VIOTTI
Giovanna ANNA MALAVASI
Il Conte di Monterone FABRIZIO BEGGI
Marullo COSTANTINO FINUCCI
Matteo Borsa FRANCESCO PITTARI
Il Conte di Ceprano ANDREA PELLEGRINI
La Contessa di Ceprano ROSALIA CID
Un Usciere di Corte GUILLERMO ESTEBAN BUSSOLINI
Il Paggio della Duchessa MARA GAUDENZI
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Michele Gamba

Maestro del Coro Alberto Malazzi
Regia Mario Martone

Scene Margherita Palli
Costumi Ursula Patzak

Luci Pasquale Mari
Nuovo allestimento
Milano, 5 luglio 2022
A ventotto anni dal debutto dell’acclamata produzione scaligera affidata a Gilbert Deflo, ripresa con successo una decina di volte negli anni seguenti, Rigoletto torna al Piermarini in una veste tutta nuova, a firma di Mario Martone. Di certo divisivo rispetto alla ben più tradizionale edizione precedente – come confermato dalle divergenti reazioni del pubblico in occasione della “Prima” – lo spettacolo è certamente ben congegnato, curato nel minimo dettaglio, dai movimenti delle masse alla caratterizzazione psicologica a tutto tondo di ciascun personaggio. Rimangono piuttosto stucchevoli le ritrite banalizzazioni in chiave contemporanea dove i baccanali del Duca diventano party all’insegna di cocaina ed escort in minigonna, dove la figlia di Monterone viene violata in una stanza segreta con attrezzatura sadomaso, dove il buffone si trasforma in pusher. Tutto già visto, niente che ci sconvolga più: un involucro pop pensato per far discutere e sottolineare quanto possiamo specchiarci nell’opera lirica anche al giorno d’oggi, una traduzione banalizzata del soggetto di cui onestamente non crediamo che uno spettatore pensante senta il bisogno per coglierne l’attualità.
Tuttavia guardando aldilà di questo guscio vuoto c’è molto di più, ed è questo il vero punto d’interesse della produzione. La profonda analisi del dramma è evidente, e il brillante parallelismo individuato con Parasite, pluripremiato film di Bong Joon-ho, ne è la riprova. Come nella pellicola sudcoreana, il racconto verte sulla coesistenza di due mondi, quello alto-borghese (il Duca e la sua Corte) e quello degli emarginati (Rigoletto e Gilda, come anche Maddalena e Sparafucile). Essi convivono e si nutrono l’uno dell’altro, in una società liquida fatta di classi subalterne così distanti eppure in costante simbiosi.
Il tutto è reso splendidamente dall’impianto scenico di Margherita Palli, una piattaforma rotante bilaterale che mostra due facce contrapposte, in perenne comunicazione attraverso una porta centrale: la prima è la scintillante villa del Duca, all’insegna di un design minimal tra fredde pareti di cemento, parapetti vetrati, divani in pelle e busti in esposizione (uno stile perfettamente in linea con l’asettica Villa Park in Parasite); il lato retrostante è uno spazio angusto, un antro buio con letti sfatti e bagni distrutti, nel pieno degrado. Un contrasto costante pregno di significato e di grande suggestione visiva, ben supportato dall’alternanza di luci calde/fredde disegnate progettate da Pasquale Mari e dai costumi di Ursula Patzak.
Con questo sottile rimando cinematografico Martone di fatto non travisa l’opera, ne sottolinea piuttosto con intelligenza la forte componente di denuncia sociale e politica tanto cara a Verdi. Aldilà di qualche forzatura è tutto piuttosto lecito insomma, fino allo scivolone finale: il regista eccede e dalla reference prende in prestito anche il cruento finale, in cui gli emarginati insorgono e di fatto la vendetta si compie spegnendo nel sangue l’ipocrisia alto-borghese (alla morte di Gilda, sulle ultime note la scenografia ruota e ci mostra Duca e cortigiani trucidati ad opera del popolo reietto). Una libertà eccessiva che dimostra un totale disinteresse per il finale originale – decisamente più pessimista e cupo, se vogliamo – in cui “la maledizione” prende corpo nella vendetta incompiuta, in quel mondo privilegiato che va serenamente avanti ignorando il mondo dei dimenticati, che rimangono effettivamente tali. Una produzione controversa insomma, con grandi punti di forza e altrettante sbavature, anche se – nel complesso – più che riuscita e di ottima qualità.Mette invece tutti d’accordo la compagnia di canto, dai protagonisti alle parti di fianco: che si dibatta pure sulla regia, ma difficilmente si potrà discutere sull’altissimo livello musicale di questa produzione.
Nel ruolo del titolo apprezziamo l’eccellente prova di Amartuvshin Enkhbat, artista completo nel ritrarre con efficacia il controverso protagonista: il volume è debordante e il timbro scuro assai gradevole, eppure emergono con ancor più forza la gestione nel fraseggio e l’attento studio della dizione, qualità statisticamente rare tra gli artisti asiatici. Misurato e attento nei duetti (da segnalare il notturno con Sparafucile e la stretta “Veglia, o donna”), vulcanico nell’aria “Cortigiani, vil razza dannata!”.Gilda è una Nadine Sierra vocalmente in forma smagliante, che aggiunge a timbro luminoso, emissione ben controllata e coloratura sempre nitida uno scavo psicologico in grado finalmente di dare potenza e il giusto spessore drammatico a un personaggio troppo spesso restituito in una semplicistica e puerile ingenuità. Un trasporto particolarmente evidente negli scambi con il padre, partendo dall’accorato duetto nel primo atto (“Deh, non parlare al misero”) fino ad arrivare alle infuocate ribattute nel “Sì, vendetta” e ad uno struggente finale, cantato a fil di voce (“V’ho ingannato, colpevole fui”). Notevole anche il “Caro nome”, impreziosito da una cadenza cristallina e per nulla banale nelle variazioni.
Piero Pretti impersona un Duca di Mantova di grande fascino interpretativo, elegante, posato, con un’intenzione costantemente garbata che rende ancor più subdola la sua insidiosa figura di cinico libertino. La voce chiara si sposa perfettamente con questa sottile caratterizzazione più ambigua che ostentatamente predatoria, ulteriormente impreziosita da una cura maniacale nel porgere ogni frase. Significativa in questo senso la sua personale lettura de “La donna è mobile”, qui non trattata come una canzonetta triviale, ma impreziosita da una leggerezza composta, ricca di mezzevoci e passaggi delicati.
Tenebroso e tonante lo Sparafucile di Gianluca Buratto, ottima controparte nel già citato duetto con Rigoletto, coronato da un solidissimo fa grave. Credibile anche a livello attoriale, il basso lombardo è particolarmente efficace negli scambi con la sorella nel terzo atto. Marina Viotti nel ruolo di Maddalena colpisce immediatamente per timbro brunito e generosità d’accenti. Emerge in particolar modo nell’attacco “Un dì se ben rammentomi” e nel seguente quartetto “Bella figlia dell’amore”: dove la sua parte sovente tende a scomparire con facilità sotto i fendenti di tenore e soprano, il mezzo svizzero si inserisce con solidità in una sinergia complessiva perfetta, con interventi di grande suggestione e ricchi di sfumature. Tra i comprimari si distingue senza dubbio il Monterone di Fabrizio Beggi, non solo molto ben cantato ma anche attentissimo al gesto teatrale, complice anche la regia che ne scolpisce tratti e movimenti con particolare attenzione. Molto bene anche il resto del cast: Anna Malavasi (Giovanna), Costantino Finucci (Marullo), Francesco Pittari (Borsa), Andrea Pellegrini (Conte di Ceprano), Rosalia Cid (Contessa di Ceprano), Guillermo Esteban Bussolini (Usciere), Mara Gaudenzi (Paggio). Puntuale come sempre l’apporto del Coro diretto da Alberto Malazzi.Alla guida di un cast così ben assortito e di un’Orchestra scaligera in splendida forma troviamo l’energica bacchetta di Michele Gamba. Il Maestro predilige tempi spediti e non si risparmia in termini di volume nei numerosi sfoghi orchestrali previsti dalla partitura (specialmente nei finali d’atto) sottolineandone la potente drammaticità, pur sempre nel giusto equilibrio sonoro tra buca e palcoscenico. La resa complessiva è vibrante e coinvolgente. Al termine il pubblico ha tributato un meritatissimo successo a tutti i protagonisti con un’accoglienza calorosa, salvo qualche malumore per il finale descritto in precedenza, al calare il sipario. Si replica lunedì 11 luglio. Foto Teatro alla Scala / Brescia & Amisano