Milano, Teatro alla Scala: “Giselle”

Milano, Teatro alla Scala, Stagione lirica 2021/22
“GISELLE”
Balletto romantico in due atti
Coreografia Jean Coralli, Jules Perrot
Ripresa della coreografia Yvette Chauviré
Musica Adolph Adam
Giselle VITTORIA VALERIO
Albrecht CLAUDIO COVIELLO
Hilarion MASSIMO GARON
Passo a due dei contadini CAMILLA CERULLI, ALESSANDRO PAOLONI
Myrtha, regina delle Willy ALICE MARIANI
Corpo di ballo e Orchestra del Teatro alla Scala di Milano
Direttore Valery Ovsianikov
Scene e costumi Aleksandr Benois
Rielaborazione scene e costumi Angelo Sala, Cinzia Rosselli
Luci Marco Filibeck
Milano, 14 luglio 2022
Giselle accompagna dal 2011 ogni stagione del Teatro alla Scala. Ogni ballettomane lo conosce, lo ha visto più volte, e mai si stanca di commentarlo e confrontarlo ad altre messe in scena viste in passato. Arnold Haskell lo ha definito meglio di noi, il ballettomane, è un individuo “un po’ matto come chiunque abbia una mania”; un malato pure cosciente, tanto che Haskell stesso dichiara di avere contratto il malanno della ballettomania “ma per il quale non ha intenzione di essere curato…”. Anche Giselle ha la stessa malattia, adora la danza, nonostante gli ammonimenti della madre, che teme per la salute cagionevole della figlia: resisterà a questa passione? Giselle, ridendo dei timori di sua madre, viene incoronata regina della festa, e continua la danza in compagnia di un bel giovane di cui si innamora. È il sedicente Loys, in realtà Albrecht, duca e non popolano come lei. È un ragazzo un po’ sornione, che corteggia Giselle, ma è già promesso sposo ad una ragazza del suo rango. Una volta scoperta la sua vera identità – nonostante nelle intenzioni degli autori del libretto Giselle dovesse uccidersi “da uomo”, con la spada di Albrecht, come se fosse una novella Didone – Giselle invece muore in preda alla follia, per un attacco di cuore non legato alla danza, come temeva la madre, ma indotta dai “meccanismi sociali”. Anzi la danza, seppur tema di morte per il secondo atto, è invece la salvezza per Albrecht, contrariamente che per Hilarion, il suo rivale in amore e responsabile dello smascheramento di Albrecht davanti a tutti. Quasi a voler dire ad ogni ballettomane di non temere per la propria salute, non è una passione che conduce alla tomba, se la si condivide, danzando tutti assieme. Le Villi sono morte prima delle nozze e condannate a danzare ogni notte fino all’alba perché non hanno potuto dare sfogo alla loro passione, e così facendo condannano a morire di danza tutti gli uomini in cui incappano. Quasi una situazione da contrappasso dantesco, o da Cappotto di Gogol. Si potrebbe parlare molto di Giselle, perché, nonostante sia uno dei balletti più studiati e rappresentati oggigiorno, ogni lettura dona spunti interpretativi differenti che sarebbero utili non solo come sterile studio erudito, ma validi anche per una messa in scena sempre diversa. Infatti, è così, il fascino di Giselle tocca finanche ballerini come Merce Cunningham, che ha “vissuto nelle idee della danza moderna” senza mai aver “avuto un passato di danzatore classico”, il quale ci dice che “Giselle è un balletto dalla struttura molto chiara […] forte in entrambi gli atti […] Ma ciò che più mi interessa è che ogni volta l’interpretazione è diversa, sia per Giselle sia per Albrecht”. E tra queste, a che tipo di interpretazione abbiamo assistito con lo spettacolo in Scala del 14 luglio? Davvero unica. A partire dai protagonisti, fino ad arrivare a tutto il corpo di ballo. Claudio Coviello e Vittoria Valerio hanno un affiatamento perfetto, sono complici, bastano piccoli sguardi e gesti di intesa senza alcun manierismo. Possiamo senz’altro replicare i complimenti che Théophile Gautier profuse alla prima Giselle, Carlotta Grisi: non un gesto convenzionale, non un falso movimento; è la natura e l’ingenuità stessa. Coviello nei panni di Albrecht è stato un poeta. Sornione al punto giusto nel primo atto, toccante nella sua entrata nel secondo, quando si reca sulla tomba di Giselle; tecnicamente pulito, fino ad esplodere con la serie di entrechats six. Assolutamente toccante. Anche Vittoria Valerio è una vera interprete, ha vissuto la scena della morte di Giselle come è difficile vederla in altri spettacoli: prima gli sguardi allucinati, persi nel vuoto, mentre accenna alle danze con il suo Loys; poi, in un crescendo drammatico, la danza si fa più frenetica, e afferra la spada con l’intento di trafiggersi; danza ancora in uno sfogo senza misura; il cuore cede e cade, esanime. Albrecht in questa messa in scena non scappa, ma corre verso di lei, il sipario si chiude, e si riapre con tutta la scena ferma come in un tableau vivant. Il montaliano aggettivo “muffito” non è quello adatto a descrivere il “più vivido accendersi/ dell’occhio, anzi del guardo” che abbiamo visto in Claudio Coviello e Vittoria Valerio. La sala era molto attenta ed è scoppiata in alcuni sentiti applausi a scena aperta, soprattutto durante il secondo atto, rivolti agli interpreti principali, ma anche al corpo di ballo che nella sua danza nel bosco, dopo l’entrata di Myrtha, ha fatto applaudire tutti quando ancora non avevano terminato. La nuova prima ballerina Alice Mariani è stata sufficientemente algida e nivea nel suo “defilé di morte” assieme alle sue suddite. Massimo Garon è stato un Hilarion molto espressivo; mentre, nel passo a due dei contadini, sono state molto buone le elevazioni e il legato di Alessandro Paoloni, che ha ballato con Camilla Cerulli, efficace e precisa. Per quanto i danzatori danzino Giselle da più di dieci anni consecutivamente, non sembrano esserne stanchi. D’altronde Giselle è magia, e non sappiamo se sia merto di un qualche Dulcamara, ma il suo guardo ancor non smette d’esser vivo. Foto Brescia & Amisano