Martina Franca, 48° Festival della Valle d’Itria 2022: “Le Joueur”

Martina Franca, 48° Festival della Valle d’Itria, Cortile di Palazzo Ducale
“LE JOUEUR” (Il giocatore)
Opera in quattro atti e sei quadri op. 24 su libretto di Segej Prokof’ev dal romanzo omonimo di Fedor Dostoevskij; versione in francese del libretto di Paul Spaak.
Musica di Sergej Prokof’ev
Le Général  ANDREW GREENAN
Pauline MARITINA TAMPAKOPOULOS
Alexis SERGEJ RADCHENKO
La Grand-Mère  SILVIA BELTRAMI
Le Marquis PAUL CURIEVICI
Mr. Astley ALEXANDER ILVAKHIN
Blanche KSENIA CHUBUNOVA
Le prince Nilsky SANDRO ROSSI
Le baron Wurmerhelm STRAHINJA DJOKIC
Potapytch GONZALO GODOY SEPULVEDA
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli di Bari
Direttore Jan Latham-Koenig
Maestro del Coro Fabrizio Cassi
Regia David Poutney
Scene e costumi Leila Fteita
Luci Alessandro Carletti
Martina Franca, 19 luglio 2022
Tra il 1915 e il 1916 a soli ventiquattro anni Prokof’ev decide di creare un libretto cucendo insieme estratti dal romanzo breve Il giocatore di Dostoevskij. Nel gennaio 1917 conclude l’orchestrazione per proporre l’opera al Marinskij ma lo scoppio della rivoluzione e il boicottaggio di Glazunov e Cui fanno naufragare il progetto che era sostenuto con entusiasmo dal drammaturgo Mejerchol’d e dal direttore d’orchestra Albert Coates. Nel 1927 revisiona la partitura senza però riuscire a farla approdare alle scene teatrali in Russia. Prokof’ev opta allora per un debutto al Théâtre de la Monnaie a Bruxelles nell’adattamento del libretto in francese, ottenendo solo un successo di stima (il tema della ludopatia era ancora scomodo: fino al 1933 il gioco della roulette era bandito in Francia). Il Valle d’Itria recupera questa versione ch’è stata l’unica messa in scena vivente il compositore, dando la possibilità di valutarne l’impatto ai giorni nostri, abituati da poco meno di mezzo secolo all’ascolto dell’originale versione in russo. Nel 1953 pochi mesi dopo la morte di Prokof’ev Il giocatore andò in scena a Napoli in traduzione italiana e l’effetto fu ancora diverso. Un’opera tradotta è tràdita (trasmessa in altri contesti culturali) ma anche tradìta (modificata nella struttura linguistico-prosodica) e pare non funzionare mai come la versione originale (la “prima” russa in forma di concerto a Mosca è del 1963 e quella in forma scenica del 1974). Di certo mutando la lingua non cambia l’assetto drammaturgico, eppure qualcosa pare non funzionare: del resto chi riuscirebbe a pensare al Boris in francese? O alla Bohème in russo? Ciò detto, la regia di David Poutney, con le scene e i costumi di Leila Fteita, ha rispettato alla lettera lo spirito di questo lavoro che pone al suo centro la roulette e il suo girare vorticoso e soffocante per i destini dei personaggi. Nella consueta cornice del Palazzo Ducale di Martina Franca la scena fissa, evocatrice di atmosfere moderniste (una gigante roulette con al centro la sua ruota e sul soffitto uno specchio atto rifrangere i punti prospettici), era dinamizzata dall’andirivieni dei personaggi, macchinistico e ossessivo, a tratti grottesco. Poutney vuole ricreare certe logiche prossemiche del teatro surrealista degli anni ’30 ma rispetta l’esigenza di cantare sul proscenio rivolti al pubblico e non richiede mai di occupare lo spazio scenico contro le ragioni della musica e del canto. I costumi di Leila Fteita hanno la foggia di giacche ma possono sembrare anche camicie di forza, stinte e slavate come le coscienze dei personaggi di un dramma che ne analizza il lento degrado. Splendido l’esito del secondo quadro dell’atto IV, il segmento più riuscito dell’intera partitura di Prokof’ev, reso con il giusto tono tra il grottesco e il tragico. Un encomio particolare deve andare alle luci di Alessandro Carletti che hanno saputo delineare una sorta di drammaturgia parallela al testo, chiarificatrice dei conflitti tra personaggi e delle loro emozioni inespresse. La riuscita dell’invenzione registica fa tutt’uno con la lucidità della direzione di Jan Latham-Koenig che ha esaltato ogni sfumatura della sfavillante orchestrazione guidando l’Orchestra del Petruzzelli di Bari (notevole la prova di legni e ottoni) con rigore e scioltezza insieme. Un elogio merita il lavoro di Fabrizio Cassi svolto con lo splendido coro del Petruzzelli, dalla cui compagine sono stati scelte alcune voci per incarnare la folla di personaggi secondari nella già citata scena della roulette. Nel cast vocale ha spiccato Maritina Tampakopoulos nei panni della protagonista Pauline: voce sempre ben proiettata, ricca di armonici, di ottimo volume e di recitazione intensa, davvero impeccabile. A seguire, il Marchese di Paul Curievici, tenore di taglio baritonaleggiante con un bellissimo timbro e un’ottima presenza scenica che gli ha permesso di caratterizzare un personaggio ambiguo e cruciale nella costellazione del dramma. Molto buona la prova di Silvia Beltrami come Grand-Mére che nel sottolineare il passaggio tra registri della sua voce contrassegnava il carattere altalenante dell’anziana ludopatica. Nelle vesti del protagonista maschile Alexis il tenore Sergej Radchenko ha compiuto uno sforzo notevolissimo: la parte è ostica e non conosce cali di tensione ma talvolta la voce non pare ben in maschera o ben appoggiata e la tessitura più acuta è spesso a rischio; va da sé che nulla vi è da ridire nella sua preparazione attoriale. Buona la Blanche di Ksenia Chubunova e il Mr. Astley di Alexander Ilvakhin, due voci perfettibili ma di colore piacevole. Poco sonoro nella zona dei gravi il basso Andrew Greenan, impegnato nel doppio ruolo di Général e Directeur, eccellente sul piano attoriale. Buoni i tre personaggi di fianco. L’ottimo successo di pubblico incoraggia la nuova direzione artistica di Sebastian Schwartz a proseguire la strada qui intrapresa e volta a valorizzare ogni secolo, dal XVII al XXI, della gloriosa storia del melodramma.
Si replica il 24, 30 luglio e il 6 agosto. Foto Clarissa Lapolla