Martina Franca, 48° Festival della Valle d’Itria 2022, Teatro Verdi
“Il XERSE”
Dramma per musica in un prologo e tre atti su libretto di Nicolò Minato.
Musica di Francesco Cavalli
Xerse CARLO VISTOLI
Amastre EKATERINA PROTSENKO
Arsamene GAIA PETRONE
Romilda CAROLINA LIPPO
Adelanta DIOKLEA HOXHA
Periarco NICOLÒ BALDUCCI
Ariodate CARLO ALLEMANO
Aristone NICOLÒ DONINI
Elviro ACO BIŠĆEVIĆ
Cupido MARIO FUMAROLA
Orchestra barocca “Modo Antiquo”
Direttore Federico Maria Sardelli
Regia Leo Muscato
Scene Andrea Belli
Costumi Giovanna Fiorentini
Luci Alessandro Carletti
Martina Franca, 25 luglio 2022
Rispetto al Settecento, il Seicento operistico solo in tempi recenti sta conquistando un certo favore nella programmazione dei teatri. Il Festival della Valle d’Itria nel 1988 aveva proposto L’incoronazione di Poppea di Monteverdi nella revisione di Zedda (titolo poi tornato nel 2015) e nel 1993 in forma di concerto il Pirro e Demetrio di Scarlatti (1694), autore riascoltato nel 2018 con il Trionfo dell’onore e nel 2021 con Griselda; nel 2011 con Il novello Giasone aveva fatto il suo ingresso Francesco Cavalli; poi nel 2014 e 2016 Agostino Steffani con La lotta d’Ercole con Acheloo e I Baccanali. Prosegue dunque la riscoperta del secolo meno conosciuto della storia del melodramma con l’allestimento in prima assoluta della nuova edizione critica del Xerse che con il Giasone fu il titolo più celebre del maestro veneziano allievo di Monteverdi, non foss’altro per l’esportazione in terra francese alla corte del Re Sole (il 26 luglio il festival ospiterà un importante convegno musicologico sui problemi filologici delle opere di Cavalli). Il riferimento a Erodoto come fonte letteraria del Xerse rientrava in un vezzo che voleva blasonare i libretti; ma l’ispirazione giunge da una commedia spagnola di Lope de Vega, tradotta dal bitontino Raffaele Tauro. Da tale filiazione ben si comprende la natura ibrida di questo testo e della sua musica, semiseria a tratti, comicissima in altri segmenti, tragica in pochi momenti. La regia di Leo Muscato si prefigge di restituire l’eterogeneità di questo capolavoro seicentesco dinamizzando con intelligenza il piccolo spazio del Teatro Verdi di Martina Franca che torna ad accogliere il melodramma barocco favorendone l’ascolto con condizioni acustiche più acconce. Muscato chiede agli interpreti di marcare i numerosissimi segmenti del libretto che i personaggi recitano “a parte” tramite un battito di mani, come a voler fermare il flusso mimetico. Un’idea suggestiva ma che condotta per l’intera durata dell’opera risulta alla fine un po’ artefatta e stucchevole. Più adeguata è semmai la richiesta di un continuo dinamismo nella prossemica e nella mimica che staglia a dovere la natura proteiforme dei personaggi. Il gioco tra spazi aperti e chiusi, essenziale per la drammaturgia di Nicolò Minato, è garantito dalle belle scene di Andrea Belli con il semplice aprirsi e chiudersi delle porte orientaleggianti collocate lungo le due pareti delle quinte sceniche. L’allusione alla Persia si riduce nell’oggetto ancor oggi più iconico di quella cultura: il tappeto. Il resto lo fanno gli splendidi giochi di luce di Alessandro Carletti.
All’interno del cast hanno brillato il Xerse di Carlo Vistoli, controtenore di estrema raffinatezza, e l’Aristone del basso Nicolò Donini di timbro prezioso. Ottima anche la prova di Gaia Petrone, un Arsamene gestito perfettamente per l’intera durata dell’opera sia sul pianos cenico sia su quello canoro. Carolina Lippo ha affrontato con bravura l’ardua parte di Romilda superando alcuni momenti di difficoltà. Stilisticamente meno centrata Ekaterina Protsenko nella parte di Amastre. Buona la prova di Dioklea Hoxha (Adelanta), Mario Fumarola (Cupido) e di Nicolò Balducci (Periarco). Un certo disagio creava il quasi parlato di Aco Bišćević, da ricondurre alla scelta registica di fondo volta a una contaminazione tra canto lirico e recitazione degli istrioni dell’Imnprovvisa. L’orchestra Modo Antiquo era ridotta a ranghi minimi in linea con le intenzioni del direttore: Federico Maria Sardelli ritiene infatti che le partiture manoscritte di Cavalli non valgano come canovacci da rimpolpare ma che attestino, invece, un assetto fedele a quello dei teatri veneziani di metà Seicento poiché provengono dalla biblioteca del compositore stesso. Si tratta di una presa di posizione forte in seno al decennale processo dell’Early Opera Revival mirata a restituire un timbro asciutto e una tensione agogica sempre latente, comunicata con bella espressività dagli strumentisti. Foto Clarissa Lapolla