Antonio Vivaldi: “La tiranna sorte avversa”, “Già che scoperto io sono…La mia gloria ed il mio amore” (“Arsilda, regina del Ponto), “Cessa tiranno amor”, “Put t’abbraccio, pur t’annodo” (“L’incoronazione di Dario”); Alessandro Scarlatti: “Io pavento il tradimento”, “Mio dolce nettare” (“Telemaco”), Domenico Sarro: “Se dalle stelle tu non sei guida” (“Didone abbandonata”); Georg Friedrich Händel: “Ouverture” (“Publio Cornelio Scipione”), “Sinfonia…Son vinto oh ciel!…Regno, grandezza, affanni e trono” (“Lotario”), “Sinfonia”, “La speme di consoli” (“Partenope”), “Tra speranze, affetti e timore”, “Sinfonia” (“Publio Cornelio Scipione”), “Mio cor che mi sai dir?”, “Siam prossimi al porto” (“Rinaldo”), “Torrente cresciuto per torbida piena” (“Poro, re delle Indie”); Antonio Caldara: “Leon piagato a morte” (“Adriano in Siria”). Marco Angioloni (tenore), Filippo Mineccia (contraltista), Michele Mignone (basso). Il Groviglio, Stéphane Fuget (direttore). Registrazione: Firenze, sala capitolare di Santa Felicita 22-24 gennaio 2021. 1 CD PAN Classics PC10437
Il Settecento, il secolo dei castrati e delle prime donne sembra lasciare poco spazio alla vocalità di tenore eppure proprio in quel momento si comincia a profilare quell’evoluzione che trasformerà un tipo di cantante destinato fino ad allora a ruoli comici o di carattere – le anziane nutrici dell’opera veneziana del Seicento – nel protagonista assoluto del teatro d’opera.
Gli anni della grande fioritura barocca sono quelli in cui cominciano i segni di una trasformazione irreversibile. Il tenore non può ancora compete con il castrato nei grandi ruoli protagonistici ma acquisisce una rilevanza nuova che vede l’assegnazione delle prime parti eponime in alcune opere – Dario ne “L’incoronazione di Dario” di Vivaldi (1717) – oppure parti di grande spessore drammaturgico e musicale – Bajazet nel “Tamerlano” di Händel (1724). In questo contesto figure come Francesco Borosini, John Beard e Annibale Fabbri cominciano a ritagliarsi una popolarità non trascurabile.
Il bolognese Annibale Fabbri detto Balino è il protagonista di questa interessante proposta discografica che vede protagonista il giovane tenore italiano Marco Angioloni accompagnato dal complesso Il Groviglio diretto da Stéphane Fuget. Il programma si organizza come un viaggio che segue Fabbri nelle varie tappe della sua carriera da Venezia – dove ottenne i primi successi dopo l’apprendistato bolognese – a Vienna passando per Roma, Napoli e Londra dove lo volle Händel in persona.
I brani dei maggiori compositori del tempo: Vivaldi, Scarlatti, Sarro, Händel e Caldara sono tutti tratti da opere appositamente composte per Fabbri a rimarcarne l’importanza centrale sulla scena lirica del tempo. Il tenore bolognese era noto per la facilità del canto, l’omogeneità dell’emissione e la doti da autentico virtuoso della coloratura.
A cimentarsi con queste parti è Marco Angioloni, nativo di Arezzo ma di formazione prevalentemente francese presso il Centre de Musique Baroque de Versailles (CMBV) una delle strutture di eccellenza sulla scena europea di cui è ormai membro stabile. Angioloni mostra una tecnica impeccabile e una piena aderenza allo stile. Sul piano vocale il timbro pur godibile e forse un po’ impersonale, mentre l’accento manca talvolta di autorevolezza. Il maggior numero di arie di gusto galante o leggero, con rapidissimi passaggi vocali e una prevalenza delle colorature di grazia sicuramente viene incontro alle caratteristiche dell’esecutore, anche se da al contempo informazioni su quella che doveva essere la vocalità di Fabbri spesso chiamato a esprimersi in questi stili. Sono caratteristiche che si ritrovano già nei brani vivaldiani come “La mia gloria ed il mio amore” da “Arsilda, regina del Ponto” o nel finale de “L’incoronazione di Dario” dove si abbandona a un canto morbido e sensuale mentre nell’aria “Cessa amor tiranno” manca un po’ di quel peso vocale che altre volte abbiamo ascoltato.
Carattere festoso, leggerezza d’emissione e d’accenti e colorature rapidissime trionfano nell’aria di Sarro “Se dalle stelle tu non sei guida” da “Didone abbandonata”.
Più limitata la scelta di brani eroici nei quali pur apprezzandone l’impegno si nota come la vocalità di Angioloni sia a tratti forse un po’ troppo leggera. Ad esempio nel recitativo di Berengario dal “Lotario” di Händel dove di fronte a una dizione nitidissima – elemento che lo caratterizza anche nelle arie più virtuosistiche – latita il piglio eroico, un limite per altro condiviso dal Lotario di Filippo Mineccia che lo affianca nell’occasione. Considerazioni simili valgono per le arie più eroiche presenti in programma come “Io pavento il tradimento” cantata con gusto ma in cui si palesa questo limite.
Gli ultimi brani del programma sono il trionfo del virtuosismo più “esplosivo”. La straordinaria aria di Alessandro “Torrente cresciuto” da “Poro, re dell’Indie” con le sue rapidissime e caleidoscopiche colorature restituisce pienamente la sensazione di un torrente che inarrestabile scende dai monti carico di acque. Altrettanto slancio virtuosistico presenta la conclusiva “Leon piagato a morte” dall’”Adriano in Siria” di Caldara cui è affidato il compito di evocare il periodo viennese della carriera di Fabbri.
Angioloni è affiancato nel programma dal controtenore Filippo Mineccia che oltre al già citato recitativo si vede insolitamente affidata la parte di Statira nel duetto dell’”Incoronazione di Dario” “Pur t’abbraccio, pur t’annodo” e il basso Michele Mignone che declama con bella voce e notevole autorevolezza la parte di Cisarde nel recitativo con Tamase in “Arsilda, regina del Ponto” di Vivaldi.
La parte strumentale è affidata al complesso Il Groviglio sotto la direzione dinamica e sensibile di Stéphane Fuget impegnato anche come maestro al cembalo. La compagine orchestrale si fa apprezzare per un suono morbido e pulito e per un approccio stilistico di notevole sensibilità. Oltre che nell’accompagnamento essa ha modo di emergere nelle sinfonie del “Publio Cornelio Scipione” e della “Partenope” che s’inserisco tra i brani cantati.