Festival Como città della Musica 2022:”L’elisir d’amore”

Como, Arena del Teatro Sociale, Festival Como Città della Musica 2022
L’ELISIR D’AMORE
Melodramma giocoso in due atti su libretto di Felice Romani, da “Le philtre” di Eugène Scribe.
Musica diGaetano Donizetti
Adina MARIA RITA COMBATTELLI
Nemorino NICO FRANCHINI
Il dottor Dulcamara MATTEO MOLLICA
Belcore LODOVICO FILIPPO RAVIZZA
Giannetta MARIIA KOKAREVA
Orchestra
1813
Coro 200.Com
Direttrice
Azzurra Steri
Direttori del Coro Giuseppe Califano, Davide Dell’Oca, Arianna Lodi, Cristina Merlini
Regia Manuel Renga
Scene e Costumi Aurelio Colombo
Luci Giuseppe Di Iorio
Coreografie Barbara Cardinetti
Nuova
Produzione Teatro Sociale di Como AsLiCo – Progetto 200.Com VII Edizione
Como, 29 giugno 2022
L’elisir d’amore” in scena in questi giorni all’Arena del Teatro Sociale di Como è ben diretto e cantato: la giovane bacchetta del maestro Azzurra Steri infatti riesce nella non facile impresa di dirigere un cast molto in posizione spesso disagiata rispetto l’orchestra, all’aperto, e senza incorrere in evidenti discrasie tra scena e “buca“ (per quanto in questo caso la buca fisicamente non ci sia); la sua è una concertazione pulita, tradizionale nelle dinamiche, forse un po’ dilatata nelle agogiche, ma è evidente che lo faccia per venire incontro ai cantanti, che si trovano spesso a una ventina di metri dai musicisti. Gli interpreti sono anch’essi giovani, per quanto già avviati nelle loro carriere, e la maggior parte sfodera un bel carattere: Nico Franchini è una piacevole riconferma, nel ruolo di Nemorino è pienamente a suo agio, tra abilità canora e dedizione scenica – la sua “Furtiva lagrima“ è limpida, senza eccessi espressivi, precisissima nei tempi e ben omogenea. Matteo Mollica è certo un interessante Dulcamara: per quanto fisicamente molto lontano dalla tipica iconografia del personaggio, ci ha regalato un’interpretazione chiara, godibile, ben scandita nella dizione, e le naturali propensioni istrioniche dell’interprete hanno contribuito alla riuscita del ruolo. La parte di Belcore è qui ben valorizzata da Lodovico Filippo Ravizza, ottimo interprete teatrale e vocale: timbro di bel colore, scuro, omogeno e ricco di armonici. La Giannetta di Mariia Kokareva è pure ben interpretata, sia sul piano musicale che su quello scenico (nel quale Kokareva certo non si risparmia). Constatiamo, invece, con un pizzico di delusione, i limiti dell’Adina di Maria Rita Combattelli (Adina): i centri rivelano bei suoni morbidi, ben timbrati, a differenza di un registro acuto acerbo, non sempre a fuoco, oltre a un certo disagio con la vocalità donizettiana e il canto d’agilità. Simpatico e tutto sommato anche musicalmente corretto è l’apporto del coro dei 200.com, il progetto comasco di coinvolgimento della cittadinanza nella produzione teatrale: i cittadini come sempre si riconfermano cantori spumeggianti, coinvolti e coinvolgenti – grazie anche alla direzione dei maestri Giuseppe Califano, Davide Dell’Oca, Arianna Lodi, Cristina Merlini. Il contesto creativo (guidato da Manuel Renga) nel quale questi artisti sono stati immersi è, comunque, da rivedere, e ci fa sorgere delle sincere domande su cosa voglia dire fare una regia d’opera oggi: anche qui, come in altre occasioni (non ultima la recente messa in scena de “Il ritorno di Ulisse in patria“ a Cremona), troviamo una regia che tira avanti per gag, scenette, trovate, ma del tutto incapace di coerenza, costruzione dei personaggi, contestualizzazione geocronologica; il materiale stampa fornito, peraltro, complica ancora di più le cose: si vorrebbe un “Elisir“ Anni Venti, in stile “Tempi Moderni“, ma questa indicazione è una piccola parte di quello che vediamo in scena: piloti d’aereo di linea (che negli Anni Venti erano assai rari), hostess in minigonna, vestiti a campana, tacchi molto alti eccetera, e anche le scene (ad opera di Aurelio Colombo, come i costumi) sono arbitrarie, dominate, peraltro, da tre latrine di dubbio gusto, oltre che da un sistema di ingranaggi di chapliniana memoria, che tuttavia vengono messi in evidenza solo nelle prime scene; la scena del matrimonio del secondo atto, poi, ha del surreale: Belcore, alias il pilota di linea, che sposa una Adina vestita come negli Anni Sessanta, durante una festa in cui le signore sono delle flapper girl, sulla tavola presenti torte dal design contemporaneo e danzatori che si contorcono vestiti da charlot. Un pasticcio, che forse avrebbe voluto essere un pastiche, ma non arriva all’altezza del suo corrispondente francese; potremmo andare avanti a enumerare le altre bizzarrie dell’impianto scenico, ma non sarebbe tanto utile, quanto una chiara richiesta, non ai registi, ma ai direttori artistici dei teatri: fate in modo che le regie che proponete al pubblico veicolino per lo meno delle idee narrative forti, e non si limitino al generico intrattenimento.