99° Arena di Verona Opera Festival 2022
“AIDA”
Opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re ROMANO DAL ZOVO
Amneris CLÉMENTINE MARGAINE
Aida ANNA NETREBKO
Radamès YUSIF EYVAZOV
Ramfis GÜNTHER GROISSBÖCK
Amonasro AMBROGIO MAESTRI
Un messaggero RICCARDO RADOS
Sacerdotessa RANCESCA MAIONCHI
Primi ballerini ANA SOPHIA SCHELLER, ALESSANDRO STAIANO, ELEANA ANDREOUDI
Orchestra, Coro e Ballo dell’Arena di Verona
Direttore Marco Armiliato
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Regia e Scene Franco Zeffirelli
Costumi Anna Anni
Coreografia Vladimir Vasiliev
Coordinatore del Ballo Gaetano Petrosino
Verona, 8 luglio 2022
Non tutte le ciambelle riescono col buco. Non almeno questa Aida, da sempre opera regina del Festival Areniano, giunto quest’anno alla 99° edizione. La riproposta dell’allestimento firmato da Franco Zeffirelli, risalente al 2002, sembra nata nella corrente stagione sotto un’infelice stella, almeno a giudicare dall’esito poco meno che disastroso della prima. Grande aspettativa veniva dunque riposta nella quarta recita, che annoverava come protagonista Anna Netrebko, stella internazionale e presente a Verona nelle edizioni precedenti del festival. Cominciamo con l’aspetto visivo, nella lettura del maestro fiorentino che tende ad allontanare l’idea di masse in movimento, peraltro sua prerogativa, a favore di un tormentato dramma interiore dei protagonisti, che mette a nudo la solitudine e la fragilità dei singoli personaggi in scena, soprattutto nel terzo atto. Scena ieratica, con una grande piramide centrale che ruota su sé stessa e lascia dunque poco spazio per fanfare e falangi egiziane in marcia; i cantanti si trovano perciò ad agire con una certa staticità che viene sviluppata in verticale (come nella celebre scena del Trionfo) con protagonisti e coro disposti su due livelli. Un’Aida per certi versi innovativa rispetto alla tradizione veronese, con la grande piramide simbolo di un potere che finirà per distruggere materialmente ed emotivamente vincitori e vinti, inghiottendo nel finale i due amanti infelici. Era logico quindi aspettarsi dalla compagnia di canto una certa metabolizzazione del dramma che doveva riaffiorare ed essere restituito nell’idea interpretativa. In particolare grandi attese venivano riposte in Anna Netrebko, mai come in questo caso invocata come “salvatrice della Patria”, ma che di fatto non ha brillato offrendo un’interpretazione tutt’altro che vibrante; nella celebre invettiva Ritorna vincitor!, mirabilante caleidoscopio di emozioni contrapposte non emerge quell’intima sofferenza nel dissidio lancinante della schiava etiope. Anche nei duetti con Amneris (II atto) e l’intera scena del Nilo non si è percepito quello stato d’animo che si regge in magnifico equilibrio tra la ragione di Stato, l’amore per la Patria, la devozione al padre e l’amore contrastato per Radamès. Per contro, una certa suggestione è venuta da Cieli azzurri, momento quasi onirico culminato con un bel La tenuto a mezza voce. Il Radamès di Yusif Eyvazov, pur buono nelle intenzioni interpretative e sceniche, è apparso vocalmente a disagio: l’emissione è forzata e con evidenti difficoltà a salire in acuto; una linea di canto, la sua, che spesso oscillava tra il rude ed il disarmonico generando un certo fastidio all’ascolto. Di rilievo invece Clémentine Margaine che ha sostenuto la regalità di Amneris con esito felice, riuscendo a bilanciare con efficacia l’arroganza del potere con la disperazione di un amore che non le può appartenere e che nemmeno la sua posizione le può dare. Magnifico, in tal senso, il quadro del Giudizio nel quarto atto dove è riuscita a tratteggiare il conflitto interiore e tutto il disprezzo per la casta sacerdotale con accenti di vivo lirismo ed interpretazione magistrale. Da parte sua, Ambrogio Maestri (Amonasro) ha fornito una prestazione discontinua ed affaticata ma soprattutto priva di quella forza bruta del re guerriero che impugna le armi per sfidare l’Egitto; se nel grande concertato del finale secondo se l’è cavata dignitosamente, nel terzo atto è mancato tutto il mordente nel duetto con la figlia, venendo meno alla forza persuasiva ed istigatrice che porterà al successivo tradimento di Radamès. Alquanto anonimi il Ramfis di Günther Groissböck ed il Re di Romano Dal Zovo che di certo non hanno fornito prove indimenticabili. Corretti gli interventi di Riccardo Rados (Messaggero) e Francesca Maionchi (Sacerdotessa). Buona la coreografia, che peraltro portava la firma prestigiosa di Vladimir Vasiliev, scarna ed essenziale con pochi ballerini di cui citiamo i primi: Ana Sophia Scheller, Alessandro Staiano ed Eleana Andreoudi. Dopo le prime recite affidate alla bacchetta di Daniel Oren, il timone è passato nelle mani di Marco Armiliato, onesto accompagnatore di voci ma la cui concertazione è risultata routiniera e per nulla interessante, più preoccupata agli insiemi (forse non c’è stata una prova di assestamento?) che al godimento di una partitura che ormai in Arena si esegue ad occhi chiusi. Musicalmente, una noia mortale, causata inoltre da uno scarso suono dell’orchestra, apparsa sbiadita e di un grigiore sonoro uniforme. Non è andata meglio al coro, stranamente al di sotto dei livelli consueti rispetto agli anni scorsi; tutte le belle qualità emerse nei mesi invernali al Teatro Filarmonico, grazie alla cura di Ulisse Trabacchin, sono state disattese in una serata al limite del decoro con attacchi imprecisi, qualche coda e parecchie incertezze. Ad un certo punto si aveva persino l’impressione che non tutto il coro cantasse né avesse adeguatamente provato. Efficaci ed allineati alla tradizione i costumi di Anna Anni. Anfiteatro abbastanza pieno ma non esaurito, con un pubblico curiosamente poco caloroso (e decisamente poco disciplinato), per una serata soporifera e priva di emozioni. (Foto Ennevi per Fondazione Arena)
Repliche il 16, 24 e 28/7, il 5,21 e 28/8 e il 4/9 Aida 2022