Venezia, Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2021-2022
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Fabio Biondi
Antonio Vivaldi: “Ercole sul Termodonte”: Sinfonia; Concerto per archi in fa maggiore RV 141; Concerto per violino RV 222; “La Griselda”: Sinfonia. Franz Joseph Haydn: Divertimento in re maggiore Hob. III D. 3; Concerto per violino in sol maggiore Hob. VII n. 4
Venezia, 10 giugno 2022
Fabio Biondi, in qualità di direttore e solista al violino, si è valorosamente cimentato, nel corso di questa serata tra barocco e classicismo, in alcuni brani di Antonio Vivaldi e Franz Joseph Haydn, splendidamente supportato dall’Orchestra del Teatro La Fenice. Il Prete Rosso era rappresentato, in apertura, dalla Sinfonia dell’Ercole sul Termodonte, l’opera che debuttò al Teatro Capranica di Roma nel 1723, riportando un grande successo, anche grazie ad uno stuolo di castrati in abiti guerrieri, cui si accompagnava – unica presenza maschile – un Ercole, munito di clava. Ma sarebbe vano ricercare nella sinfonia qualche precisa corrispondenza musicale con la vicenda, trattandosi di un brano di musica assoluta, alla stregua di tanti concerti vivaldiani per archi e basso continuo. Una particolare cura del suono, di adamantina purezza, e uno spiccato gusto per i contrasti, secondo l’estetica musicale barocca, si è appezzata nell’esecuzione di questo brano: nell’Allegro, dove la ricorrente fascia sonora sull’accordo di tonica (do maggiore) ha costituito una sorta di tessuto connettivo del discorso musicale, caratterizzato da modulazioni a tonalità lontane, ritmi sincopati, rapide scale di semicrome, ricchezza di spunti tematici; nell’Andante, tipico notturno dal tono elegiaco, col suo tema cantabile, intonato col giusto accento, senza affettazione, dal violino solista, che si stagliava sulle arcate melodiche dei violini, mentre viole e bassi accompagnavano con discreti accordi ribattuti; nell’Allegro finale, che con le sue rapinose scalette dei violini ha concluso la sinfonia in tono festoso.
Anche se si considera la Sinfonia della Griselda – rappresentata per la prima volta al Teatro Grimani di San Samuele, nel 1735, segnando la tardiva affermazione di Vivaldi, quale autore operistico – ben poco traspare, secondo l’uso del tempo, della vicenda da rappresentare. Analogamente contrastata l’esecuzione di questo pezzo, nella quale l’accentuata polarità armonica fra tonica e dominante si accompagnava alle frequenti varianti ritmiche, secondo il gusto “lombardo” (così ci si esprimeva all’epoca), e all’innovativo trattamento del basso, cui Vivaldi affida una funzione spiccatamente armonica a scapito di quella contrappuntistica, precorrendo l’evoluzione dello Stile Galante verso il Classicismo.
Quanto ai due concerti, il KV 141 fa parte dei cosiddetti “Concerti ripieni”, vale a dire senza solista, nei quali il moderato virtuosismo del primo violino ha reso possibile il crearsi di una dimensione cameristica. Il concerto, databile verso il 1720, è tra i cinque contenuti nel baule di Chiaretta – la migliore allieva di don Antonio alla Pietà, nonché violinista interprete di riferimento del concertismo vivaldiano – conservato presso la biblioteca del Conservatorio di Venezia. Nel medesimo baule è contenuto anche il Concerto RV 222, databile intorno al 1738. Qui il violino, nel primo Allegro, ha eseguito con nonchalance acrobatici salti tra il grave e l’acuto, mentre nell’assorto Andante si è esibito, con analoga sicurezza, in estemporanei abbellimenti e nell’Allegro finale ha intrattenuto un serrato dialogo con gli archi, concluso da una brillante cadenza.
Passando ad Haydn, il Divertimento in re maggiore Hob. III D. 3 fu composto per il barone Carl Josef von Fürnberg, da cui fu assunto intorno al 1756 come domestico-violinista, destinato alla sua tenuta estiva a Weinzierl, in bassa Austria. Concepito per un insieme di professionisti e dilettanti, ha il carattere di una Hausmusik per pochi intimi e prefigura la pratica del quartetto per archi, che si sarebbe diffusa nei salotti borghesi del primo Ottocento, come attestano, tra l’altro, il superamento della prassi del basso continuo e il rapporto paritetico fra gli strumenti. Particolarmente significativi sono risultati, anche per il gioco d’insieme, i due movimenti estremi, mentre quello centrale si è segnalato per il delicato lirismo. Si tratta di un pezzo di facile ascolto, interessante perché lascia intravedere il Maestro che verrà.
L’altro concerto per violino e orchestra – in do maggiore, Hob. VII n. 4 – risale al periodo in cui il compositore austriaco, a partire dal 1761, si trovava presso la corte del principe ungherese Paul Anton Esterházy, l’uomo più ricco di tutto l’impero asburgico. Il concerto, databile intorno al 1769, fu composto per il violinista pesarese Luigi Tommasini, anch’egli tra i protetti dall’insigne mecenate magiaro che, appena dopo averlo assunto come lacchè con obbligo di violino, lo aveva inviato a perfezionarsi a Venezia. Il lavoro – nulla di trascendentale dal punto di vista tecnico, ma rivelatore di una spiccata vena melodica – si è aperto con un’ampia, carezzevole melodia dell’orchestra, cui ha fatto seguito il violino solista, che in un fitto dialogo con gli altri strumenti si è esibito in tre spettacolari entrate. Nel successivo Adagio il solista, con largo fraseggiare, ha ripreso il motivo dell’orchestra, mentre nel conclusivo Allegro – un Rondò monotematico – è emerso l’insieme con un saltellante intreccio di frasi concatenate, a creare un moto perpetuo, punteggiato da piccoli incisi. Grandi applausi finali con due bis vivaldiani: l’Andante dal Concerto RV 222 e ancora l’Andante dalla Sinfonia della Griselda, preceduti da qualche parola di omaggio, da parte di Biondi, a Chiaretta e all’Orchestra, tutta femminile, della Pietà.