Venezia, Teatro Malibran: Marco Angius e Giovanni Andrea Zanon interpretano Beethoven

Venezia, Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2021-2022
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Marco Angius
Violino Giovanni Andrea Zanon
Ludwig van Beethoven: Concerto per violino e orchestra op. 61; Sinfonia n. 2 op. 36 in re maggiore op. 36
Venezia, 4 giugno 2022
Una lettura diffusamente analitica e introspettiva è stata offerta dal maestro Marco Angius – chiamato a sostituire il previsto Louis Lortie – nel corso di questo concerto, al Teatro Malibran, interamente dedicato a Beethoven, in cui ha diretto il Concerto per violino e orchestra op. 61 e la Sinfonia n. 2 op. 36. Violino solista, il giovane Giovanni Andrea Zanon, che imbracciava un portentoso “Guarneri del Gesù” (Cremona 1739, ex Ebersholt-Menuhin). Il collaudatissimo programma beethoveniano non suscitava, sulla carta, particolari aspettative, se non quella di un’esecuzione di livello, considerando la piena forma dell’orchestra, dimostrata anche recentemente, e l’apprezzamento di cui gode da tempo Marco Angius, quale interprete di un vasto repertorio, che arriva fino alla musica contemporanea. L’unica incognita – almeno per chi scrive – era rappresentata dal violinista, che non avevamo ancora avuto modo di ascoltare.
Ci siamo dilungati in questo preambolo per motivare la sensazione di piacevole sorpresa da noi avvertita nell’ascoltare i brani in programma, proposti secondo un approccio tutt’altro che convenzionale, a cominciare dal celebre concerto beethoveniano. Qui il solista, appena ventiquattrenne, ha esibito le sue ragguardevoli doti. Il suono che traeva dal suo pregiatissimo strumento era sorprendentemente pieno e rotondo, in tutti i registri, anche nelle note più acute, che – si può dire sempre – brillavano per qualità timbrica e perfetta intonazione. La sua interpretazione era approfondita, frutto di una riflessione già matura che, sorretta da una sicura padronanza tecnica, riusciva a conciliare i passaggi più espressivi con quelli cosiddetti “di bravura”, mai fini a se stessi, bensì – secondo gli intendimenti del Maestro di Bonn – funzionali ad una nuova concezione di questo genere concertistico, in base alla quale la preminenza melodica del solista deve integrarsi con le esigenze spettacolari o anche costruttive della composizione. Inappuntabile è apparso Angius nell’assecondare il solista, avendo a disposizione un’orchestra sempre partecipe, che ha, soprattutto nel primo movimento, una dimensione sinfonica. Così nel lungo primo tempo – in cui tutti i temi sono di carattere lirico e prevalentemente condotti per gradi – il solista si è abbandonato con trasporto al canto: una vena cantabile amplificata dagli interventi, di carattere melodico-solistico, dei legni, spesso straordinari anche sotto il profilo timbrico. La parte del violino solista, intrisa di trasparente, lirica cantabilità e sfociante in espansioni virtuosistiche, si integrava perfettamente con il denso tessuto dell’orchestra, anch’essa gonfia di effusioni melodiche. Magico il violinista nella cadenza, ampia e di particolare difficoltà virtuosistica.
Alla densità sinfonica dell’immane primo movimento si è contrapposta la semplicità degli altri due. Il Larghetto – articolato in un dialogo fra lo strumento solista e l’orchestra, che si scambiano un semplice tema, sottoposto a variazioni, ha visto stagliarsi le ardite elaborazioni del violino su un delicato sottofondo orchestrale, in un clima trasognato. Un’altra cadenza del solista ha condotto, senza soluzione di continuità, al Rondò finale, dal ritmo balzante di ascendenza haydniana – dapprima accennato dal violino, poi ripreso con impeto travolgente da tutta l’orchestra – inframezzato da uno splendido episodio lirico in minore, che ha visto protagonisti violino e fagotto.Terminata l’esecuzione, applausi e acclamazioni a non finire, soprattutto per il più che promettente concertista, sono stati placati da un fuoriprogramma: il primo movimento dalla Sonata per violino n. 1 in sol minore BWV1001 di Bach (metafisico incanto!)
Analoga sensazione di piaceri inaspettati ci ha colto con l’esecuzione dell’altro titolo beethoveniano: la Sinfonia n. 2 in re maggiore. Composta tra il 1800 e il 1802, essa si colloca tra i lavori giovanili, che ancora risentono degli influssi della tradizione, soprattutto di Haydn e Mozart, pur manifestando una caratteristica stilistica fondamentali del sommo compositore: la capacità di fondere in un equilibrio perfetto, per essenzialità e compiutezza formale, tutti gli elementi strutturali della partitura. Eppure quest’opera è nata in un momento della vita di Beethoven, rattristato da due fatti alquanto deprimenti: l’aggravarsi della sordità con il conseguente abbandono della carriera concertistica; la delusione sentimentale, causata dal rifiuto ricevuto dalla contessina Giulietta Guicciardi. Nondimeno ogni vicissitudine fu superata grazie alla totale immersione nell’attività creativa creativa. In tale contesto nacque la Seconda Sinfonia, in cui i contemporanei avvertirono subito qualcosa di eccessivo e sorprendente – quanto a dimensioni ed elaborazione del materiale musicale – rispetto alle loro abitudini di ascolto, pur senza disconoscere la potenza e l’originalità del Genio. Di notevole spessore, quanto a capacità di analisi e approfondimento, è risultata l’interpretazione di Angius, che nella lenta introduzione, con cui si apre la sinfonia –  generalmente considerata un esempio di energia e serenità – ha creato un’atmosfera inquieta e pensosa, tramite un fraseggio dalle ampie arcate, mentre nel successivo Allegro con brio, basato su un’idea proposta sottovoce da viole e violoncelli, è emerso tutto l’entusiasmo costruttivo, che caratterizza questa pagina, con la complicità di tutte le sezioni dell’orchestra, qui come altrove, più che mai scattanti. Nel successivo Larghetto si è colta  a tratti una profonda espressività già tutta beethoveniana, anche perché l’omaggio alla grazia settecentesca  era percorso da un brivido di nostalgia per quel mondo ormai al tramonto. Il puro ritmo ha dominato nello Scherzo, di geometrica economia di linee, che sostituisce il tradizionale Minuetto; mentre nell’estroverso finale – vasta ricapitolazione di tutti gli atteggiamenti espressivi della sinfonia, partendo da un tema a mo’ di esclamazione rapida e perentoria – è riapparso Haydn con le sue caratteristiche “sorprese” – come brusche interruzioni del discorso e improvvisi cambiamenti d’umore –, ma il carattere giocoso era intriso di inusitata energia. Successo pieno a fine serata.