Torino, Auditorium RAI “A.Toscanini”.
Orchestra Sinfonica Nazionale RAI
Direttore Speranza Scappucci
Gioachino Rossini: “Moïse et Pharaon”. Ballabili ll e lll dall’atto lll (1827); Amilcare Ponchielli: “La Gioconda”. “Danza delle ore” dall’atto lll (1876); Georges Bizet: “Carmen”. Suite n.1 (1876); Giuseppe Verdi: “I vespri siciliani”. “Le stagioni” dall’atto lll (1855).
Torino, Lunedì 6 giugno 2022.
Terminata la stagione regolare di concerti, l’OSN RAI ne offre, a prezzi popolarissimi, ulteriori due dedicati alla danza, questo primo, affidato alla bacchetta di Speranza Scappucci è incentrato sulla danza all’opera, seguirà il 15 giugno, con John Axelrod sul podio, la danza al cinema. Rossini traslocato nel 1827 a Parigi, massima personalità musicale sulla piazza, come debutto sulle scene dell’Operà riprese, nella nuova lingua e con profonde modifiche, il “Mosè in Egitto”, già grande successo a Napoli nel 1818. Nuovo titolo “Moïse et Pharaon”, nuova drammaturgia e nuovi personaggi. In un’opera per la scena della capitale francese, non dovevano assolutamente mancare, nel terz’atto, abbondanti ballabili. Tre ne furono inseriti dal pesarese, tra questi la serata propone il 2°, una festa nel tempio di Iside con musiche tratte da Armida e il 3° descrizione di una caccia. Come poi farà anche Verdi nel 1° atto di Aida, nella scena nel tempio di Vulcano, nel tempio di Iside, il suono fluido delle arpe segna l’atmosfera in cui si stagliano la melodia dell’oboe e lontani echi di corni. La “caccia “è, di tradizione, nel clangore dei corni che qui da conduttori del materiale musicale trascinano gli archi recalcitranti nella partita. 15 minuti di musica che, pur non ricordando per nulla l’opera che la contiene, danno vita ad un piacevole intermezzo. La Danza delle ore è l’intermezzo danzato, incastrato nella trucidissima vicenda del terzo atto della Gioconda. Per il terzo atto della “grande opera” italiana, ad imitazione della francese, si confezionarono dei ballabili nella manifesta ma vana speranza di sbarcare, prima o poi, al Palais Garnier. Siam certi che questo balletto deve la sua fama più agli struzzi e agli ippopotami in tutù dei cartoni di Disney che non alle sue intrinseche qualità musicali. Qui la validissima Speranza Scappucci si è fatta trascinare a tal punto da certi languori melodici, conditi da tempi rubati ed espansioni improvvise che, in un ampio movimento delle braccia, la bacchetta direttoriale le è sfuggita di mano per schiantarsi, fortunatamente senza nullo ferire, ai piedi dell’attonito Ranfaldi, violino di spalla della serata. Le mani libere hanno definitivamente dato al gesto direttoriale maggior agio nel modellare, con cura e passione, un materiale che forse non meritava il grande impegno fisico profuso. Gli applausi dell’intera gremita platea si sono alzati travolgenti.
La 1° suite di Carmen, affastellata da Guiraud, amico e collaboratore di Bizet, dopo la morte dell’autore per mettere a frutto la fama conquistata dall’opera, non ci è parsa congruente con il programma della serata. Qui le danze non sono destinate ad un corpo di ballo, ma costituiscono l’essenza del personaggio che le danza di persona e che le vive nelle circostanze della scena. Forse in nessun’altra opera, come in Carmen, la/il protagonista si incarna in ogni nota della partitura; per questo le due suites di Guiraud suonano, pur con musica bellissima, benissimo orchestrata ed organizzata, posticce e false: manca Lei, la gitana, a darle vita.
Pochi minuti di pausa e poi irrompono in orchestra Le quattro stagioni dal 3° atto de Les Vêpres siciliennes di Verdi. Sono 30 minuti di musica stupefacente. È stato detto e scritto quanto Verdi detestasse la consuetudine parigina di interrompere lo svolgimento drammatico dell’azione con l’inserzione delle danze. Come non concordare e allo stesso tempo non deprecare chi oggi “le taglia”. Verdi ha adempiuto all’impegno compositivo dei ballabili con tutta la professionalità che gli era propria e con tutto l’impegno che la sua cultura musicale gli consentiva. Sono quattro quadri più suggestivi che descrittivi che le didascalie della partitura dettagliano minuziosamente, di cui si colgono coinvolgenti sensazioni più che azioni specifiche. Né temporali, né uccellini, né cacce. Sicuramente la mancanza dell’azione coreografica non aiuta nel decriptarne, con più puntualità, le intenzioni descrittive. L’ascolto è comunque sufficiente ad illustrarne il valore. La musica si dipana in continui quadri sonori che vedono l’impegno solistico dei legni. L’oboe, il clarinetto, il flauto, l’ottavino e il fagotto, sono solisti, reciprocamente dialoganti che insieme fungono da “soli” in uno pseudo “concerto grosso”. Gli archi garantiscono compattezza e clima all’intera composizione. La durata e la qualità sono tali da farci sperare in esecuzioni, in orchestra sinfonica, meno diradate. Queste danze potrebbero porsi come pietra miliare nel panorama della negletta musica strumentale italiana dell’800.
I legni sono stati i protagonisti di tutti i brani in locandina, ci corre quindi l’obbligo di citare l’oboe di Francesco Pomarico, il clarinetto di Enrico Maria Baroni, il flauto di Marco Jorino, l’ottavino di Fiorella Andriani e il fagotto di Nicolò Pallanch, senza trascurare l’arpa di Margherita Bassani, veri protagonisti della serata. Ci scusiamo con gli altri loro colleghi a cui le sole ragioni di spazio hanno impedito di arricchire meritatamente l’elenco. Speranza Scappucci, ormai stella affermata, non solo al femminile, della direzione si è ampiamente meritato il successo riscosso, a fine serata, da un fitto pubblico a lungo plaudente. La sua direzione, più descrittiva che emotiva, ha avuto ragione della massa orchestrale e ha convinto l’uditorio. Della direttora vanno sottolineati l’eleganza del gesto e la fisicità degli atteggiamenti che sfociano in eleganti saltelli nei punti in cui si richiede un maggior impatto sonoro. Il Concerto è visibile sulla piattaforma di RaiPlay.