Grand-opéra in cinque atti su libretto di Charles Duveyrier ed Eugène Scribe. Prima rappresentazione: Parigi, Opéra, 13 giugno 1855
Primi interpreti: Sophie Cruvelli (Hélène), Louis Gueymard (Henri/Arrigo), Marc Bonnehée (Monfort), Louis-Henri Obin (Procida)
Dopo quella che è stata definita la trilogia “popolare” o “romantica “, Rigoletto, Trovatore e Traviata, Verdi sembra voler dare un nuovo corso alla sua attività: dopo 11 frenetici anni, nei quali ha composto 18 opere, ora sembra finalmente giunto il momento di allentare il ritmo, che non vuole certo dire fermarsi, anche perché in lui si agita un’ansia creativa che mai trova pace.
Accanto alla sua “Peppina”, della quale egli molto rispettosamente dice: “In casa mia vive una signora libera, indipendente, amante come me della vita solitaria”, Verdi trascorrere la primavera e l’estate del 1853 a Sant’Agata, dedicandosi alla campagna e ancora una volta riemerge il progetto del Re Lear. Il lavoro approntato con Cammarano passa al nuovo librettista, l’udinese Antonio Somma.
Gli impegni non mancano, c’è già un cantiere un lavoro per l’Opéra di Parigi in occasione dell’Esposizione Universale del 1855. Dopo la Jérusalem che, come sappiamo, altro non è che il rifacimento dei Lombardi, Verdi deve scrivere un’opera appositamente per le scene parigine o come Verdi chiama l’Opéra, la “grande bottega “. Nell’ottobre del 1853, pochi giorni dopo il suo quarantesimo compleanno, Verdi e la Strepponi partono per Parigi.
E da qui hanno inizio i problemi: con il librettista ufficiale dell’Opéra, Eugène Scribe, il quale, in ritardo sui tempi concordati (il dettagliato contratto prevede che il libretto sia pronto già nel giugno del 1852) rifila a Verdi un assai poco gradito libretto di “seconda mano”, un rifacimento del Duca d’Alba di Donizetti.
Verdi ha davanti a sé un anno per comporre, un tempo che, per i ritmi lavorativi fin qui tenuti si potrebbe addirittura definire “spropositato”. Ma ci tiene poco: affrontare un genere rigidamente codificato come quello del “grand-opéra”, in cinque atti, con grandi scene di massa e il balletto d’obbligo, per un compositore come lui naturalmente votato alla sintesi drammatica, è dura, e perciò il lavoro procede piuttosto faticosamente. A ottobre del 1854 parte dell’opera è terminata e così cominciano le prove. Dopo pochi giorni, però, vi è la fuga del soprano Sophie Cruvelli, autentica star dell’Opéra.
Il teatro è nel caos, Verdi, in guerra con Scribe, che fa il sordo alle richieste di modifiche il libretto, è esasperato. Improvvisamente, come è scompars, la Cruvelli ricompare, ma intanto sono saltati e sostituiti i vertici dell’Opéra. Scrive Hector Berlioz: “Verdi è ai ferri corti con tutti quelli dell’Opéra. Ha fatto ieri una terribile scenata alla prova generale. Il poover’uomo mi fa compassione:mi metto nei suoi panni. Verdi è un degno e onorabile artista”. A dispetto delle vicissitudini passate, Les vêpres siciliennes vanno in scena la sera del 13 giugno. Il successo di pubblico e critica è notevole e diventa trionfale nel corso delle repliche. Scrive ancora Berlioz: “Bisogna convenire che nei Vespri l’intensità penetrante dell’espressione melodica, la varietà sontuosa, la dotta sobrietà della strumentazione, l’ampiezza, la poeticità sonora dei pezzi d’insieme, e quella forza appassionata ma lenta a dispiegarsi che forma uno dei tratti caratteristici di Verdi, danno all’opera nel suo complesso una impronte di grandezza, una sorta di maestà sovrana, più spicata che nelle precedenti produzioni dell’autore.”
Un giudizio sul quale si può anche concordare. Il Maestro riesci ad adeguarsi alle convenzioni francesi in modo mirabile, ma il “vero ” Verdi lo si ritrova nel mondo in cui affronta le arie. Basta citare la sortita di Elena, nel primo atto, nella quale recitativo, aria e cabaletta formano un blocco formale di grande efficacia drammatica e teatrale, ma anche nei momenti solistici riservati a Monfort e ad Arrigo presentano una forte aderenza introspettiva espressa da una drammaturgia asciutta, per nulla enfatica.
Dopo il felice esordio parigino, Ricordi pensa subito di portare Les vêpres siciliennes in Italia e, con l’approvazione di Verdi, affida al poeta Arnaldo Fusinato la versione del libretto in italiano. Come sempre, però, intervengono i soliti zelanti censori e ancora una volta l’opera subisce continui cambiamenti di titoli e di ambientazione. Per vedere i rappresentati I Vespri Siciliani con il titolo è l’ambientazione originale, si dovrà attendere il 1861, al Teatro Carolino di Palermo, dopo la cacciata dei Borboni.