Charles Lecocq (1832-1918): “La fille de Madame Angot” (1874)

Opéra-comique en trois actes su Charles Clairville, Paul Siraudin e Victor Konig. Anne-Catherine Gillet ( Clairette), Véronique Gens (Mademoiselle Lange), Mathias Vidal (Ange Pitou), Artavazd Sargsyan (Pomponnet), Matthieu Lécroart (Larivaudière), Antoine Philippot (Louchard), Ingrid Perruche (Amaranthe, Hersilie, Javotte, Babet), Flannan Obé (Trénitz, Guillaume, Buteux), David Witczak (Un Incroyable, Un Officier, Cadet). Orchestre de chambre de Paris, Chœur du Concert Spirituel, Sébastien Rouland (direttore) Registrazione: Auditorium de la Seine musical Paris, 16-20 febbraio 2021. 2 CD Fondazione Palazzetto Bru Zane BZ1046.
La Francia dei primi anni settanta dell’Ottocento, la Francia che esce dalla disfatta di Sedan, dal crollo del II Impero, dalle tragiche vicende della Comune di Parigi. Una Francia bisognosa di tornare a vivere ma con la consapevolezza di quanto accaduto e dell’impossibilità di tornare pienamente a prima della catastrofe. In questo contesto Charles Lecocq – compositore parigino allievo di Halèvy, cresciuto sotta l’ala di Bizet e di fatto diventato l’erede di Offenbach – compone “La fille de Madame Angot” – che risulterà essere uno dei maggiori successi dell’operetta francese dopo il deciso passaggio di Offenbach verso i lidi dell’opera seria.
Lecocq sceglie per l’ambientazione un tempo le cui dinamiche essenziali erano quando mai vicine a quelle contemporanee. Gli ultimi anni del Settecento quando, dopo il colpo di stato del nove Termidoro, si passa dalla stagione del Terrore a quella più moderata del Direttorio, accompagnata da un’esplosione di vitalità repressa e capace di esprimersi con una forza iconoclasta – dall’arte alla moda.
Tra Marveilleuses e Incroyables si dipana la vicenda di Clairette, figlia di Madame Angot, personaggio ben noto al folklore del tempo, come personificazione della popolana arricchita, con  suoi spasimanti in una atmosfera dai ritmi di valzer, portq in scena rivoluzionari e poeti, cospiratori e ussari, figure storiche e d’invenzione e dove il sempre presente sottinteso politico si stempera nella gioia del sorriso.
Leggerezza e freschezza sono le cifre della scrittura di Lecocq unite a un fondo di leggera malinconia che dona alla composizione un carattere autenticamente francese. Una piacevolezza musicale che fa dimenticare una struttura formale rigida e ancora  ancorata a modelli d’inizio secolo e in cui ancora influenzata da  Rossini.
Leggerezza che però non nasconde temi politici in cui i riferimenti alla stagione rivoluzionaria lasciavano trasparire riferimenti  espliciti alla realtà contingente. Scelta prudente quella di far rappresentare l’opera a Bruxelles nel 1874 e di arrivare a Parigi solo sulle ali di un successo ormai acquisito.
Ancora mancante di un’edizione discografica attendibile il titolo vede la nuova meritoria realizzazione della Fondazione Palazzetto Bru Zane che ci presenta il titolo nell’originaria versione di Bruxelles caratterizzata da un’orchestrazione agile e leggera rispetto alla ripresa parigina e propone, in appendice, anche i due brani modificati nel corso delle riprese.
La direzione di Sébastien Rouland alla guida dell’Orchestre de chambre de Paris è un vortice trascinante di colori setosi e perlacei dove un senso ininterrotto di danza conquista da subito l’ascoltatore. La direzione si caratterizza anche per la precisione dei dettagli e la resa dei contrasti timbrici particolarmente evidenziata dall’orchestrazione più leggera della versione di Bruxelles (sia ascolti l’uso delle percussioni nel finale primo). I complessi strumentali suonano benissimo – così come ottima è la prova del Choer de Concert Spirituel – e sono particolarmente valorizzati dall’altissima qualità della registrazione, non solo esemplare sul piano della pulizia ma capace di creare suggestivi effetti spaziali.
La compagnia di canto è impeccabile e tutti gli interpreti risultano perfettamente calati nelle rispettive parti.
Anne-Catherine Gillet si presenta con “Je vous dois tout” e subito la dolcezza leggera di Clairette è definita senza esitazione. La voce è chiara e agile, di bel colore e nitidissima nei passaggi di bravura. Ottima interprete coglie tutta l’ironia dei couplets politique e fa autentiche faville nel “duo de lettres” del III atto con Mademoiselle Lange. Questa è una veterana delle incisioni Bru Zane come Véronique Gens sempre in possesso di una bella voce di mezzosoprano compatta e perfettamente controllata ma soprattutto capace di giocare con irresistibile ironia la parte da demi-mondaine di questa figura storica importante attrice del tempo e musa di Anne-Louis Girodet de Roussy-Trioson i cui ritratti sono tra le opere più originali e spiazzanti dell’arte francese del tempo. La Gens gioca tutte le carte del ruolo dal tono seduttivo e intrigante nei duetti con Pitou al ritmo puntato e saltellante di “Les soldats d’Augerau” parodia militare sull’esempio di Offenbach.
Due tenori le affiancano. La parte più lirica di Ange Pitou – altra figura storica – è affrontata con la consueta classe da Matthias Vidal. La parte abbastanza centrale non crea difficoltà vocali e il tenore si fa apprezzare per la morbidezza del canto, l’eleganza del porgere, il gioco dei chiaroscuri specie nei duetti con la Lange che rappresentano gli spazi lirici più compiuti della partitura. Vocalità più leggera per il Pomponnet di Artavazd Sargsyan tenore franco-armeno noto principalmente come interprete del repertorio barocco ma che anche qui si disimpegna con gusto ed eleganza in una parte caratterizzata da ritmi brillanti e leggeri. Interpretativamente rende bene il carattere vanesio già sottinteso nel nome.
Matthieu Lécorat affronta con voce solida e dizione nitida e precisa la parte buffa di Larivaudière; Ingrid Perruche ha tutta l’energia popolaresca che Amaranthe deve esprimere nella “Chanson de madame Angot”. Tutte perfettamente centrate le parti di fianco a garantire due ore di autentica gioia musicale.