Venezia, Teatro La Fenice: Berlioz e Ravel secondo Frédéric Chaslin

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2021-2022
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Frédéric Chaslin
Hector Berlioz: “Symphonie fantastique”, Episode de la vie d’un artiste op. 14; Maurice Ravel: “Boléro”
Venezia, 14 maggio 2022
Abbozzata nel 1829 e ultimata nel 1830 (per intendersi, l’anno di Hernani di Victor Hugo, della Rivoluzione di Luglio e della Libertà che guida il popolo di Delacroix), la Sinfonia Fantastica segnò l’affermazione di Berlioz sulla ribalta internazionale. Il contesto storico in cui nacque potrebbe bastare, già da solo, a farne un manifesto del romanticismo francese, ma ovviamente in questa sinfonia-dramma, in cinque parti, come i cinque atti di una tragedia – cui è sotteso un programma di tipo autobiografico, dettato dall’amore inconfessato dell’autore per l’attrice Harriet Smithson, sua futura moglie – si possono riconoscere luoghi tipici del romanticismo – come l’amore infelice, la natura, il fantastico – e riferimenti ad opere letterarie della stessa matrice: Dernier jour d’un condamné di Hugo e Confessions of an English Opium-Eater di Thomas de Quincey per Marche au supplice; Ronde du sabbat di Hugo e Faust di Goethe per Songe d’une nuit du sabbat. Un lungo tema – l’idée fixe, che rappresenta la donna amata – ricorre, in questa musica trasgressiva, frammentato e trasformato a partire dal Bal, fino a diventare un sogghigno beffardo nel finale, dove inoltre risuona una versione parodistica del Dies irae liturgico. Berlioz ha fornito, con la Sinfonia fantastica, il primo esempio di musica a programma, precorrendo il Poema sinfonico. Peraltro, la struttura di questa imponente partitura, guarda ancora al modello beethoveniano, cui si rifà anche l’organico strumentale, seppure arricchito.
Di grande fascino, per la costante cura del suono – peraltro doverosa di fronte al capolavoro di un maestro della strumentazione – e per la grande sensibilità, dimostrata nel sottolineare ogni sfumatura all’interno delle ampie frasi, che caratterizzano questo monumento sonoro, è risultata la lettura di Frédéric Chaslin. Il direttore parigino – confermatosi uno dei massimi interpreti del repertorio francese, perfettamente a suo agio nell’affrontare la più famosa partitura scaturita dal vulcanico e, per certi versi, bizzarro genio di Berlioz – non ha cercato il facile effetto, mentre ha inteso portare alla luce, in un’atmosfera liricamente rarefatta, la vena romanticamente introspettiva e visionaria, che – pur tra momenti di allucinata esaltazione, segnati da un marcato espressionismo sonoro – percorre il discorso musicale, sorretto in questo da un’orchestra assolutamente empatica, che ha respirato insieme a lui senza mai perdere la compostezza stilistica.
Estremamente espressiva è stata l’Introduzione lenta, Largo, in apertura dal primo movimento, Rêveries, passions – che narra l’incontro del giovane musicista con la donna amata –, in cui si sono segnalati i violini con la loro sognante melodia, mentre il corno, impeccabile, ha contribuito ad evocare un’atmosfera irreale; dopodiché, nel successivo Allegro agitato e appassionato, i violini e il flauto hanno intonato la famosa idée fixe (il pensiero dell’amata) cui, più avanti, si è aggiunto il secondo tema, molto simile al primo, ma diverso quanto a ritmo, armonia e timbro.
Una particolare raffinatezza timbrica si è colta nel delicato secondo movimento, Un bal. Valse – privo di trombe e di fagotti –, che si riferisce alla disperata ricerca, da parte del protagonista, dell’amata in una sala da ballo, dove la donna, come idée fixe affidata al clarinetto, appare con le eleganti movenze del valzer.
Un’insolita calma ha pervaso il terzo movimento, Scène aux champs, dove il giovane ascolta in lontananza il suono di due zampogne, espresso con finezza dal mesto dialogo tra oboe e corno inglese; finché il pensiero della donna – l’idée fixe riproposta da flauto, oboe e clarinetto – è tornato ad inquietarlo.
Un carattere diffusamente espressionistico si è colto nei successivi movimenti: nel quarto, Marche au supplice – dove il giovane, allucinato dall’oppio, si crede assassino della donna e condannato al patibolo –, inizialmente cupo e selvaggio, con un tema discendente esposto da violoncelli e contrabbassi, poi brillante e solenne, grazie ai timbri chiari di ottoni e legni, prima del ritorno dell’idée fixe, esposta dal clarinetto; nel quinto movimento, Songe d’une nuit du Sabbat – con il nostro giovane in mezzo a un Sabba infernale, durante il suo funerale – dove, dopo un’introduzione misteriosa, Larghetto, l’idée fixe, affidata ai legni, si è alternata al tema del Sabba, fino a quando i rintocchi di due campane hanno introdotto il Dies irae, che ha scatenato la cosiddetta Ronda del sabba, ampio episodio in stile fugato, prima del travolgente finale.
Analoghe seduzioni, soprattutto legate al parametro timbrico – unico fattore evolutivo in una partitura, che non ha sviluppo né, quasi, modulazioni – ha riservato l’esecuzione di Boléro di Maurice Ravel – altro genio dell’orchestrazione –, alla cui origine è la richiesta, giunta nel 927 al musicista, di comporre un breve balletto di ambientazione spagnola, da parte della ballerina russa Ida Rubinstein. Il progetto iniziale era quello di orchestrare alcune pagine pianistiche tratte da Iberia di Albeniz, ma, vista l’impossibilità di realizzarlo, il compositore decise di utilizzare una propria melodia di carattere spagnoleggiante. La partitura che ne derivò conferma alcuni tratti salienti dell’arte raveliana: il fascino esercitato sul compositore basco dalla terra di Spagna; l’interesse per i ritmi di danza; la raffinatezza nell’uso degli strumenti, testimoniata dalla presenza nell’organico di un oboe d’amore, tre sassofoni e un gong. Più che mai l’Orchestra della Fenice si è confermata un ensemble di solisti nel proporre, sapientemente guidata dal gesto generoso ed espressivo di Chaslin, il continuo ripetersi dei due temi principali – il tema A, diatonico, e il tema B, dall’andamento cromatico, evocante atmosfere esotiche – esposti da singoli strumenti o da  sempre diverse combinazioni strumentali in un graduale crescendo, di allucinante effetto emotivo, dall’enunciazione in pianissimo, affidata al flauto, fino al maestoso finale, che – diversamente dalla maggior parte del pezzo, che è in do maggiore – modula brevemente in mi maggiore, per poi tornare nella tonalità prevalente. Incontenibili applausi, a fine serata, accompagnati da acclamazioni e richieste di bis, si sono placati con la riproposta del entusiasmante finale di Boléro.

 

 

 

 

 

 

 

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