Torino, Auditorium RAI: Concerto diretto da Juraj Valčuha

Torino, Auditorium RAI “A.Toscanini”, Stagione Sinfonica 2022. 13°concerto.
Orchestra Sinfonica Nazionale RAI
Direttore Juraj Valčuha
Jean Sibelius: “Aallottaret” (Le Oceanidi) Poema sinfonico op.73 (1914); Benjamin Britten: Four Sea Interludes (Quattro interludi marini) da Peter Grimes op.33a (1942-43); Béla Bartók: Il Mandarino miracoloso Suite da concerto BB 82°, SZ 73b (1927);
Maurice Ravel: “La valse” Poema coreografico (1919-1920)
Torino, 11 Maggio 2022.
Juraj Valčuha, arrivò trentatreenne semisconosciuto, nel 2009, a prendersi, come direttore principale, il podio dell’OSN RAI e vi rimase fino al 2016. In quei sette anni, si fece conosce, amare ed apprezzare dall’orchestra e con lei crebbe artisticamente ampliandone il repertorio con esecuzioni di musiche inconsuete di autori di area slava e russa. Gli studi di direzione a San Pietroburgo, con il grandissimo Ilya Musin, maestro dei maestri, avevano certamente consolidato nel giovane slovacco di Bratislava l’impronta euro-orientale.
Il pubblico, anche affascinato dall’elegante figura di “eterno Peter Pan”, gli ha sempre attribuito convinti sostegni ed apprezzamenti. Nessun dubbio sulla bontà dei suoi Prokofiev, Janacek e Dvorak; non altrettanto a fuoco i Beethoven e i Brahms. Il classicismo viennese non sembrava ideale per le sue corde slave, venate da colorismo umorale. Dopo il 2017, anno della sua partenza da Torino, i ritorni sul podio dell’Auditorium di via Rossini si sono ripetuti, con cadenza quasi annuale, a testimonianza dei legami artistici e affettivi, sempre dichiarati, con orchestra e pubblico torinese. Il programma eterodosso di quest’ultima apparizione, pareva sulla carta, e lo è stato in effetti, assolutamente congeniale alle sue caratteristiche di interprete onnivoro e appassionato. Le anticipazioni RAI, a supporto del concerto, riportavano i due temi conduttori per i brani in esecuzione: il mare e la danza.
Aallotteret (le Oceanidi), fantomatiche deità marine di una fantastica mitologia greca, sono le protagoniste acquatiche, assai evanescenti, del Poema Sinfonico del Finlandese Jean Sibelius. Il mare greco non c’è, il clima mediterraneo è lontano le mille miglia. Dopo un brevissimo inizio brillante, si scivola su una piatta superficie caliginosa da cui si alzano fredde brume grigiastre. Non ci sono dubbi! Sibelius ha abbandonato la Riviera ligure ed è rientrato in patria. L’atmosfera è perfettamente dipinta: uno stagno di Monet senza le ninfee che lo ravvivano. Il vento cerca invano di spazzare il cielo e ridar luce piena, una nebbiolina, momentaneamente diradata, ritorna persistente. Valčuha che nel 2017 portò Peter Grimes in teatro, a Bologna, nel prossimo giugno, sarà a Venezia per dirigerla nuovamente. Questa sera si dà la sola suite orchestrale consistente nei quattro interludi, posti tra gli atti, marini perché i temi richiamano con forza l’ambientazione marina dell’opera. Il mare di Britten è il “cattivo” mare del Nord che unisce la sua “cattiveria” alla maldicenza degli abitanti del luogo. Tutto è avverso all’ambiguo Grimes: il mare, la pesca, la sorte, la malignità, probabilmente non peregrina, della gente. L’emarginato “fuori norma” Grimes funge da capro espiatorio e prende su di sé, novello agnello sacrificale, tutto il male. Si annega nel mare burrascoso, illudendo così gli impietosi compaesani, di essersi liberati dal “diverso” e dalla colpa. Valčuha ne dà un’interpretazione folgorante che, sia nella descrizione della natura del vento in tempesta, del mare agitato e del chiacchiericcio pettegolo, penetra nel più profondo lo spirito della musica. L’Orchestra lo segue fedele e senza tentennamenti, ne sortisce finalmente una esecuzione memorabile. Orchestra commossa e commovente, partecipe quanto non mai.
Un po’ di respiro, 20 minuti di intervallo, e si riprende nel clima di esasperato espressionismo del Mandarino miracoloso (per altri: meraviglioso) di Bela Bartok. La suite è del 1926 ed è tratta dalla “scandalosa” pantomima omonima che il sindaco di Colonia aveva bloccato, perché lesiva della pubblica morale, dopo la prima comparsa in scena. Certo non è una storia per educande, ma contemporaneamente a Berlino e a Weimar ben altro si rappresentava. Una poverina costretta ad adescare e a prostituirsi a un cinese infoiato, su un palcoscenico della cattolica Colonia, fu fatale per Bartòk. La suite ha una tinta cupa, ossessiva e pesante. Gli accenni di walzer che ogni tanto emergono, non sono certo immagine di spensieratezza. Questa atmosfera pesantemente plumbea e violenta è comunque consueta e congeniale all’autore, che assai raramente l’abbandona e la cristallizza sovente con un pianoforte completamente percussivo. La scrittura orchestrale è da gran maestro e gli interventi solistici, esemplari quelli del clarinetto di Enrico Maria Baroni, si inquadrano perfettamente a simulare l’azione scenica. Valčuha e l’orchestra sinfonica nazionale RAI ne danno una interpretazione, a mio parere, da antologia. Il pubblico ne è incantato. Segue la Valse di Maurice Ravel, anch’essa nata per le scene ma, per recesso del commissionario Djaghilev che la riteneva non-danzabile, relegata ai soli programmi sinfonici. Il prodotto è confezionato splendidamente, la maestria di Ravel con la scrittura d’orchestra è giustamente mitica, e ha lo schema che verrà ripreso per il Bolero del 1929: si parte in sordina, nel percorso si rinforza lo spessore orchestrale e si intensificano armonia e ritmo fino all’estrema apoteosi finale di tutti i leggii. L’orchestra, come è ormai consuetudine, è stata miracolosamente appassionante; il direttore, a nostro parere, ancora in preda al dirompente espressionismo del Mandarino, ha forse un poco ecceduto in virulenza ritmica e sonora. L’attenuazione di qualche decibel e qualche respiro più ampio avrebbero sicuramente giovato ad un esito più equilibrato. Il pubblico, trascinato dal vortice, ha, con vivezza e costanza, apprezzato.