Danzatori e orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala di Milano
Coreografie di Frédéric Olivieri, Matteo Levaggi, Valentino Zucchetti, George Balanchine © The George Balanchine Trust ripresa da Patricia Neary.
Musiche di Johann Sebastian Bach, Felix Mendelssohn-Bartholdy, Pëtr Il’ič Čajkovskij.
Direttore Piero Mianiti
Violini Giovanni Andrea Zanon, Paloma Martin, Da Won Chang
Violoncello Sofia Bellettini
Costumi Federico Sangalli, Valentino Zucchetti
Luci Andrea Giretti
Milano, 15 maggio 2022
Come ogni anno, gli allievi della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala si esibiscono negli spettacoli natalizi e primaverili. È una bella consuetudine, che permette ai ragazzi che si stanno formando di affrontare il palcoscenico, di poter preparare dei ruoli, di misurarsi con le sfide che andranno ad affrontare una volta diplomati. La serata a cui abbiamo assistito lo scorso 15 maggio si è aperta con la Présentation ideata da Fréderic Olivieri, su musica di Johann Sebastian Bach: uno scenografico défilé ha affollato il palcoscenico, in cui tutti gli allievi hanno salutato il pubblico mostrando il risultato dei propri sforzi. Due, invece, sono state le nuove produzioni firmate per lo spettacolo di quest’anno. La prima è Largo di Matteo Levaggi, su musica di Bach, adattamento a tre di un passo a due coreografato dal suo autore nel 2007. Insieme a Vincenzo Romano e Anna Letizia, si è contraddistinto soprattutto Lorenzo Lelli nel prélude, in un assolo danzato con una qualità e un movimento davvero ricco di sfumature. La seconda nuova produzione è stata Canone Allego di Matteo Zucchetti, su musiche di Mendelssohn-Bartholdy, che ha coinvolto undici ballerini e tre ballerine tra sesto e ottavo corso. È, nelle intenzioni del coreografo, un pezzo istruttivo, ma con in mente il pubblico, e che vuole spronare a trovare nuove soluzioni per il linguaggio del balletto classico, che oggi vede sempre meno coreografi impegnati. Lo spettacolo si è poi chiuso con un fiore all’occhiello del repertorio di formazione, Serenade di Balanchine. Composto nel 1934 per gli allievi della School of American Ballet, crediamo sia un ottimo pezzo in cui far cimentare i ragazzi che frequentano una scuola di ballo. Balanchine, uno dei più grandi geni creativi del Novecento, crediamo sia colui che meglio abbia spronato la danza e i danzatori a trovare un nuovo veicolo di espressione: se fino a quel momento lo si era trovato nella narratività, con lui l’astrazione prende il sopravvento, ma in maniera forse unica. L’espressività del corpo è al servizio della musica, ma con una grande originalità, perché la caratteristica delle coreografie di Balanchine consiste in un’astrazione che… sa di reale! Difatti, Balanchine stesso ci ha scritto che “per Serenade molti pensano che ci sia una storia nascosta nel balletto. Non c’è. Sono semplicemente danzatori in movimento su un bel pezzo di musica. L’unica storia che c’è è la storia che esiste nella musica, una serenata, una danza se si vuole, al chiaro di luna”. Molte sarebbero le implicazioni filosofico-estetiche in cui potremmo addentrarci legate al fatto che per Balanchine storia non è solo realtà, ma esiste anche una storia, una narrazione astratta, com’è infatti nella musica (basti pensare agli sviluppi tematici, ai cambiamenti di tonalità, ecc.). Ma c’è anche dell’altro. Questa impressione di realtà in Serenade riteniamo sia stata anche influenzata dall’aver introdotto nella coreografia, ad esempio, l’arrivo in ritardo di una allieva, la caduta di un’altra… e poi c’è quella bella camminata nell’Elegia, il terzo movimento della serenata d’archi op. 48 di Čajkovskij, che Balanchine ha però deciso di suonare per ultimo, invertendolo con il quarto, in modo da venare di malinconia la fine dello spettacolo. Infatti, dopo che un ballerino (di nuovo un ottimo Lorenzo Lelli) viene guidato sul palcoscenico ad occhi coperti da una ballerina, il movimento chiude lo spettacolo con una processione che sa di arcano, una processione in cui una ballerina viene eretta a idolo e portata da tre ballerini verso il fondo da cui arriva una luce. In Serenade tutto è stato danzato con pulizia e armonia, a partire dai solisti Matilde Pupita e Andrea Tozza (primo e secondo movimento), Asia Matteazzi (quarto movimento), Rebecca Luca e Lorenzo Lelli (terzo movimento). Se una danza astratta dà l’impressione di avere una storia sottostante, l’obiettivo è stato raggiunto: quelli che danzati in altro modo sarebbero stati solo passi hanno invece interessato il pubblico; si è data l’illusione che si sia raccontata una storia, una qualsiasi, che è in fondo la più bella che potesse raccontarsi. Quale più bell’insegnamento può esserci per questi ragazzi?