“Le nozze di Figaro” al Teatro Real di Madrid

Teatro Real de Madrid, Temporada 2021-2022
“LE NOZZE DI FIGARO”
Dramma giocoso in quattro atti di Lorenzo da Ponte da La Folle Journée, ou le Mariage de Figaro di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais
Musica Wolfgang Amadeus Mozart
Conte d’Almaviva ANDRÉ SCHUEN
Contessa d’Almaviva MARÍA JOSÉ MORENO
Susanna JULIE FUCHS
Figaro VITO PRIANTE
Cherubino RACHAEL WILSON
Marcellina MONICA BACELLI
Don Bartolo FERNANDO RADÓ
Don Basilio CHRISTOPHE MONTAGNE
Don Curzio MOISÉS MARÍN
Barbarina ALXANDRA FLOOD
Antonio LEONARDO GALEAZZI
L’angelo ULI KIRSCH
Orquesta y Coro Titulares del Teatro Real
Direttore Ivor Bolton
Maestro del coro Andrés Máspero
Regia Klaus Guth
Scene costumi Christian Schmidt
Luci Olaf Winter
Coreografie Ramses Sigl
Videoproiezioni Andi A. Müller
Madrid, Teatro Real, 11 maggio 2022

Non si direbbe proprio che Le nozze di Figaro nell’allestimento di Klaus Guth abbiano più di quindici anni di storia alle spalle. La ripresa del Teatro Real di Madrid, che segue quella della Canadian Opera Company di Toronto nel 2016 e quelle del 2011 e del 2007 al Festival di Salisburgo, dove lo spettacolo aveva debuttato nel 2006, fa percepire il tempo trascorso soltanto per mezzo della memoria visiva dello spettatore. Quest’ultimo si accorge infatti di avere già visto molti accorgimenti scenici adottati nel frattempo in altre produzioni, che guardano a Guth come modello (in particolare, il doppio di Cherubino in vesti angeliche e atletiche, che dopo il 2006 sarebbe stato – troppe volte e troppo pedissequamente – imitato, con una proliferazione di “doppi” dei personaggi in qualunque opera e senza necessità stringenti). Più che recuperare la descrizione di una regia che molti già conoscono, conviene segnalare come l’abbiano disimpegnata gli interpreti del Teatro Real, a iniziare dal contesto musicale e dal lavoro del maestro concertatore. Ivor Bolton è alla sua quinta opera mozartiana per il Real, da quando ne è il Direttore musicale (si sono succeduti Das Zauberflöte nel 2016 e nel 2020, Lucio Silla nel 2017, Idomeneo nel 2019 e Don Giovanni nel 2021). Lo stile e il modello di sonorità che il direttore ricerca e adatta allo spazio del Real sono ormai ben riconoscibili: come sempre, il Mozart di Bolton è asciutto, molto agile nelle progressioni delle dinamiche, spigliato nei ritmi (mai, però, eccessivamente rapidi). Poco si concede alla ricerca dei colori, che si appoggiano a una tavolozza ben delimitata; una scelta che, lontano dall’essere un difetto, permette al direttore di concentrarsi sulle articolazioni interne del discorso musicale, soprattutto sui fermenti nervosi che soggiacciono alla melodia: in tal modo la Orquesta Titular del Teatro Real, pronta a realizzare le sollecitudini del direttore, esalta una vita dinamica e semi-nascosta della partitura, che si rivela essenziale per dispiegare e accompagnare lo sviluppo scenico e narrativo. Il pregio maggiore di tale lettura è che valorizza la straordinaria continuità musicale della partitura mozartiana, che sembra dipanarsi senza alcun intervallo tra numero e numero. Il momento culminante di tale incalzante dispiegarsi si apprezza nel cuore del II atto, quando il terzetto Susanna-Contessa-Conte evolve in quartetto con l’arrivo di Figaro. Più si aggroviglia l’equivoco comico della folle journée, più le strutture musicali fluiscono con naturalezza. Inoltre, tale insistenza sulle forme di vita musicali evidenti od occulte si adatta perfettamente alla lettura seria e pessimista di Guth. Una cosa è certa, infatti: questo allestimento scenico non potrebbe essere più distante da quello di Lotte de Beer, la regista olandese che ha proposto una nuova versione dell’opera mozartiana al Festival di Aix-en-Provence nell’estate del 2021 e che il Real di Madrid aveva annunciato come coproduzione per la stagione in corso. I rumores sul cambio di programmazione a Madrid sono stati abbondanti e, ovviamente, maliziosi: si è pensato che la direzione del più importante teatro spagnolo non abbia voluto arrischiare l’esito del titolo, dopo le forti critiche ricevute dalla bizzarra versione di de Beer. In ogni caso, la scelta ha soddisfatto sia il pubblico sia i cronisti locali, che hanno molto apprezzato la qualità musicale e teatrale della ripresa. Da ultimo, anche a costo di risultare pedanti o di dare adito a dubbi sulla “seriosità” della regia di Guth, ogni volta che un teatro risparmia al suo pubblico una lettura buffonesca di un’opera di Mozart, è un sollievo generale
La compagnia di canto è, nel complesso, molto buona, una volta ammessa la piccolezza di alcune voci individuali. Vito Priante è un ottimo Figaro, perfettamente credibile tanto nella voce come nella recitazione (e senza essere istrionico). André Schuen è un Conte d’Almaviva la cui prestazione va crescendo nel corso della serata: nonostante l’apertura della voce e la parziale perdita di timbro nelle note alte, la voce è pregevole e si proietta con grande facilità (è l’interprete più applaudito nel corso della recita). Fernando Radó è un don Bartolo che si impone per il volume vocale e la fermezza del timbro (anche se a volte forza un po’ l’emissione). Di María José Moreno, che dà voce alla Contessa d’Almaviva, si apprezza il vibrato (meno il registro acuto). Julie Fuchs è una Susanna apprezzabile, con buoni armonici ma con difetti di pronuncia e scarsa cura del fraseggio. La similarità di timbro delle voci di Susanna e della Contessa non rende giustizia al necessario contrasto dei due personaggi femminili (al punto che in molti passaggi del II atto è difficile distinguere chi stia cantando). Monica Bacelli è una Marcellina perfetta: sia nelle spigolosità della voce sia nella capacità attoriale. Rachael Wilson incarna un Cherubino dalla giusta acerbità vocale, sobria nel porgere, perfettamente allineata alle richieste del direttore (peccato che, anche nel suo caso, la pronuncia sia alquanto difettosa). Christophe Montagne è un veterano del teatro lirico (ma anche del teatro francese: fu membro della Comédie Française): perfetto nel personaggio di don Basilio, anche se i mezzi vocali sono compromessi dall’usura.
Sulle scale interne di un palazzo nobiliare, grande ma in cattive condizioni, tutti i personaggi dell’opera si incontrano e si scontrano, facendo intersecare le proprie passioni, venate di egoismo, meschinità e malizia. Soltanto due di loro sembrano esenti da qualunque sentimento negativo: da un lato Figaro, adulto ormai disilluso e come rassegnato; dall’altro Cherubino, l’adolescente innamorato che non conosce cattiveria e che dà ascolto soltanto alle pulsioni della sua natura. La forza che lo ispira, l’angelo, entità per certi aspetti dominatrice della scena, alla fine dell’opera spicca il volo da una finestra, abbandonando il giovane androgino a un’umanità adulta ormai incapace di amare, e per questo confusa e maligna. Come costante preludio a questo congedo finale, sulla scena cadono spesso piume dell’angelo: il cielo sembra vicino, ma in realtà è perduto per sempre.   Foto Javier del Real © Teatro Real de Madrid