Aleksandr Dargomyzkij (1813-1869): “La Rusalka” (1856)

Opera in quattro atti su libretto proprio, dal poema omonimo di Aleksandr Puškin. Prima rappresentazione: San Pietroburgo,Teatro Circo, 4 maggio 1856.
Di Aleksandr Dargomyzkij, fondatore con Glinka  della scuola nazionale russa, si racconta un episodio singolare, e cioè che non parlò fino all’età di cinque anni. I biografi, nel citare questa curiosità la accostano a una dichiarazione significativa in cui si riassumono, peraltro le intuizioni artistiche del musicista: “Voglio che la nota sia l’equivalente perfetto della parola, voglio  la verità e il realismo:le antiche e abusate nozioni obbligavano a cercare la melodia che accarezza l’orecchio. Non è questa la mia prima preoccupazione “.
Lo studio della parola, dei suoi ritmi e accenti, la penetrazione dei valori semantici, delle sue segrete proiezioni, perfettamente totalmente espresse dal suono, dalal curva della frase musicale, dal taglio ritmico:su questo meditò Dargomyzkij per molti anni, prima di attuare la sua importante riforma del melodramma. Nato il 1813 da famiglia agiata, e avviato presto allo studio della musica. A vent’anni Dargomyzkij è un pianista prodigioso, sulla cui fortuna e giura il suo maestro Danielvski, che lo considera il suo allievo prediletto. Ma proprio allora l’incontro con Glinka cambia il corso della sua vita artistica. Glinka gli cede un quaderno di appunti musicali: gli esercizi di armonie contrappunti fatti sotto la guida del compositore berlinese Siegfried Dehn, famoso editore e insegnante. Su questo testo Dargomyzkij   baserà  i suoi studi musicali. La sua prima opera, Esmeralda non è “rivoluzionaria”: è una partitura tradizionale, un po’ “gonfiata” da certi tipi slanci del Grand-Opéra.
Nel 1855, dopo un lungo viaggio in Austria, Francia, Belgio, Dargomyzkij ha pronto un altro lavoro teatrale: La Rusalka. Rappresentata la prima volta a San Pietroburgo, nel 1856, l’opera non entrò nel gradiemnto di un pubblico “malato di italianismo”. Ma la svolta ora è evidente e l’accoglienza negativa ne è la chiara dimostrazione. Emerge l’abbandono della melodia che “accarezza l’orecchio” l’unione più forte tra suono e parola, la presenza dominante, se pur  nel taglio consueto di pezzi “chiusi”, di un recitativo espressivo che si espande con naturalezza nell’arioso e sboccia nella melodia piena. Accanto a ciò, un elemento più visibile e sorprendente: il nuovo modo di illuminare, in una chiarezza che rileva ogni contorno, i caratteri teatrali  trasformandoli in  volti veri, reali, dove ogni minima piega rivela un tratto psicologico e interiore.  La ingenua storia Natascia (soprano), la figlia del Mugnaio (basso) che, ingannata da un Principe (tenore), dal quale aspetta un figlio. Disperata, si  getta nel fiume Dnepr e si trasforma in Rusalka, cioè un’Ondina, mentre il padre impazzisce. Qualche anno dopo Natasha manda la sua bambina, anch’essa una Ondina, in cerca del padre. Il principe è attratto da una forza irresistibile verso il fiume, dove la bimba gli dice che la mamma non l’ha dimenticato, che lo ama sempre e lo aspetta. Sopraggiunge il Mugnaio pazzo, che getta il principe nell’acqua. Un soggetto che conquista un  fascino particolare anche in virtù di un tono popolaresco entro cui si alimenta la “verità” e il  “realismo” che Dargomyzkij giudica il fecondo seme d’arte.
Sono molte le scene dell’opera che meriterebbero di essere citate: ad esempio l’incontro della figlioletta il  padre, quando la bambina racconta che l’acqua del fiume non è riuscita a spegnere l’amore di Rusalka. Il tragico finale, che non esiste nel originale di Puskin nel quale spicca il  vecchio Mugnaio pazzo che è il modello su cui  fisseranno lo sguardo i “veristi “, nel  quale il personaggio tocca il suo vertice di grandezza tragica.  Dopo Rusalka, dodici lunghi anni di silenzio, di meditazione, di studio: finché gravemente malato è già prossimo alla morte, Dargomyzkij  riuscirà ad attuare interamente la sua “riforma” l’ultima opera: Il convitato di pietra. Qui il musicista trascrivere poema puskiniano senza cambiare, per così dire, neppure una virgola: e da qui, da quest’opera “verissima”, dobbiamo partire, per comprendere  Mussorgsky  e il Boris Godunov.